Gianmarco Canestrari
pubblicato 5 anni fa in Recensioni

Tra fato e ragion di stato: qual è il prezzo della libertà?

“Il segreto di Bruto” di Raffaele Alliegro

Tra fato e ragion di stato: qual è il prezzo della libertà?

Quando si tratta di argomenti storici mi piace sempre sottolineare una differenza: un conto sono le storie (con la s minuscola) che puntellano e arricchiscono il lungo cammino dell’evoluzione umana; un altro è quando parliamo di Storia (con la S maiuscola), la quale, riprendendo l’intuizione geniale di Arendt

«è per l’appunto una storia [story] che ha molti inizi ma nessuna fine. La fine, nel senso stretto e ultimo del termine, potrebbe essere solo la scomparsa dell’uomo dalla faccia della terra, perché tutto ciò che lo storico chiama fine, la fine di un’epoca, di una tradizione o di una civiltà, rappresenta un nuovo inizio per coloro che sono vivi. La fallacia di tutte le profezie apocalittiche si nasconde nella sottovalutazione di questa semplice ma fondamentale fatto.»

Tra i tanti inizi che segnano in modo indelebile la Storia, quelli di cui è difficile farne a meno poiché con la loro influenza costante hanno portato a grandi conquiste nell’orizzonte umano, ha un posto preminente l’evento della nascita della res publica romana per opera di Lucio Giunio Bruto. È questo lo sfondo, il filo rosso, delle vicende narrate, con una maestria di difficile comparazione, da Raffaele Alliegro nel suo capolavoro storico Il segreto di Bruto, edito per Edizioni Spartaco. Quello che sorprende di questo libro è il modo con cui l’Autore ha saputo tratteggiare e restituire a noi “posteri” le vicende della Roma antica, attraverso uno stile avvincente, limpido, affascinante e travolgente. Gli stessi tratti del personaggio principale, autore e co-autore della Storia, trasmettono al lettore una sensazione particolare, “strana”, magica e mitica allo stesso tempo; Bruto si mostra ai nostri occhi nella sua dualità inscindibile: da una parte egli veste i panni dello “sciocco” di turno, dell’umile nipote di Tarquinio il Superbo; ma dall’altra lo vediamo indossare le vesti dell’eroe che deve portare a termine una missione “divina”: salvare Roma dalla tirannia. Pur nella sua piccolezza, limitatezza, mediocrità, si ritrova a dover compiere uno sforzo titanico per salvare le sorti della sua città, della Caput Mundi, caduta in mani sbagliate. Sembra riecheggiare nella storia delle vicende di Bruto e della nascita della repubblica, un topos letterario che ha il suo massimo rappresentante in Virgilio: anch’egli nella sua massima opera, l’Eneide, tratteggia i lineamenti di un eroe, che investito di un piano provvidenziale, deve raggiungere uno scopo grandioso. Enea e Lucio Giunio diventano così l’alfa e l’omega di un discorso di natura provvidenziale che li investe e li trascina in un vortice di eventi e scenari verso quella meta finale, risolutiva, che ha tutta l’aria di una palingenesi del cosmo e della realtà. Un rinnovamento e una rigenerazione che però non riguarda solo il mondo naturale propriamente inteso, ma anche e soprattutto l’eroe: le sue vicende e le sue azioni non sono una marcia unidirezionale verso il trionfo e la gloria, ma portano con sé un “prezzo” da pagare con la vita stessa del personaggio. Il successo dell’impresa porta sempre con sé, in maniera inevitabile, il suo contraltare: la sconfitta (vista in tutti i suoi lati, compresa la morte). È bello sottolineare, a tal proposito, la dinamicità e la pluralità delle sfaccettature insite nella personalità di Bruto, così come è delineata dall’Autore: in lui si intrecciano in maniera indisgiungibile tanto la volontà di giustizia quanto la volontà di potenza, intesa fin nel suo lato più oscuro – che tocca l’apice della vendetta e del desiderio di riscatto. Bruto è un po’ il “catalizzatore” delle speranze e delle attese degli oppressi e degli esclusi dal sistema tirannico ed opprimente messo su dal Superbo: assume quasi i tratti del “messia” mandato dal fato provvidente a liberare il suo popolo dalla schiavitù della tirannia, a spezzare le catene dei soprusi e delle vessazioni che da troppo tempo i romani subiscono ingiustamente. Ma in quest’opera messianica si arriverà ad un bivio, dove bisognerà scegliere fra due alternative opposte: o proseguire l’appena concluso piano provvidenziale verso mete più alte e degne di nota per il bene dell’intero corpo politico; oppure fermarsi all’arrivo, compiacersi del viaggio compiuto per realizzare tale disegno, ma dare ora adito e spazio alla “voce del sangue”, al desiderio di vendetta e di morte che l’assilla da tempo. Ma è veramente concluso così l’iter disegnato per Bruto? Finisce tutto con la vendetta? Oppure c’è qualcosa oltre? Inoltre: la libertà tanto sperata ed ora effettivamente e realmente conquistata è fine in sé stessa oppure nasconde qualcosa dietro? Forse è qui che si nasconde il “segreto” a cui deve giungere Bruto, il quale non ha saputo cogliere ed interpretare al momento giusto i “segni dei tempi”.

«perché dovrebbero ridare il potere a Tarquinio ora che sono diventati liberi?» Chiede Bruto a Spurinna
«perché la libertà è scomoda, richiede sacrificio. Perché la legge è uguale per tutti ma annulla i privilegi. E perché c’è chi preferisce restare bambino, affidarsi completamente a un padre che distribuisce premi e punizioni. Un padre tiranno a cui si possono chiedere favori e pietà. La legge non ha pietà, i sovrani a volte si», replica Spurinna.

La libertà è un grande valore, forse una delle più enormi conquiste dell’umanità; ma ha un prezzo: essere liberi presuppone infatti una crescita personale molto sviluppata; presuppone consapevolezza delle responsabilità che si prendono sulle spalle; presuppone norme entro cui bisogna poter esercitare questo tanto sperato diritto. Essere liberi non significa anarchia, mancanza di regole e libertà di poter fare o pretendere tutto… non è questa la “vera” libertà. Essere veramente liberi significa saper vivere delle e nelle nostre convinzioni ma sempre nell’orizzonte del rispetto e dell’accettazione delle convinzioni altrui. Il cosmo della libertà è, e deve essere sempre, irrorato e vivificato dalla linfa della presenza degli altri, nei cui confronti e verso il cui bene si dispiega e si esplica con forza il vero senso dell’essere liberi. In poche parole: non avrebbe senso parlare di libertà se non ci fossero gli altri, se non fossimo in costante approccio con un altro-noi che ci interroga e ci pone questioni davanti alle quali possiamo e dobbiamo scegliere. Non c’è alternativa. La pluralità, che è la condizione essenziale e primiziale dell’umanità, ha come corollario la scelta, il dialogo, il confronto, e quindi la libertà. L’uomo è, seguendo l’eredità dello Stagirita, un essere sociale, “politico”, e proprio per questo libero di fronte alle scelte e alle sfide lanciate dal mondo in cui vive. Forse, e la Storia ne è testimone, qualcuno vuole restare cieco di fronte a questo corollario del principio della libertà, senza il quale però il principio stesso decade e perde di significato. Nel nostro caso il protagonista cade vittima degli stesi ideali per i quali ha tanto lottato e sperato, rendendo testimonianza di quanto sia vero l’accostamento libertà-sacrificio. Ora più che mai è attuale il verso di dantesca memoria che recita: “credo ch’un spirto del mio sangue pianga la colpa che là giù cotanto costa”.

 

 

 

 

 

La citazione di H. Arendt è tratta da: Hannah Arendt, Comprensione e politica (le difficoltà del comprendere), in S. Forti (a cura di), Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003, pag. 94.

L’immagine in evidenza è tratta da: https://www.edizionispartaco.com/prodotto/il-segreto-di-bruto/