“Strade di notte” di Gajto Gazdanov
Cronache di un tassista a Parigi
Mi sembrava di vivere in un gigantesco laboratorio dove le diverse forme di esistenza umana venivano sottoposte a esperimento, dove il destino si divertiva a trasformare le belle ragazze in vecchie, i ricchi in poveri, le persone oneste in mendicanti di professione, e lo faceva con una perfezione straordinaria, incredibile. E se anche ricordavo e riconoscevo alcune di quelle persone, mi sembrava tutto un sogno.
Il destino di numerosi scrittori russi segue spesso lo stesso percorso: dimenticati in patria e apprezzati all’estero. È il caso di Gajto Gazdanov (1903-1971), autore di discendenza osseta, che cresce a San Pietroburgo e, dopo aver partecipato alla Rivoluzione d’Ottobre tra le file dei Bianchi, fugge in Francia.
Gazdanov entra dunque a far parte di quella che dagli studiosi viene definita come la prima ondata dell’emigrazione russa (dal 1917 alla fine del secondo conflitto mondiale), durante la quale – fra gli altri – lasciarono il paese bianchi, nobili e intelligenty. In terra straniera i suoi testi vengono pian piano scoperti, pubblicati e anche tradotti, mentre in Russia vedranno la luce solo negli anni Novanta. Approdato dunque a Parigi nel 1923, si stabilisce a Billancourt, quartiere popolato dagli operai della Renault, fabbrica in cui lavoravano molti emigrati russi. Collabora con la rivista politica, sociale e letteraria «Sovremennye zapiski» (Memorie contemporanee), curata da hommes de lettres emigrati a Parigi, attiva dal 1920 al 1940, quando la redazione venne chiusa a causa dell’occupazione nazista della capitale francese. Rispetto alla generazione più anziana dell’emigrazione, quella di Gazdanov non è una letteratura militante, tesa verso l’utopica speranza della sconfitta dei bolscevichi e di un agognato ritorno in patria.
Il romanzo Strade di notte (Nočnye dorogi, 1940, tradotto per Zandonai da Claudia Zonghetti nel 2011, ripubblicato da Fazi nel 2017) incarna infatti la sua visione della letteratura. Una cronaca non di quei “giorni maledetti” raccontati da Bunin, anch’egli in esilio a Parigi, bensì una cronaca dei destini della popolazione sotterranea della capitale. Un tassista notturno, anonimo per tutto l’arco della narrazione, certamente identificabile con Gazdanov stesso (il quale ricoprì proprio questo ruolo dal 1928 al 1952), si ritrova a essere il custode involontario dei segreti e delle confessioni dei suoi clienti.
Certo, composto com’era da categorie di individui che natura e mestiere condannano a priori, la popolazione notturna di Parigi era decisamente diversa dalla diurna. Per di più certa gente non ha remore con un tassista: cosa vuoi che me ne freghi, pensano, del giudizio di qualcuno che non vedrò più e che non potrà riferire ai miei conoscenti ciò che gli dico! Dunque vedevo i miei clienti com’erano in realtà, non come volevano sembrare, e da tale incontro gli sventurati uscivano quasi sempre con le ossa rotte.
Dal punto di vista tematico, la narrazione segue la parabola autobiografica dell’autore. Questo riscontro autobiografico, però, non si limita solo alla figura del protagonista. Gazdanov, infatti, nella sua lunga permanenza a Parigi, svolse i mestieri più disparati: dallo scaricatore di porto, al lavandaio, dall’insegnante di lingue all’operaio in una fabbrica e, nei periodi più difficili, si ritrovò persino a vivere per strada. Ecco, dunque, che la moltitudine descritta da Gazdanov altro non è che l’espediente con il quale dare voce, di volta in volta, alle sue diverse vite.
La Parigi dipinta da Strade di notte non è una città sfarzosa e piena di vita ma cupa e fatiscente. Le anime che si trascinano con passi stanchi e lenti sul pavé non possono che osservare le luci abbaglianti delle vetrine, rimanendo sempre ai margini, sul bordo della strada. Quello di Parigi di notte è un mondo strano, a volte disilluso altre sprofondato nell’abbaglio di un’idea di felicità destinata a sfiorire alle prime luci del freddo e umido mattino, quando i soldi non bastano e i bicchieri sono ormai vuoti. I protagonisti delle varie storie incarnano quindi la figura del doppio: attraverso il racconto svelano la vita che stanno vivendo e quella che avrebbero voluto vivere. Queste due strade spesso coincidono in una duplice esperienza del mondo che unisce, nel delirio di menti corrose da una alienante miseria, il sogno e la realtà.
Nel romanzo non mancano poi i ritratti di russi emigrati, nei quali Gazdanov vede una “ipostasi dell’istinto di conservazione”. Costretti a lasciarsi alle spalle la vita passata, questi individui si sono ritrovati a dover escogitare un modo per sopravvivere alla loro nuova realtà. La scarsa conoscenza della lingua francese e una totale assenza di senso critico trasformano dottori, avvocati, procuratori in creature primordiali, le cui capacità – oramai divenute del tutto inutili se non addirittura inopportune – non possono che atrofizzarsi.
Ricordi quel libro di Wells che abbiamo letto anni fa? L’isola del dottor Moreau? Ricordi gli animali trasformati in esseri umani che sfuggono al controllo del dottor Moreau dopo non so quale catastrofe? Ricordi quanto poco ci mettono a dimenticare il linguaggio e a tornare bestie?
La figura dell’anonimo tassista richiama quella del flâneur, senza però incarnare l’ozioso borghese che si perde per le vie della città. La flânerie di Gazdanov non ha nulla di ozioso, immerso com’è nel buio della notte alla ricerca di qualche cliente. Il percorso è difatti scelto ogni volta dal derelitto di turno che porta il protagonista alla scoperta di vicoli e quartieri nei quali è stipata una massa umana informe.
Uno dei personaggi più emblematici è certamente quello della prostituta d’alto bordo Madame Raldi. La donna, un tempo brillante intrattenitrice e regina dei più eleganti salotti parigini, è adesso dimenticata da tutti. La bellezza che aveva ammaliato gli impomatati signori in frac è ormai coperta dal velo della vecchiaia ma, nonostante ciò, Madame Raldi si rifiuta di considerarsi sul viale del tramonto. Costretta ora a dividere i bordi della strada con ragazze ben più giovani, continuerà fino alla fine a tornare con la mente ormai non più lucida a quella vita passata sul palcoscenico del bel mondo.
Il fil rouge che collega tutti i personaggi di Strade di notte è l’isolamento nel quale ognuno di loro vive. La fiumana di reietti che popola il sottobosco notturno della capitale è costituita da singole anime sorde al grido di aiuto lanciato dal vicino.
All’epoca non sapevo ancora che le distanze fra le persone che incontravo erano invalicabili o quasi, e che pur vivendo nella stessa città dello stesso Paese e parlando più o meno la stessa lingua, quegli esseri umani erano lontani gli uni dagli altri come potevano esserlo un eschimese e un australiano.
L’occhio di Gazdanov ci offre dunque un ritratto nero di chi vive al margine, lontano dalle luci della Parigi borghese e che – al contrario – osserva il proprio riflesso nel vetro sbeccato al tavolo di una sudicia osteria.