Sara Nevoso
pubblicato 2 anni fa in Facciamo che ero

Mario Lodi, “Cipì”

Mario Lodi, “Cipì”

Cari bambini e cari genitori,

nasceva cento anni fa un uomo davvero speciale, un maestro che ancora oggi avrebbe tanto da insegnare, uno scrittore che ci ha lasciato racconti pieni di vita e verità, un pedagogista che ha imparato parlando con i bambini, un uomo che si è battuto per una scuola nuova, per dare ai più piccoli un ruolo centrale nell’apprendimento, nello sviluppo dei propri talenti, nella ricerca della propria felicità.

Nel 1922, a Piadena, in provincia di Cremona, nasceva Mario Lodi.

Mario Lodi ha le idee chiare fin da ragazzo: da studente si ribella alle manifestazioni per la guerra organizzate dal fascismo e il suo “no” al conflitto e alla dittatura lo accompagnerà sempre, influenzerà le sue decisioni, sia durante il secondo conflitto mondiale, sia, come lontana eco, al momento della ricostruzione del sistema di istruzione del nostro paese.

Lodi è costretto a fare il soldato, scappa tra i campi per tornare a casa dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943, ma nel febbraio del ’44 viene richiamato alle armi, assegnato a Trieste come avvistatore di aerei. Il carico di morte e distruzione che vede piovere dal cielo lo spinge a maturare i piani della fuga; passando per le campagne riesce a tornare a casa e inizia l’attività clandestina antifascista.

Il giovane Mario viene arrestato, percosso, interrogato dai tedeschi e finalmente nel 1945 abbandona il mondo militare e ritorna alla sua famiglia e al suo paese. Colpisce l’immediata capacità di reazione di questo ragazzo che ha fretta di lasciarsi la guerra alle spalle e costruire con le proprie mani e le proprie idee qualcosa di nuovo e di buono. A Piadena fa parte del Fronte della Gioventù per l’indipendenza nazionale e organizza le prime attività libere: un giornale aperto a tutti, il teatro e una scuola professionale gestita da volontari.

Nel 1948 è nominato maestro. Quella dell’insegnamento viene vissuta come una vocazione che lo accompagnerà per tutta la vita. È un periodo denso di studi e di incontri, il tempo dei contatti con il Movimento di Cooperazione Educativa – un gruppo di insegnanti che intendeva adeguare la vita della scuola pubblica ai principi costituzionali – sulla scia delle idee e delle tecniche innovative proposte dal pedagogista francese Célestin Freinet.

Questi riteneva necessaria la fine della scuola come mera trasmissione di nozioni e propugnava l’avvento di una scuola nuova basata su attività espressive, ricerca sul campo, scrittura individuale e collettiva, lontana dai libri di testo, più calata nella realtà.

Il 1956 è l’anno in cui Lodi ritorna al suo paese natale, viene nominato maestro alla scuola elementare di Vho di Piadena e in ventidue anni raccoglie ogni tipo di esperienza avuta con i suoi piccoli alunni per dare vita a una nuova didattica democratica e superare quell’impostazione autoritaria che lui stesso aveva avuto da ragazzo.

Il suo percorso di maestro inesperto, tra fallimenti, successi e soddisfazioni, è ben raccontato nel libro C’è speranza se questo accade a Vho del 1963: Mario Lodi tiene una sorta di diario le cui pagine trasudano impegno e voglia di cambiare, abbattendo muri solidi e apparentemente invalicabili. In questi anni realizza molti libri per i bambini e con i bambini, tra tutti Cipì, Bandiera e La Mongolfiera.

Sempre nel ’63 a Barbiana avviene l’incontro con don Milani. Le diversità di approccio tra i due sono completamente accantonate e lasciano spazio a un proficuo confronto culturale e pedagogico che pone al centro l’educazione e la voglia di dare il massimo per formare adulti migliori, capaci di trovare il proprio posto nel mondo.

Nel 1970 viene pubblicato Il paese sbagliato: si tratta di un diario dell’esperienza da maestro tra il 1963 e il 1969, un resoconto anno dopo anno della vita di classe, dei progressi degli alunni e, parallelamente, della crescita personale dell’insegnante. Il libro è una pietra miliare e ha una grande importanza nella pedagogia del secondo Novecento, che aspirava a raggiungere nuovi traguardi ma non riusciva a levare l’ancora dal porto del passato.

Mario Lodi fu attivo anche fuori dalla scuola.  Il suo impegno e la sua dedizione diedero vita a una miriade di progetti rivolti soprattutto ai bambini; la pensione nel 1978 non significò la fine del suo dedicarsi al mondo dell’educazione, fu solo l’occasione per approfondire, trasmettere ai nuovi maestri i punti fermi del lavoro che con passione aveva svolto per una vita intera.

Tra le tante avventure extrascolastiche del nostro maestro possiamo citare la nascita di «A&B», in seguito «Il giornale dei bambini», scritto e illustrato da bambini considerati cittadini attivi con il diritto di esprimersi e comunicare; la partecipazione con i suoi alunni al film Partire dal bambino che documentava il cambiamento in atto nella scuola; la raccolta di cinquemila fiabe inventate dai bambini, volta a dimostrare che la fantasia dei piccoli era ancora attiva e scalpitante nonostante l’avvento della televisione.

Arrivarono poi importanti riconoscimenti: nel 1989 la laurea honoris causa in Pedagogia dall’Università di Bologna e nello stesso anno il Premio LEGO conferito a «personalità che abbiano dato un contributo eccezionale al miglioramento della qualità della vita dei bambini».

I proventi di questo prestigioso premio serviranno all’appassionato e instancabile Lodi a fondare, in una cascina di Drizzona (sempre vicino a Piadena), la Casa delle Arti e del Gioco: un laboratorio dove si sperimentano vari linguaggi dell’uomo, che darà vita a mostre e pubblicazioni importanti dal punto di vista educativo.

Nel 1994 Lodi affronta anche il problema sociale dell’influenza negativa della televisione sui giovani e cerca di mettere in guardia dal nuovo mezzo multimediale che spinge alla passività e trasmette nozioni in modo quasi autoritario; un inquietante déjà-vu: non aveva forse combattuto un pericolo simile in tutti i suoi anni a scuola? Il maestro autoritario e inebriato dal potere sui suoi alunni stava prendendo le sembianze di una scatola nera che nessuno aveva voglia di spegnere?

Seguono quindi pubblicazioni volte a spronare i bambini e i loro genitori a spegnere il televisore e a osservare la natura, la realtà che li circonda, ponendo le basi per un’educazione ambientale che non ha nulla da invidiare ai progetti di sensibilizzazione che oggi la nostra scuola cerca di portare nelle aule.

Nel 2006 riceve il premio Unicef Dalla parte dei bambini «per aver dedicato tutta la sua vita ai diritti dei bambini perché avessero la migliore scuola possibile».

Cura mostre e rubriche, intrattiene corrispondenze con giovani maestri, fedele alla sua missione di educatore fino alla fine, giunta nel 2014.

Mario Lodi è stato sicuramente un uomo speciale, una personalità rivoluzionaria che ha deciso, dopo aver vissuto gli orrori della guerra, di dedicarsi alla parte più bella dell’umanità: i bambini. In loro ha riposto la speranza di vedere un mondo migliore perché crescere bambini felici, consapevoli delle proprie qualità, capaci di dare un senso compiuto fin da piccoli alla democrazia, significa costruire un futuro da sognare.


di Mario Lodi leggiamo: Cipì

Cipì è un uccellino, e la sua è una storia che scorre sotto gli occhi degli alunni e del loro maestro, attaccati all’unica finestra di un’aula sempre troppo piccola, troppo chiusa.

Il maestro Lodi e i suoi alunni scrivono questa storia sulla lavagna nera della classe: ogni giorno osservano Cipì e quando non riescono a scorgerlo dalla finestra viaggiano con la fantasia e lo trovano immerso in fantastiche avventure.

È quasi commovente immaginare la scena di questa piccola comunità scolastica intenta a scrivere, immaginare, correggere, rivedere; guidata da un adulto che mette al centro i più piccoli e cerca di capirli davvero, si siede in mezzo a loro e li ascolta, quasi pendendo dalle loro labbra e facendo tesoro dei loro racconti.

Lo stesso Lodi dirà: «il maestro con questa esperienza ha imparato che i bambini hanno una loro vita segreta, una loro filosofia. Su questa idea si fonda tutto il lavoro del suo impegno di insegnante e di educatore».

Insieme alla sua classe Mario Lodi scrive un racconto che contiene in sé le emozioni, i valori, le paure, i sogni, i dubbi dei piccoli allievi che li esprimono attraverso la loro personificazione, facendoli diventare passeri, nuvole minacciose, margherite, gufi imbroglioni e pericolosi.

Cipì, l’uccellino protagonista di questo racconto è disubbidiente e coraggioso, impaziente e curioso. Appena nato vuole volare a conoscere il mondo, gli avvertimenti della sua Mamì non servono a spaventarlo o a frenare la voglia di riempirsi gli occhi di tutto quello che gli sta attorno.

Il sole è Palla di Fuoco, il fiume Nastro d’argento e l’ambiente che lo circonda non è altro che una tela piena di colori su cui svolazzare libero per capire e conoscere.

Ci sono pericoli e insidie che la mamma cerca di evitare al suo piccolo: il gatto dagli artigli affilati, i bambini che vorrebbero tenerlo in gabbia, l’uomo con la canna lucente che, pur non sapendo volare, può colpire all’improvviso.

Ma ci sono anche paesaggi splendidi e amici da conoscere: Margherì, il fiorellino poeta che si affeziona subito all’uccellino spensierato che le racconta del mondo, e Passerì che farà battere il cuore di Cipì e diventerà la sua compagna e la mamma dei suoi tre uccellini.

Cipì incontra l’uomo con il fucile ma non lo teme, si sente al sicuro perché lui e i suoi amici possono volare e scappare velocemente. Il colpo di fucile lo coglie impreparato e lo lascia sgomento: perde un amico che si era fidato del suo ottimismo e qui sperimenta il rimorso; aiuta Passerì, anche lei colpita da un colpo della canna lucente, a guarire nascosta tra l’erba e in questo caso scopre l’amore e il prendersi cura dell’altro che proprio nell’essere amato trova la forza per tornare a vivere.

Quando Cipì e Passerì costruiscono il loro nido il nostro uccellino coraggioso comincia a cambiare. La responsabilità di una famiglia da proteggere lo rende prudente e attento, il mondo è sempre un posto da scoprire, pieno di bellezze da condividere, ma è il caso di muoversi solo dopo aver valutato i rischi e ragionato sulla possibilità di finire in trappola.

Chissà se gli allievi di Mario Lodi avevano pensato ai loro genitori, più attenti, più inclini a pensare a quello che potrebbe andare storto, a come evitare pericoli e problemi che spesso i bambini non vedono.

Cipì affronta l’inverno, quando il sole – Palla di Fuoco – sta male e cadono a terra una moltitudine di farfalline bianche, il cibo scarseggia e l’unico modo di trovarne è avvicinarsi agli uomini che, pur nelle loro case, rimangono pericolosi. Il passero si prende cura della sua famiglia e dei suoi amici, cerca di spingerli a resistere per evitare la loro cattura, qualcuno si fida, altri non resistono ai morsi della fame e non tornano più ai loro nidi.

Quando l’inverno finisce un nuovo pericolo minaccia la comunità dei passeri: si tratta di un gufo, il Signore della Notte, che dispensa saggi consigli agli uccellini incantandoli con i suoi occhi luminosi che sembrano stelle, ma in realtà mangia i loro piccoli dopo averli attirati nella sua tana.

Cipì e Passerì sono gli unici ad aver capito le vere intenzioni del gufo e cercano di mettere in guardia gli altri passeri, ma non è facile essere creduti senza prove; gli uccellini non sembrano pronti a mettere in discussione tutto quello in cui hanno sempre creduto.

«Ci vuole pazienza, chi è nel giusto deve saper attendere»: così Cipì affronta la situazione e alla fine riesce a dimostrare a tutti che il gufo non è il saggio consolatore che tutti credono, ma un subdolo imbroglione che sopravvive a scapito dei piccoli passeri ingenui e curiosi.

Alla fine della storia Cipì, da uccellino disubbidiente, fonte di preoccupazione per la sua mamma, diventa un eroe altruista e saggio, capace di valutare le situazioni in cui si trova, di proteggere la sua famiglia e i suoi amici, di guidare una piccola comunità che unita è sicuramente più forte.

C’è proprio tutto in questa storia semplice. Cipì è fiducia, speranza, coraggio, voglia di pace, di serenità, di amore, è rispetto per l’ambiente, per i tempi della natura, consapevolezza che, nonostante i pericoli, la sofferenza, la perdita, la guerra che a volte le nuvole nere si fanno senza motivo, il sole tornerà a splendere alto come una palla di fuoco ed illuminerà un mondo che va compreso e che ha spazio per tutti.

Il modo in cui Cipì e Passerì crescono i loro figli è quasi un manifesto programmatico, gli insegnano «ad essere laboriosi per mantenersi onesti, ad essere buoni per poter essere amati, ad aprire bene gli occhi per distinguere il vero dal falso, ad essere coraggiosi per difendere la libertà».

I valori della democrazia pulsano tra le righe di questo racconto scritto da un maestro e dai suoi alunni, a loro volta impegnati a costruire una reale comunità democratica proprio a partire dalla loro classe, dal loro vivere insieme, dal loro considerarsi reciprocamente degni di essere ascoltati, capaci di esprimersi e di arricchirsi gli uni gli altri; dalla capacità di dare risalto alle qualità di ciascuno che non dipendono dalla quantità di nozioni imparate, ma dal pieno dispiegarsi delle proprie inclinazioni.

Mario Lodi avrebbe ancora tanto da insegnare, il suo credere nel bambino, nelle sue potenzialità, nell’infantile interpretazione delle categorie della realtà ha cambiato la pedagogia e l’istruzione.

I suoi libri sono punti di riferimento preziosi a cui non solo gli insegnati, ma tutti coloro che si trovano a essere educatori possono attingere per regalare ai bambini la versione migliore possibile di una didattica coinvolgente e inclusiva.