Alessandro Di Giacomo
pubblicato 5 anni fa in Storia

Simo Häyhä

la Morte Bianca

Simo Häyhä

Il 30 novembre del 1939, agli albori del secondo conflitto mondiale, l’Unione Sovietica invase la Finlandia per estendere i suoi domini ed ampliare il suo già immenso territorio. La ferrea volontà finnica di non cedere alle richieste russe, diede origine ad un conflitto passato alla storia come “la guerra d’inverno”. L’esito dello scontro sembrava già deciso ma, in quelle pianure interamente ricoperte dalla neve, nacque la leggenda di Simo Häyhä, quello che, a tutt’oggi, è ricordato come il più grande cecchino della storia.

Simo Häyhä nacque nel 1905 nella città di Rautjärvi nella Carelia, regione della Finlandia sud-orientale, a pochi chilometri dal confine con l’Impero Russo. Fin da giovanissimo, vivendo in un paese di cacciatori, apprese le abilità con il fucile e divenne un ottimo sciatore di fondo. Quando aveva appena 13 anni, nel 1918, la Finlandia ottenne l’indipendenza dall’Impero Russo (potenza egemone che la soggiogava fin dai primi anni dell’800) che, impegnato a contrastare i rivoluzionari di Lenin nella violenta guerra civile successiva alla Rivoluzione, non poteva opporre resistenza al movimento indipendentista. La Finlandia riuscì a svincolarsi dal giogo zarista ma, pochi anni dopo, con la nascita dell’Unione Sovietica, fu chiaro a tutti che la “Madre Russia”, anche sotto questo nuovo nome, sarebbe presto tornata a riprendersi con la forza i territori che le erano stati sottratti.

Simo entrò in servizio ad appena 19 anni e mise subito in mostra le sue enormi qualità come tiratore scelto. Grazie a queste doti fu presto equipaggiato con il fucile Mosin-Nagant 1891/30 (detto Spitz poiché, visto frontalmente, la sua forma richiamava quella del muso di questa razza canina), arma micidiale di fabbricazione russa, grazie al quale stabilì un record incredibile: colpì un bersaglio a 150 metri per 16 volte in un minuto. Questo record è incredibile se si pensa che il fucile era un modello a ripetizione, con caricatori di 5 colpi ciascuno.

Nel 1939, con la firma del Patto Molotov-Ribbentrop e l’invasione tedesca della Polonia, l’Unione Sovietica decise di invadere la Finlandia. L’esercito finnico fu chiamato a rispondere e, forte dell’inaspettato sostegno di alcune potenze straniere (alcune in obiezione allo squilibrio di forze in campo, altre, come l’Italia fascista, in funzione antisovietica) riuscì ad opporre una strenua resistenza. Simo, da esperto combattente, fu chiamato a partire immediatamente per il fronte e fu qui che nacque la sua leggenda. Häyhä utilizzava alcune tecniche più proprie della guerrilla che della guerra vera e propria: vestito interamente di bianco, per mimetizzarsi con il paesaggio circostante, era solito nascondere il fucile nella neve per stabilizzarlo e non far rintracciare la provenienza del colpo. Inoltre, metteva della neve in bocca per non far uscire la condensa respirando, era invisibile come un fantasma. La tecnica di tiro era altrettanto particolare: a differenza degli altri cecchini, che cercavano posizioni elevate come alberi e avvallamenti, Simo sparava sempre da terra e senza ottica telescopica. Questa scelta, che può sembrare assurda, era invece il suo marchio di fabbrica: le ottiche potevano offuscarsi con il freddo o, riflettendo la luce solare, indicare la presenza di un cecchino a centinaia di metri di distanza. Nonostante si affidasse esclusivamente alle tacche di mira metalliche del fucile, la sua mira era infallibile ed era capace di colpire, al primo tentativo, un nemico distante ben 400 metri.

Simo era devastante: uomini mandati in perlustrazione sembravano scomparire nel nulla, chi alzava la testa veniva freddato senza avere il tempo di capire cosa fosse successo, gli assalti si concludevano con disastrose ritirate … un solo uomo stava mettendo a durissima prova un intero esercito, mietendo centinaia di vittime. A favorire, paradossalmente, l’efficacia della tecnica del cecchino era la strategia sovietica di assalto “a ondate” che prevedeva cariche molto simili a quelle della Prima Guerra Mondiale: gli assaltatori si trovavano esposti, per centinaia di metri, alla mercé del tiratore scelto che, in questo modo, compiva delle vere e proprie carneficine. Con il progredire del conflitto, il nome di Simo Häyhä iniziò a varcare i confini della nazione; l’opinione pubblica era attratta dalla sua storia, in un momento di stallo per le due grandi protagoniste della Seconda Guerra Mondiale: la Germania e la Francia erano entrate in quel periodo di “osservazione”, aspettando che l’avversario facesse la prima mossa, dalle rispettive linee di difesa, che passerà alla storia come “drôle de guerre” (letteralmente “la strana guerra”). Tra le fila sovietiche, il cecchino divenne tristemente famoso: il suo nome era sinonimo di paura e morte e i russi cominciarono a chiamarlo “Белая Смерть” ovvero “la Morte Bianca”. Con questo nome, molto vicino alla leggenda, Simo affrontò eroicamente la battaglia di Kollaa (7 dicembre 1939 – 13 marzo 1940) durante la quale, in un punto della linea del fronte, sfruttando le temperature vicine ai 40 gradi sotto lo zero, guidò 31 suoi compagni a difendere un obiettivo strategico, dall’attacco di oltre 4 mila soldati russi. Simo però riuscì a difendere gli avamposti per diverse ore, grazie ad una tecnica ingegnosa: dopo aver sparato un buon numero di colpi da una determinata posizione, si spostava rapidamente con gli sci, portando con sé il minimo necessario per essere veloce e letale, e riprendeva a sparare da una nuova postazione. Ai sovietici sembrava di avere a che fare con decine di cecchini, non riuscivano a capire da quale direzione arrivassero i colpi, piovevano su di loro veloci raffiche, da punti completamente diversi e, disorientati, nonostante l’immensa disparità di forze in campo, furono costretti alla ritirata. I sovietici compresero ben presto che quell’uomo costituiva un problema difficile da risolvere e decisero di inviare i loro migliori tiratori scelti per dargli la caccia ma, come nei racconti di Robin Hood, era sempre Simo ad avere la meglio, eliminando continuamente i cecchini che si mettevano sulle sue tracce. Provarono allora ad organizzare dei bombardamenti con l’artiglieria nelle zone dove veniva avvistato ma, anche in questo caso, la Morte Bianca riusciva a sfuggire ai suoi inseguitori, scivolando via come il gelido vento finlandese. Simo non era solo un cecchino e, nel suo equipaggiamento, aveva anche una mitragliatrice Suomi KP-31, arma maneggevole e utile per colpire i nemici con raffiche veloci, che utilizzava negli scontri a fuoco ravvicinati: durante una missione, il 6 marzo del 1940, fu sorpreso da un soldato nemico che, sparando, lo colpì alla mandibola! Cadendo all’indietro, colpì il suolo con la nuca e svenne. I suoi commilitoni, però, riuscirono a portarlo via in tempo, poco prima che i rinforzi russi giungessero e occupassero l’area. Si riprese solo una settimana dopo, il 13 marzo e, appena sveglio, fu informato che i russi stavano abbandonando le posizioni per iniziare la ritirata: la guerra d’inverno era finita e, con gli accordi di Mosca, la Finlandia ottenne una vittoria diplomatica, dopo aver ottenuto formalmente quella sul campo, riuscendo a non concedere più del 10% del suo territorio agli invasori. Uscito dall’ospedale, Simo aveva la faccia deformata: il proiettile che lo aveva colpito aveva creato un ascesso alla guancia sinistra che gli sfregiò il viso con un danno permanente. Ma, nonostante questo, tutti nelle strade riconoscevano la Morte Bianca. Chi lo incontrava voleva stingergli la mano, chi lo vedeva arrivare chiamava amici e parenti, chi poteva parlava con lui. In poco più di cento giorni, dal 30 novembre 1939 al 13 marzo 1940, quell’uomo aveva ucciso, con il suo fucile da cecchino, quasi 550 soldati sovietici! A questa cifra, già di per sé mostruosa, vanno aggiunte altre 200 uccisioni effettuate con la mitragliatrice e, secondo fonti non certificate, almeno altre 100 non confermabili a causa delle precarie condizioni di battaglia. In pratica, un uomo contro un esercito … e ne era uscito vincitore! Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, Simo visse nel piccolo villaggio di Ruokolahti, nel sud-est della Finlandia, dove si dedicò alla caccia di alci e all’allevamento di cani da slitta.

Nel 1998, un giornalista ottenne un incontro e gli chiese come avesse fatto a uccidere tutti quegli uomini in così poco tempo. Häyhä lo guardò dritto negli occhi e, senza pensarci, rispose solamente: “pratica”. Il giornalista, allora, gli chiese se si fosse mai pentito dei numerosissimi uomini che aveva ucciso durante quei pochi mesi di quasi 60 anni prima ed egli rispose: “Ho fatto quello che mi hanno chiesto, al meglio che ho potuto”. Un uomo freddo, come la sua terra. Simo Häyhä si è spento il 1 aprile del 2002, all’età di 96 anni, e riposa tutt’oggi nella cittadina di Ruokolahti.

 

 

 

 

Le Fonti
Libri:
Martin Gilbert, La grande storia della Seconda Guerra Mondiale, Mondadori, Milano 2009 (ristampa)
Max Hastings, Inferno. Il mondo in guerra 1939-1945, Neri Pozza Editore, Vicenza 2012
Tapio Saarelainen, The white sniper: Simo Häyhä, Casemate Publishers, Filadelfia 2016
Video:

Collegamenti esterni:
https://www.linkiesta.it/it/article/2016/04/23/simo-hayha-il-cecchino-infallibile-nelle-nevi-della-finlandia/30104/

L’immagine in evidenza è tratta da: https://www.ilprimatonazionale.it/cultura/morte-bianca-simo-hayha-cecchino-flagello-sovietici-77109/