Chiara Masotti
pubblicato 3 anni fa in Recensioni

“Gilgi, una di noi” di Irmgard Keun

“Gilgi, una di noi” di Irmgard Keun

Ciò che è bello rende felici. Ci sono cose che non possono piacere subito, bisogna prima allenarsi un po’. Ma, dato che il premio è la gioia, vale la pena allenarsi. Sono proprio le gioie che uno si è guadagnato con fatica quelle più vere, le più durature. Sei d’accordo che la gioia non è mai abbastanza, vero?

Non è un caso che il titolo di questo libro sia Gilgi, una di noi: da un lato il diminutivo di Gisela, dall’altro una descrizione che, come scopriremo presto, è più una certezza, una constatazione. Dalla nostra protagonista ci separano novant’anni di storia, ma per il resto nulla più.

Il romanzo di Irmgard Keun, pubblicato nel 1931, è talmente irriverente, provocatorio e avanti per il suo tempo, che fu vietato dai nazisti e arso nel 1933 nei famosi Bücherverbrennungen (i roghi di libri) insieme a tutte quelle opere considerate contrarie allo spirito tedesco. In Italia, Una di noi uscì nel 1934, tradotto da Lina Ricotti, nella collana I romanzi della palma di Mondadori, insieme a «i maggiori e più popolari successi della letteratura internazionale», completamente rivisto e censurato. Il testo ci viene restituito, in tutta la sua bellezza e drammaticità, nella versione di Annalisa Pelizzola pubblicata da L’orma editore nel 2016.

Cosa contiene questo libro di così audace? La vita di una donna. O forse la vita di migliaia, milioni di donne divise tra la spensieratezza della gioventù e il terrore della guerra incombente. Sono gli anni della Neue Frau, una nuova idea di donna si fa strada in Germania: una figura indipendente, lavoratrice, estranea agli schemi sociali, libera di scegliere, consapevole della propria fisicità e della propria forza. Questo nuovo modello si impone con grande coraggio nella Repubblica di Weimar, dove la modernità convive tacitamente con lo scontento, la povertà e l’insinuarsi di una violenta e pericolosissima ideologia. La Germania di allora è un laboratorio in cui tutti gli esperimenti procedono a velocità inusitata e non c’è tempo per l’immobilismo, l’inerzia e l’astrazione.

Tuttavia, si trova sempre il tempo per le emozioni e Gilgi, giovane stenotipista di ventuno anni cresciuta in una famiglia borghese di Colonia, ne è la dimostrazione. Sfacciatamente ottimista, avida di vita ma sempre rigorosa, ambiziosa e indipendente, Gilgi ci regala l’immenso piacere – attraverso lo stile impeccabile e scanzonato dell’autrice – di renderci partecipi del suo primo vero amore, che farà deragliare bruscamente la linea retta e ordinata della sua vita.

Da arida formichina – come la definisce la sua cara amica Olga – la nostra memorabile protagonista evolve e si trasforma in una donna vulnerabile, fatta di desideri, di silenzi e sospiri, perennemente combattuta tra volontà inconciliabili, fragilità e rigore. Nel momento in cui lascia spazio al seducente e complesso universo dell’amore diventa difficile riconoscere la propria identità.

A distruggere il suo apparente e inflessibile equilibrio è Martin, uno scrittore bohémien di quarant’anni senza un lavoro fisso e senza alcun talento se non quello di «parlare con così tanti colori» e di risvegliare in lei una gioia infantile, vertigini di felicità tali da condurla a non avere «più nessun limite e nessuna volontà», a essere «in balia di tutto e di tutti». Ma l’euforia iniziale si tramuta ben presto in straziante tormento: questa coppia fatta da un uomo e una donna così diversi, così inconciliabili anche se perdutamente innamorati, non può trovare spazio nella cornice spietata e disillusa del primo dopoguerra.

La crisi, l’iperinflazione e i profondi cambiamenti sociali sono anch’essi protagonisti di questo romanzo, il quale, con tono ironico e leggero, non nasconde – e nemmeno edulcora – le tragedie e gli avvenimenti tumultuosi dell’epoca. A dare voce a questi ultimi sono soprattutto i personaggi secondari (ma così indispensabili e significativi) di Pit, migliore amico di Gilgi, e dei coniugi Hans e Hertha.

Sembrerà strano, ma alla fine di questo piccolo libro sentiremo un grande vuoto: chi non vorrebbe andare oltre l’ultima pagina e ritrovare il sequel di Gilgi a Berlino, con tutta la sua carica esplosiva e la sua voglia di vivere. Da quando l’abbiamo incontrata e conosciuta sappiamo di più, soprattutto sull’amore, perché come disse Erika Mann – figlia del celebre Thomas e scrittrice – «Keun sembra tradurre direttamente la vita in letteratura», regalandoci con un realismo disarmante le emozioni più potenti in tutte le loro sfumature. Il tono scanzonato con cui le descrive non le impedisce infatti di toccare punti estremamente lirici, come quando dà voce al fenomeno dell’innamoramento:

Martin! Infinitamente familiare – il nome e la persona. È del tutto sbagliato dire: ci si conosce bene solo quando ci si conosce da tempo! Che errore assurdo. La calda, viva confidenza delle prime ore, dei primi giorni, delle prime settimane, quando si è subito pronti a scoprirsi in sintonia, e ci si sente uniti in una gioia condivisa. È allora che si sa molto l’uno dell’altro. Si saprà di meno quando si comincerà a riflettere sull’altro. Ciò che viene dopo… è l’intimità. Non bisogna confondere la confidenza con la familiarità […] La confidenza non la si crea, in confidenza lo si è fin dal primo momento.

Anche quando lo slancio sentimentale lascia spazio alle considerazioni più logiche e razionali, l’autrice ci restituisce con disinvoltura, in una sola frase, verità che riconosciamo immediatamente col sorriso:

Non è certo una novità che un grande amore porti con sé dei cambiamenti. Il brutto è che si cambia solo a metà, e adesso lei è composta di due metà che non stanno affatto bene insieme, che litigano in continuazione, e nessuna delle due vuole cedere di un millimetro.

Le trasformazioni dell’individuo vanno di pari passo con quelle storiche: in Gilgi, una di noi, come in tutte le vicende raccontate da Keun, la donna è protagonista della propria vita come di scottanti questioni sociali: per mezzo della sua voce si parla di politica, maternità, aborto, emancipazione, disuguaglianza. La naturalezza e il pungente umorismo con cui la scrittrice presenta i drammi della sua generazione, i dubbi dietro a ogni scelta, l’hanno resa una delle scrittrici – se pur poco conosciuta in Italia – più originali e lungimiranti della sua epoca. 

E fuori c’è così tanto! I nazisti bastonano i comunisti, i comunisti bastonano i nazisti, perché tutti credono di aver ragione. Si scrivono moltissimi giornali, a destra e a sinistra, e a destra e a sinistra non vuol dire in mezzo. E il mondo si tiene la pancia dal ridere, voi mi spennellate solo i colori delle vostre idee politiche sul viso e un’unica, minuscola goccia di pioggia li lava via… con me potreste anche farcela – ma sì – un chiasso così pieno e al contempo privo di senso… e una piccola nuvola apre la bocca e sputa sul vostro non-viso, in maniera assolutamente accidentale. Accadono molte cose nel mondo e non succede niente, proprio perché accadono molte cose – un sofisma gridato violentemente alla terra che rimbalza – non vi si manda proprio giù… e succedono molte cose di fuori… E il sole si innamora di nuovo della terra, con i suoi baci la rende un giocattolo tutto colorato, verde e fiorito… lui si ama, ancora più caloroso e ardente, nel proprio specchio.

C’è sempre una rinascita dietro a ogni annullamento e a ogni tragedia: un fuoco inspiegabile si accende dalle macerie. Gilgi ce lo ricorda con coraggio, umiltà e un pizzico di follia e nel lasciarci, su quel treno per Berlino, in realtà ci porta con sé, dritti verso un nuovo inizio. Perché qualunque sia la nostra paura, viene spazzata via dall’impetuoso vento che il viaggio porta con sé, e al suo posto resta un’unica certezza: se ce l’ha fatta Gilgi, ce la farò anch’io.