Claudio Pennisi
pubblicato 8 anni fa in Letteratura

Pier Paolo Pasolini: un poeta per il mondo

Pier Paolo Pasolini: un poeta per il mondo

Osservo me stesso massacrato col sereno
coraggio d’uno scienziato. Sembro
provare odio, e invece scrivo
dei versi pieni di puntuale amore.

da Poesie Mondane, 21 Giugno 1962
Nella notte tra il 1° e il 2 Novembre 1975, Pier Paolo Pasolini, scrittore, poeta, regista, giornalista e sceneggiatore, pier-paolo-pasolinifu assassinato presso l’Idroscalo di Ostia. Sono dunque passati quarant’anni dalla sua morte, ma non parlerò della sua tragica fine: troppo è stato detto, a sproposito e non, e molto è stato congetturato; personalmente credo che la verità non verrà mai fuori.
Per onorarne la memoria preferirei invece parlarvi, a mio modo e nelle mie possibilità, di una parte della sua opera che oggi è ingiustamente ignorata o declassata: la sua produzione poetica.

Pasolini comincia a scrivere poesie fin dall’adolescenza, e lo fa principalmente in dialetto friulano: il Friuli è dove trascorre la maggior parte delle estati della sua infanzia e prima giovinezza, è la regione d’origine della madre e presenta all’autore l’occasione di scoprire la forza poetica del dialetto, lingua veramente viva, libera dalla rigidità grammatica dell’italiano – un amore, quello per il dialetto in generale, che non lo abbandonerà mai. Dopo aver pubblicato nel 1954 La meglio gioventù, dove raccoglie le giovanili Poesie a Casarsa (1942) e altri testi in friuliano, decide di rivolgersi unicamente alla poesia in italiano.
Di contro alla tendenza poetica a lui coeva, sceglie di recuperare – anche se alternandolo ad altre forme metriche – l’endecasillabo, metro classico della letteratura italiana, e di rielaborarlo: le rime sono scarse, i versi spesso tronchi o sdruccioli e in generale di lunghezza diseguale, il lessico non risulta altisonante o eccessivamente ricercato, il ritmo lento e misurato tende spesso alla prosa. L’endecasillabo pasoliniano è erede diretto di quello dantesco e pascoliano, recupera la solennità politica, la struttura a terzine, il plurilinguismo e il pluristilismo del primo, e si ispira alla libertà espressiva, alla contaminazione dialettale e alla semplicità lessicale del secondo. La sua è vera poesia civile – forse l’ultima della nostra letteratura – che vive e prende forma nel mondo e per il mondo, nella società e per la società: è insieme sconsolata denuncia e malinconica nostalgia, è il ritratto di una realtà che continuamente muta, e in peggio. E la nostalgia è il tema dominante ne Le Ceneri di Gramsci,

20051020 - SPE - MOSTRE: A ROMA TRE MOSTRE DEDICATE A PASOLINI - Pierpaolo Pasolini in una foto d'archivio davanti alla tomba di Gramsci. Oggi, alla presenza del sindaco di Roma Walter Veltroni, sono state inaugurate tre mostre presso il Museo di Roma in piazza S.Egidio dedicate al poeta: 'Pasolini e Roma', 'Miracolo a Roma: fotografie di Angelo Pennoni sul set di Accattone' e  'La lunga strada di sabbia: Fotografie di Philippe Séclier'. ANSA/WFO

Pierpaolo Pasolini davanti alla tomba di Gramsci

raccolta pubblicata nel 1957, dove in un ossimorico autunnale maggio a un presente umanamente e politicamente deteriorato si oppone un passato ormai lontanissimo rappresentato dalla figura di Antonio Gramsci, personaggio simbolo di un’Italia dimenticata e tradita, che poteva essere e non è stata, ma che comunque era animata dalla speranza di potersi migliorare. Assai commoventi gli ultimi versi che Pasolini dedica al suo maestro politico, dinanzi alla sua lapide: Ma io, con il cuore cosciente / di chi soltanto nella storia ha vita, / potrò mai più con pura passione operare, / se so che la nostra storia è finita? La sua storia è anche quella di Gramsci, è la storia di chi ha una disperata passione di essere nel mondo, di chi crede che in esso si possa operare, cioè agire per cambiarlo e renderlo migliore – in un certo senso è il “ben fare” di Dante –, e per rovesciare un sistema, quello capitalistico, iniquo e rivoltante. La Storia è autentico prodotto dei popoli, ma ora è finita: il capitalismo ha infine vinto, appiattendo paesaggi, differenze e coscienze. Ne La religione del mio tempo (1961) il poeta traccerà, con toni ancor più amari, lo stesso desolante panorama: a dargli dolore è di nuovo, ma più acutamente di prima, la gente che lo circonda, il grigio dei suoi vestiti per le grige strade; / […] il suo brulicare intorno a un benessere / illusorio, come un gregge intorno a poche biade – gli uomini vivono come inconsce vittime sacrificali di un sistema che prima le inebria, snaturandole, poi le schiavizza e infine, in un modo o in un altro, le distrugge: è l’uomo a una dimensione delineato da Marcuse, l’individuo prigioniero di quel “nuovo Fascismo” (il neocapitalismo, o consumismo) che lo stesso Pasolini descriverà più tardi, tra il ’73 e il ’75, negli illuminanti interventi giornalistici poi raccolti in Scritti Corsari e in Lettere Luterane.
Pasolini_libroPotremmo dire, recuperando uno stilema dantesco, che Pasolini non riesce a essere ben tetragono ai colpi di ventura: è un uomo che vede il suo mondo cambiare e perdersi giorno dopo giorno, in una continua metamorfosi che per lui è atroce sofferenza; egli vive tragicamente la realtà del suo tempo, in un empatico prometeismo che non può non coinvolgere ed emozionare, parola dopo parola, verso dopo verso. È lo stesso dolore, prima taciuto e poi urlato, che domina ne Il Pianto della scavatrice, una lunga poesia, facente parte della raccolta de Le Ceneri, che comincia con un tema caro a Pasolini, quello della passeggiata per la periferia romana, per Monteverde Trastevere il Testaccio e altre borgate. Sono i medesimi ambienti protagonisti del film Accattone, e di Ragazzi di Vita e di Una Vita Violenta, due intensi romanzi che tra mimesi dialettale e vicende picaresche ritraggono fedelmente la realtà di quel sottoproletariato romano, oggi scomparso, che per il poeta fu fino all’ultimo oggetto di un amore profondo e sincero: l’amore per la Storia, una storia che stava finendo, e di cui i poveri operai, rincasanti a tarda ora dopo massacranti turni di lavoro, e i ragazzi di vita, giovani reietti sguazzanti tra furti, prostituzione e scappatelle, erano gli ultimi veri attori, ancora autentici ma già corrosi.
La fine della succitata poesia è sicuramente uno dei vertici dell’intera produzione pasoliniana. Improvvisamente da una vecchia scavatrice, sfiancata da anni e mesi di lavoro, si leva un grido insieme umano e disumano, che in realtà erompe anche dalla terra, dal quartiere, dalla città e infine dal mondo intero – è un climax meravigliosamente incalzante. Dopo l’urlo c’è il pianto, disperato: Piange ciò che ha / fine e ricomincia. Ciò che era / area erbosa, aperto spiazzo, e si fa / cortile, bianco come cera, / chiuso in un decoro ch’è rancore; / ciò che era quasi una vecchia fiera / di freschi intonachi sghembi al sole, / e si fa nuovo isolato, brulicante / in un ordine ch’è spento dolore. / Piange ciò che muta, anche / per farsi migliore. È probabilmente la più struggente e delicata descrizione della speculazione edilizia degli anni ’50, l’altra faccia del boom economico e della rinascita industriale, che con una cementificazione crudele e irresponsabile cancellò per sempre il passato, tra asfalto, caseggiati e grigiore. In chiusura il poeta si chiede che cosa sarà di lui e di tutti gli altri uomini, accecati da un bruciante – perché doloroso – abbaglio: il futuro. L’esistenza non potrà migliorare solo mutando forma: La luce / del futuro non cessa un solo istante / di ferirci: è qui, che brucia / in ogni nostro atto quotidiano, / angoscia anche nella fiducia / che ci dà vita – e nonostante tutto, permane la speranza di una vera trasformazione sociale, di una rivoluzione – nell’impeto gobettiano / verso questi operai, che muti innalzano, / nel rione dell’altro fronte umano, / il loro rosso straccio di

Scontri di Valle Giulia

Scontri di Valle Giulia

speranza. E l’idea, ottimistica, di un rinnovamento politico trova spazio anche in Una polemica in versi, poemetto rivolto ai dirigenti del P.C.I. e ai comunisti italiani tutti, dove il poeta chiede di abbandonare calcoli e ipocrisie, e di ricominciare a servire il popolo nel suo cuore. Ma la vena polemica di Pasolini trova spazio, tra gli altri testi, anche in A un Papa, poesia molto critica nei confronti di Pio XII: Lo sapevi, peccare non significa fare il male: / non fare il bene, questo significa peccare. / Quanto bene tu potevi fare! E non l’hai fatto: / non c’è stato un peccatore più grande di te ; e nella famosissima Il PCI ai giovani, lunga e prosastica poesia dedicata agli studenti che il 1° Marzo 1968 si erano scontrati con la Polizia a Valle Giulia, dove Pasolini afferma di schierarsi coi poliziotti perché sono figli di poveri, mentre i manifestanti hanno facce di figli di papà e sono piccoloborghesi prepotenti ricattatori e sicuri.
Come non parlare poi della struggente Supplica a mia madre, dedicata da Pasolini alla propria madre? Ne riporto i primi quattro versi: È difficile dire con parole di figlio / ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio. / Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore / ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
E ci sarebbero tante altre poesie da citare, ma mi fermo qui.

pasolini1_bydinopedrialisiaAlcuni componimenti di Pier Paolo Pasolini sono tra i più importanti della letteratura italiana del Novecento. La sua poesia, così piena di vita, così tesa e sincera ci offre il ritratto di un artista che fu prima di tutto un uomo, con il suo dolore, con la sua fragilità, con i suoi sogni e le sue delusioni. Ma Pasolini fu anche un geniale intellettuale – forse l’ultimo vero intellettuale italiano –, un personaggio che non fu mai colluso con il potere e anzi espresse sempre e coraggiosamente la propria opinione, anche di fronte alla sicurezza del linciaggio mediatico, anche se isolato e abbandonato. È stato l’osservatore più acuto e lungimirante nel panorama culturale italiano del secolo scorso, e molte sue previsioni, frutto di un’attenta e scrupolosa osservazione della realtà, si sono rivelate tristemente vere; la sua intera produzione rimane tuttora attualissima. Eppure all’epoca non venne compreso, se non da pochi, e anzi fu assiduamente ostracizzato e deriso, demolito di fronte all’opinione pubblica, demonizzato dai giornali e additato per la sua diversità: era un intellettuale scomodo, e come tale fu trattato. D’altronde, lo disse lui stesso: Continuerò, compagni addormentati / a parlare da solo, un monologo per i posteri! E il tempo, per quel che conta, gli ha dato ragione.

 

Che altro potremmo dire? Oggi Pasolini ci manca tantissimo.

pasolini xx