Federica Guglielmi
pubblicato 9 anni fa in Letteratura

La leggenda di Delicata Civerra

quando l'odio religioso divide una città, quando la sete di sangue è più forte di qualsiasi desiderio d'amore

La leggenda di Delicata Civerra

Breda. 1587, Gennaio.
Delicata,
non esiste un solo istante
in cui il mio pensiero non venga a cercarti.
Amore mio,
ho scelto di errare in esilio e lontano dalle tue braccia.
Non ho più un nome né una famiglia,
sono il ritratto di ciò che ero
e ti chiedo di amarmi oggi come ieri. 1

Siamo alla fine del XVI secolo; il Medioevo è ormai terminato e con lui il periodo buio, così definito dagli illuministi, un periodo che nell’immaginario collettivo è fatto di roghi, di una religione che esercita una politica del terrore, alimentata da quelle che erano le superstizioni di un uomo dipinto come privo del lume della ragione, cieco, annebbiato da pestilenze, carestie, guerre, Inquisizione.

Forse il Medioevo è finito, ma di sicuro non ha portato via con sé l’accezione di periodo scuro, perché il buio entra nelle viscere di questa storia: il buio della ragione, quello della superstizione; il buio del fanatismo e quello della prigionia.
La Verona cinquecentesca, per come la dipinge Shakespeare nel suo <<The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet>>, appare divisa tra due famiglie rivali, ognuna delle quali sparge in tutta Verona il sangue della casata avversa.
Ma quelli veronesi non sono gli unici vicoli che nel Cinquecento appaiono segnati da rivoli di sangue; la città di Campobasso vede Trinitari e Crociati combattere gli uni contro gli altri in cruenti scontri che macchiano il loro credo religioso, stesso credo che, paradossalmente, li porta ad estrarre la spada dal fodero e ad animare le strette viuzze cittadine in tumulti che di religioso sembrano avere ben poco.

delicata-fiorellaEd è così, sulla scia di un tragico amore come quello shakespeariano, di un periodo storiografico che affascina, ma allo stesso tempo ci reca nella mente l’immagine angosciosa e stereotipata di strade cupe, illuminate soltanto da qualche candela sparsa, che vi racconto una “storia tristissima dei tempi tristissimi del feudalesimo e delle ire di parte”, riprendendo le parole che Michelangelo Ziccardi usa nel suo <<I cappuccini di Campobasso o la pace>>, nel raccontarci i drammatici scontri di una città divisa tra due confraternite e l’amore contrastato di due giovani che di reciproco amore vivono, ma a diversa confraternita appartengono.
Era il 1495 quando il re Ferdinando II concesse la contea di Campobasso in titolo di vendita ad Andrea de Capoa; qualche anno dopo il nuovo feudatario permise ai vassalli, che da Napoli lo avevano seguito, di costruire il tempio della Santissima Trinità appena fuori le mura dell’antico borgo, tempio che divenne sede della nuova congrega dei Trinitari, formata proprio da quei nobili napoletani. Sguardi colmi d’odio e rivalità, con occhi stretti a fessure, cominciarono a scambiarsi i Trinitari con la storica confraternita dell’università, quella dei Crociati. E ben presto questi sguardi sfociarono in scontri a spada tratta in cui si portavano alti i vessilli della propria congrega: “da
questa parte i crociati gridavano i loro sei secoli di antichità; i trinitari dall’altra la forza e la nobiltà.” 2

I motivi di questa rivalità priva di ogni ragione non erano solo legati al bisogno di far valere la propria posizione sociale, bensì a tematiche religiose che offuscavano di superstizione, come polvere gettata negli occhi, le menti di una città da poco uscita dalla pestilenza. E fu proprio l’esser usciti indenni dall’epidemia a riaccendere nel popolo campobassano l’amore per il culto divino, un amore così ossessivo da portare le due diverse confraternite a contendersi la precedenza nelle processioni religiose. In relazione a questo credo morboso ricordiamo che l’uomo
cinquecentesco legava l’idea di potere a quella di una vita dedicata alla religione e poco contava, dunque, se nel percorso verso Dio si lasciavano dietro molliche fatte di sangue altrui. D’altronde questo è un concetto ancora estremamente attuale, ma questa è un’altra storia.
Crociati e Trinitari, come Montecchi e Capuleti, sfoderavano irrequieti la spada in ogni vicolo del borgo e in questo clima aspro e turbolento i matrimoni tra appartenenti a congreghe diverse erano proibiti.
Ed è proprio da questa proibizione che nasce la leggenda di un amore contrastato, quello tra il crociato Fonzo Mastrangelo e la trinitaria Delicata Civerra.
I due giovani vivevano un celato e clandestino sentimento che mai avrebbero potuto rivelare alle loro famiglie, fedeli a quell’odio religioso che aveva diviso un’intera città; Fonzo sussurrava teneramente i più dolci versi danteschi e petrarcheschi alla sua amata, la quale ad altro non pensava se non al suo affetto verso il “giovane di bel garbo” 3. Incontri segreti, nobili lettere d’amore, sguardi fugaci, di queste piccole attenzioni era fatto il rapporto tra i due amanti; e finché durava, seppur taciuto, quell’amore a loro bastava.
Finché un giorno, il padre di Delicata vide la figlia che dal balcone gettava un mazzolino di fiori al suo innamorato e, offuscato dall’odio che ormai gli attanagliava, oscurandolo, il cuore, trascinò via la fanciulla e la rinchiuse in una stanza buia, dove, da quel momento in poi, l’anima di Delicata sarebbe stata rischiarata da una sottile fascia di luce che, pur entrando nella stanza, non riuscivadelicata-civerra ad illuminarla tutta.
In questo carcere Delicata si disperò e si lasciò divorare dalla malinconia e dall’orrore di non poter più vivere il suo amore; rifiutò l’offerta del padre di un matrimonio con qualche giovane trinitario e ugualmente quella di prendere il velo monastico. La prigionia era preferibile a qualsiasi uomo non
fosse Fonzo, a qualsiasi alternativa avrebbe allontanato il suo cuore da quell’amore.
Nulla, nemmeno il pallore che cominciava ad allargarsi sul volto della fanciulla, rinsaviva il padre da quella follia.
Fonzo, tormentato dalla malattia che stava consumando Delicata, rinnegava la sua congrega, “malediva la semenza di quelle discordie”, 3 vagava come un’ombra scura senza pace nell’anima e nel cuore. Decise di partire, di seguire il suo feudatario e combattere per lui, di modo da acquietare l’animo e il livore del padre di Delicata, il quale avrebbe smesso così di martoriarla.
Intanto i tumulti tra Crociati e Trinitari crescevano sempre di più, sempre con più livore, con più veemenza. I morti si accalcavano sulle strade, le mani prudevano in cerca di carne della congrega avversaria, gli sguardi cagneschi, l’evitarsi come appestati e, sebbene serpeggiava ormai lo
sfinimento provocato da tanto disprezzo, nessuno cedeva nel dimostrare per primo il bisogno di una pace. Fu così che, in vista della quaresima, venne a predicare Padre Geronimo da Sorbo, un virtuoso ministro di Dio che dal pulpito proverbiò i cittadini, “voi invece, al luogo di amore metteste
odio feroce e inospito; e quel che è peggio a questo odio sanguinoso e sterminatore deste colore e nome di zelo religioso” dice P. Geronimo nella sua appassionata predica che porta le due confraternite alla rappacificazione.

Quegli uomini che prima si sfidavano con le spade ora si abbracciavano commossi e univano in matrimonio le proprie discendenze. Fu un tripudio di talami e banchetti, di nuove speranze che si facevano strada tra i torbidi anni di guerriglie.
Ma per Delicata era troppo tardi; gravemente ammalata e consapevole che avrebbe ormai avuto “per talamo il sepolcro”, mandò a chiamare P. Geronimo per godere di un’ultima confessione. Il santo uomo, prima di recarsi dalla fanciulla inviò un corriere a chiamare Fonzo. Delicata visse pochi altri giorni, circondata da quella stessa famiglia che l’aveva condannata ad un’atroce e prematura morte e che ora piangeva tutto il suo rancore, finché, il 12 marzo 1587, a un respiro dalla fine della sua vita, Fonzo entrò con impeto e passione in quel luogo di prigionia e in cambio di un sorriso, mise un anello al dito della sua amata, decidendo di vestire, da quel momento in poi,
l’abito francescano.
E lì, nella gelida stanza, simbolo di un odio privo di ogni ragione, Delicata pagò con la vita il suo
immortale amore per Fonzo e la sanguinosa guerra tra Crociati e Trinitari.

 


 

1 da “La leggenda di Delicata Civerra” film in produzione con la regia di Alessio Perisano e
sceneggiatura di Fabrizio Nardi e Alessio Perisano; prodotto da S.M.C.

2 Ziccardi M., I cappuccini in Campobasso o la pace. Cronaca del secolo XVI, Tipografia D. de
Nigris, 1876; rist. anastatica Palladino Editore, 2001.

3 Albino P., Delicata Civerra. Racconto patrio., Campobasso, Tip. dei Fratelli Giovanni e Nicola
Giolitti, 1870.