Lorenzo Paolini
pubblicato 6 anni fa in Letteratura \ Recensioni

Atlante delle ceneri

o un prontuario tardivo

Atlante delle ceneri

Blake Butler scrivendo Atlante delle ceneri, (Pidgin edizioni 2018) scrive un libro necessario. Necessario per rivitalizzare la responsabilità morta dell’Uomo verso la Terra, verso una solidarietà umana che deve germogliare in primo luogo proprio nei confronti del suolo che calpestiamo, dell’aria che respiriamo e del mondo che abitiamo. Se questo manca, se l’Uomo continuerà a dimenticarsi che iniettare veleno nella terra vuol dire consumarla fino a distruggerla, allora le conseguenze saranno disastrose. Di ammonimenti ne abbiamo già avuti, e il fango, le alluvioni e le recenti devastazioni che hanno piegato la colonna vertebrale d’Italia sono cupi avvertimenti a non tirare troppo una corda che quando si spezza è sempre inevitabilmente troppo tardi; a ricordarci di proteggere e custodire la Natura, come se fosse una storia d’amore da preservare. Atlante delle ceneri è la storia triste di quest’amore finito male, finito per sempre, della Terra che ci sputa addosso il veleno che le abbiamo regalato, della Terra che è gonfiata da escrescenze tumorali, di un cielo che lievita fino a scoppiare, di un consorzio umano scaduto nel nulla e ridotto a carne malata, pelle gialla e ricordi sbiaditi di un tempo in cui c’era la famiglia, gli amici, la vita allora spensierata. Se c’è una cosa che Blake Butler ottiene con il suo romanzo, è quella di inorridire e di far riflettere e, se un libro fa pensare, allora è un libro buono.

Un altro muro portante del libro sono tutte le tragiche ed estreme conseguenze orrorifiche che impattano crudelmente contro l’immaginazione del lettore per il contesto solido nel quale sono calate e per il concetto forte di cui sono foriere. Dal cielo piove acqua e ghiaccio, ma arrivano a piovere anche vetro e ghiaia, ovunque, sulle case, sulle strade e sulle spiagge dove le balene spiaggiavano mezze marce, le loro enormi teste morbide percosse dalle pietruzze che piovevano. Il cielo si apre e rigurgita l’impensabile, conati di vomito che buttano fuori tutto quello che gli abbiamo dato da mangiare; l’ultima indigestione della Terra su tutti noi, le moderne piaghe d’Egitto che rispondo alle legge eterna del Karma: adesso vi restituisco quello che mi avete consegnato, sembra gridare la Terra. E se nel romanzo il mondo è livido, in procinto di andarsene, gli uomini, l’umanità, le storie della gente che Butler riporta, sono all’insegna dell’ impossibile. Esplodono i sentimenti: rimane solo cenere. Si gonfiano i visi: diventano irriconoscibili. Muoiono i fratelli: si rimane soli in mezzo a niente. Si soffre come non ci si immagina: si sentono piangere i propri padri. Tutto questo affastellarsi di tragiche conseguenze è reso con grande proprietà dallo scrittore, che porta in ogni frase l’intensità del momento descritto attraverso la poesia e lo coniuga con la fluidità narrativa della storia. L’alternarsi di periodi più propriamente narrativi con periodi poetici permette a questo libro di avere una sua costellazione davvero particolare, una sua consistenza molto precisa che non è detto si riesca ad apprezzare subito, ma per la quale è necessario immergersi completamente, sia nelle parole sia nell’atmosfera di quello di cui si parla per capirne la forza. Infatti mediante questa mescolanza di stile poetico e di diversi stili narrativi Butler riesce a rendere concreto l’ambiente esterno: l’atmosfera è resa come se fosse viva e, proprio perchè viva, diventa corpo malato dinanzi ad un’apocalisse imminente. Non soffrono solo le persone, non si gonfiano solo le teste degli uomini perché esposti a radiazioni, non si accatastano solo i cadaveri, ma piange anche il cielo, si gonfia la terra, banchi di pesci molli e appassiti sotto il sole si spiaggiano a riva, e se sono salmoni la spiaggia avrà un colore rosso pallido.

Nel romanzo, poi, ci si trova spesso davanti a violazioni di tabù logici che consegnano al lettore un grande impatto visivo. La vita dei personaggi è smembrata con periodo secchi e decisi, frutto del binomio poesia e altri stili narrativi.

Smog e il vapore ignoti che si riversavano verso l’alto per unirsi alla brodaglia del cielo. Tutta l’aria puzzava di fuoco, merda, olio e capelli liquidati.

La violenza è sdoganata come un fiume in piena, come qualcosa che non può essere contenuto, come qualcosa di inevitabile in un mondo che cade a pezzi. E in questa follia senza niente, il ricordo del passato trafigge dolorosamente il presente e allora si cercano risposte nelle foto, nei visi e nelle labbra di chi non esiste più, per ricordare…

(…) fare in modo che le sue piatte labbra sussurrassero più chiaramente cosa dimenticare, dove crescere.

Perchè dimenticare per crescere e crescere per dimenticare sembra non essere più possibile. L’incredibile originalità narrativa e la peculiare veste grafica del libro che riserva sorprese in ogni capitolo, rendono Atlante delle Ceneri un coraggioso e necessario esperimento editoriale perfettamente riuscito, non per tutti, ma per coloro i quali riconoscono la bellezza di gustare un libro piuttosto che divorarlo pagina dopo pagina, apprezzarlo, capirne il ritmo e assaporandone le parole, perchè Butler ha scritto una letteratura difficile da digerire, una letteratura, mi verrebbe da dire senza forzare il termine, d’avanguardia.
Ma forse, in conclusione, tra carne senza più spirito, uomini senza voglia di nulla, distese di plastica dove poteva esserci il Verde, una feritoia di luce che si apre alla speranza esiste, parole di conforto per l’avvenire, forse possono sempre essere pronunciate. Nel lungo intrecciarsi dei capitoli dove le vicende sembrano incrociarsi e sovrapporsi, dove le cose non hanno più una logica quando si rompe il muro del reale e delle convenzioni e sfocia sul mondo il fiume delle conseguenze con le quali tutti devono fare i conti, si può ancora sperare che dalle ceneri del mondo una scintilla sorga di nuovo, animata dalla luce, e che rinasca. Come una fenice.

Senza più nulla da nessuna parte, chiusi gli occhi e aspettai,ultimo tra tutti,solo. (…) Invece, quella notte vidi sorgere la luna. Mi rotolai e mi spalmai di fango, urlando.

 

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