Non è giusto che noi continuiamo a vederci
-Non è giusto che noi continuiamo a vederci, io magari sarò imperfetto però voglio essere coerente. Non ci dobbiamo più vedere, mai più!
-Ma perché?
-La felicità è una cosa seria no? Ecco e allora, se c’è, dev’essere assoluta!
-E che vuol dire?
-Vuol dire senza ombre, senza pena, è difficile per tutti. Per me invece è impossibile, forse non ci sono abituato!
È così che un disperato Nanni Moretti pone fine alla relazione intrapresa con Laura Morante nel film Bianca (1984).
È così che il regista svela con grandissima chiarezza il paradosso e il punto finale e nevralgico del discorso del Don Giovanni kierkegaardiano. Questo perché, sebbene Michele Apicella -protagonista di questo e di molti altri film del cineasta romano – non risulti affatto il migliore interprete di questa ormai leggendaria figura, ne incarna a pieno titolo la fondamentale debolezza psicologica: il desiderio di niente.
Prendo in prestito la definizione che dà Massimo Recalcati nel suo “Ritratti del Desiderio”, coadiuvato dagli studi del grande psicoanalista francese Jacques Lacan, poiché la trovo particolarmente calzante. Questo desiderio di assoluto, senza ombre e senza pene, infatti, inesorabilmente si eclissa nel nulla.
Proseguiamo con ordine, però, analizzando la figura del Don Giovanni. Egli continua a sedurre, in un circolo interminabile, una donna dopo l’altra senza mai esserne appagato, senza mai riuscire a trarre un giovamento più duraturo dell’istante del godimento.
Ecco due parole centralissime: istante e godimento.
Istante, innanzitutto, perché la vita del seduttore è tutta un lungo istante. Non prevede possibilità di futuro costruttive poiché l’intera esistenza si riduce alla seduzione e la seduzione si consuma nella ricezione del segno del desiderio dell’Altro. Segno che si consuma in un istante, il fuoco del desiderio.
Cos’è il segno del desiderio dell’Altro? È la manifestazione da parte del sedotto del desiderio nei confronti del seduttore. E’ di questo desiderio che si nutre il seduttore e ne fa il proprio carburante.
Il desiderio del desiderio dell’Altro, però, ha una doppia faccia nel seduttore. Da un lato il senso di essere riconosciuto e voluto, il vero e proprio godimento, dall’altro il senso di vuoto, la grande condanna del Don Giovanni. Non può bastare solo una donna, non riempie quel vuoto, non sopperisce alla sua fame cronica di desiderio.
È come se, una volta ottenuta la donna, essa si svalutasse e perdesse la capacità di offrire ristoro al suo desiderio frenetico. Perché? Una spiegazione la fornisce ancora una volta Recalcati con un esempio semplicissimo: una signora osserva smaniosa ed eccitata un abito luccicante esposto in vetrina, tuttavia, una volta acquistato ed indossato, essa si rende conto che non è come sembrava, come prometteva di essere. Una debolezza tutta umana, quasi universale direi, apprezzare ciò che non si ha e svalutare ciò che si possiede, ma ciò non vuol dire necessariamente cestinare inesorabilmente ogni cosa che si è riusciti ad ottenere.
Un’altra spiegazione giace in una delle figure fallimentari del desiderio, come le definisce Lacan: l’utopia.
Ciò che voglio è sempre più in là, è la Luna, l’impossibile, e solo l’impossibile mi garantirebbe la felicità. L’estrema idealizzazione della felicità conduce il seduttore a continue delusioni. Mai nessuna donna potrà essere in grado di reggere il paragone con l’ideale di felicità che egli si prefigura, la sua utopia, ed essendone naturalmente incapace, si condanna ad essere scartata, dando vita al celeberrimo circolo vizioso del Don Giovanni, che continua inesorabilmente a ricercare quest’ideale in una sfilza di altre donne, senza mai riuscire nella sua ricerca.
Egli rifugge tassativamente dalle pulsioni carnali e da godimenti grossolani. Anzi, ama davvero, ma più che innamorato della donna da sedurre, egli è innamorato dell’innamoramento stesso, in cui rivede l’assoluto, l’universale, e la risposta al suo vuoto.
L’ideale assoluto di felicità del seduttore si fonde con il suo ideale assoluto di libertà. È ideale, è perfetto, è libero colui che nuota nell’indeterminatezza, che vive le infinite possibilità dell’esistenza e lascia ogni strada aperta con le sue infinite incognite. La scelta porterebbe con sé l’obbligo di limitare questa infinitezza, negandogli la possibilità di essere universale e totale, e dunque diventare assolutamente incompatibile con l’ideale di felicità che il Don Giovanni si prefigura.
In questa impossibilità di ottenere il piacere totalizzante sperato si divora l’esistenza del seduttore. L’infinità delle possibilità di scelta dell’esistenza si mostra vertiginosa e lo ipnotizza, aprendo scenari di immobilità e annullamento totali, esattamente ciò da cui fugge affannosamente.
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