Alessandro Di Giacomo
pubblicato 6 anni fa in Storia

Simon Wiesenthal

il cacciatore di nazisti

Simon Wiesenthal

Siamo al tramonto del secondo conflitto mondiale e gli americani avanzano nel territorio tedesco senza incontrare ormai nessuna resistenza.

Le città che conquistano sembrano tutte uguali ma, il 5 maggio 1945, arrivano a Mauthausen, un luogo che, da quel momento, sarà tristemente famoso. Poco fuori la città, infatti, i soldati della terza armata scoprono un enorme campo di concentramento. Ai loro occhi si palesa il dramma dell’eredità nazista: migliaia di uomini, soprattutto ragazzi, vagano in condizioni precarie o terminali, scheletri con gli occhi rotti dal pianto alla vista dei liberatori. Tra le macerie di una baracca, non troppo distante dall’ingresso della cosiddetta Porta Mongola, un medico americano trova un uomo in gravissime condizioni: denutrito e disidratato, più di quanto un corpo possa sopportare, pesa appena 43 chili. Il suo nome è Simon Wiesenthal e, da quel momento, il suo mantra sarà: “Non per vendetta ma per giustizia”.

Wiesenthal nacque il 31 dicembre 1908 a Buczacz, in Polonia (oggi in realtà territorio Ucraino) e, dopo le scuole, si laureò in Ingegneria civile e si trasferì, con sua moglie Cyla Mueller, a Leopoli. Nel 1939, a seguito del patto Molotov-Ribbentrop, Leopoli finì nella sfera d’influenza dell’Unione Sovietica e, per evitare la deportazione o la fucilazione (come era successo al suo patrigno e al suo fratellastro), Simon fu costretto a licenziarsi e a lavorare in una fabbrica. Situazione che si protrasse fino al 1941 quando, rompendo il trattato, la Germania invase l’Unione Sovietica e, per la famiglia ebraica dei Wiesenthal, si palesò un pericolo ancora più grande: furono tutti deportati nei campi di concentramento, tutti tranne Cyla che, grazie ad uno scambio di documenti con la resistenza polacca, riuscì a nascondere la sua vera identità. Dopo la liberazione, Simon aveva perso praticamente tutta la sua famiglia, fucilata dai Russi o sterminata nelle camere a gas naziste e, dopo aver ritrovato sua moglie che temeva deceduta, iniziò a collaborare con l’OSS, i servizi segreti americani, raccogliendo informazioni e prove per i processi ai criminali nazisti che si sarebbero tenuti a Norimberga. Nel 1947, con questo scopo fondò, assieme ad altri trenta volontari, il Centro di documentazione ebraica di Linz, in Austria, ma quando per Stati Uniti e Unione Sovietica iniziò il periodo della Guerra Fredda, l’interesse per i processi diminuì e il centro fu smantellato. Nonostante questo, Wiesenthal continuò a lavorare per aiutare coloro che con la guerra avevano perso tutto e, nel tempo libero, con la ricerca di fonti e documenti per aiutare il Mossad, il servizio segreto del neonato stato d’Israele, a consegnare alla giustizia tutti quei nazisti che, scappati dalla Germania, erano “scomparsi”.

Quando la storia si guarderà indietro, io non voglio che le persone pensino che è stato possibile che i nazisti abbiano ucciso milioni di persone e poi l’abbiano fatta franca.

Il grande obiettivo di Simon era uno dei principali responsabili del genocidio ebraico, un comandante delle SS, uomo di fiducia del Reich: Adolf Eichmann. Questo criminale, scappato in Sud America con documenti falsi, era scomparso ma suo figlio, nel tentativo di sedurre una ragazza tedesca, si era presentato a lei con il vero cognome di famiglia. La ragazza però non era una fiera ariana ma la figlia di Lothar Hermann, un ebreo sfuggito all’Olocausto che, venuto a conoscenza di questo segreto, avvertì immediatamente i suoi contatti al Mossad. Era giunto il momento per Simon Wiesenthal di entrare in azione! Nel 1960, supervisionò personalmente il piano del Mossad per rapire e portare Eichmann in Israele: furono scelti pochi agenti che ebbero il compito di rintracciare Riccardo Klement, questo il nome della seconda vita di Eichmann, approfittando del volo privato della delegazione israeliana che, invitata alla festa per i 150 anni dell’indipendenza dello stato argentino, sarebbe rimasta qualche giorno a Buenos Aires. Eichmann fu rapito mentre tornava a casa dopo una “normale” giornata di lavoro, fu portato in una struttura segreta dove, dopo essersi assicurati della sua reale identità, gli agenti del Mossad lo sedarono e lo travestirono da assistente di volo. L’11 aprile del 1961, a Gerusalemme, ebbe inizio uno dei processi più importanti del secolo: tra i capi d’accusa furono messe le 3564 pagine di confessioni dello stesso Eichmann alla polizia, il diario del direttore del campo di concentramento e sterminio di Auschwitz Rudolf Hoss, documenti del Terzo Reich e le testimonianze dei sopravvissuti o dei loro parenti. Eichmann recitò la parte di chi aveva “eseguito degli ordini” e che, per questo, non doveva essere lui a pagare per quelle atrocità ma, alla fine, il giudizio fu unanime e il prigioniero fu condannato a morte per impiccagione il 15 dicembre 1961 per i suoi crimini contro l’umanità: fu giustiziato il 31 maggio del 1962 a 56 anni.

Non per vendetta ma per giustizia, ancora una volta, questo era stato il pensiero di Wiesenthal che, mentre Eichmann veniva processato e giustiziato, riaprì il Centro di documentazione ebraica e ottenne prove sufficienti per far arrestare molti altri nazisti o collaborazionisti del genocidio della sua gente.
Uno dei suoi successi più grandi fu la cattura, nel 1963, di Karl Silberbauer, il sottufficiale della Gestapo che aveva catturato e deportato Anna Frank e la sua famiglia. La cattura, in realtà, non ebbe gli stessi brillanti esisti del processo ad Eichmann perché la documentazione sull’imputato non era completa e la deposizione di Otto Frank, padre di Anna e unico superstite della famiglia, lo disegnò come un nazista che “stava eseguendo degli ordini”senza abusare del suo potere. Il vero successo fu la certificazione dell’autenticità del Diario di Anna, tutt’oggi una delle più importanti testimonianze degli orrori dei nazisti. Nello stesso periodo, Simon fece catturare anche molti ufficiali delle SS che operavano nella zona di Leopoli, Franz Strangl, il comandante del campo di concentramento di Treblinka, ed Hermine Braunsteiner, un’ex infermiera che aveva supervisionato la morte di centinaia di prigionieri.
Nel 1977, gli fu dedicato l’Agenzia per la memoria della Shoa, ribattezzata appunto Centro Simon Wiesenthal, che si occupa della gestione dei musei in ricordo del genocidio, della nascita dei movimenti antisemiti, del controllo dei neonazisti e, ovviamente, della ricerca dei criminali del passato.

Nel 2003, Simon ha annunciato il suo ritiro dicendo:

Sono sopravvissuto a tutti loro. Se ne è rimasto qualcuno, sarebbe troppo anziano o debole per sostenere un processo oggi. Il mio lavoro è finito e finalmente posso riposarmi

Wiesenthal visse gli ultimi anni della sua vita nella città di Vienna, dove sua moglie morì nel 2003 all’età di 95 anni, fino alla sua morte nel 2005. Oggi il Cacciatore di nazisti riposa del cimitero Herzliya, vicino Tel Aviv.

Le fonti
Libri:
Alan Levy, Il cacciatore di nazisti: la vita di Simon Wiesenthal, Trad. A. Catania, Mondadori 2007.
Hanna Arendt, La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme, Milano, Feltrinelli 1964.
Simon Wiesenthal, Giustizia, non vendetta, Mondadori, 1999.

 

L’immagine in evidenza proviene da: https://www.huffingtonpost.com/scott-goldstein/silence-open-letter-to-the-simon-wiesenthal-center_b_9376660.html?guccounter=1