“Il sindaco del Rione Sanità” di Mario Martone
Il buio ha spesso rappresentato per Eduardo De Filippo il punto di inizio delle sue opere. La scena si apriva con le luci del palco spente, simbolo della commedia della vita che sta per nascere. Mario Martone nel suo Il sindaco del Rione Sanità decide di dare inizio al racconto proprio di notte, come nell’opera originale.
La sequenza notturna del regista però è all’aperto, in una Napoli che viene mostrata subito dall’alto, a sottolineare la presenza della città come prima protagonista dell’intera vicenda che verrà successivamente narrata. Martone attua una rivisitazione dell’opera defilippiana che ha un sapore poco rivisitato per quanto concerne il testo: il regista napoletano utilizza quasi interamente il copione originale dell’opera, adattandolo ai suoi personaggi che invece si dimostrano rinnovati su molti aspetti, in particolare quello anagrafico. Antonio Barracano è il sindaco del Rione Sanità, che dalla sua villa ai piedi del Vesuvio amministra il quartiere napoletano, attuando la sua personale giustizia. Non è esattamente un boss, è piuttosto un capo, una sorta di governatore del popolo. Ritiene che l’ignoranza degli altri rappresenti la sua fortuna, è conscio della sua carica carismatica e del timore che è in grado di incutere.
In un microcosmo in cui la giustizia, quella vera, fa fatica a regolamentare e a mettere ordine, è il sindaco del rione Sanità ad imporre le sue leggi ad personam e ad impedire omicidi ed angherie tra i cittadini. Il personaggio di Barracano è emblematico e racchiude due anime piuttosto contrastanti: impone le sue regole come un boss, ma al contempo non è un criminale consueto e pertanto disdegna gli eccessi di violenza. Nell’opera originale il sindaco era interpretato da un Eduardo anziano, che sottolineava i settantacinque anni del suo personaggio in molte battute. Un uomo che ha vissuto un’intera esistenza votata al comando, che ha saputo guadagnarsi il rispetto del popolo nel tempo, diventando temibile pur assumendo sempre toni risoluti, ma pacati. Francesco Di Leva interpreta il Barracano di Martone, un quarantenne piuttosto attivo e giovanile, che incute un timore differente da quello referenziale attribuibile al suo predecessore sulla scena. Di Leva quindi fa uso di una recitazione piuttosto carica, cercando di imporre la sua giovane presenza come sindaco attraverso i toni più minacciosi di quelli di Eduardo.
Martone effettua un’operazione di “svecchiamento” di tutti i personaggi, che diventano più giovani e dunque più simili ai modelli di camorristi presentati già innumerevoli volte da serie tv come Gomorra; anche la fotografia richiama infatti questo genere ormai da anni consolidato ed acclamato dal pubblico. A fare la differenza è sicuramente il soggetto originale di De Filippo, che permette al regista di uscire dall’impasse alla Gomorra e affini, descrivendo un personaggio piuttosto singolare e non stereotipato. Martone aveva già portato in scena l’opera a teatro, con la stessa troupe, attraverso il progetto Nest, nato nel quartiere napoletano di San Giovanni a Teduccio ed attivo da anni nei locali di una ex palestra riadattata. Sin dalle prime sequenze del film è infatti chiaro l’intento del regista di trasporre la scena teatrale esattamente come l’aveva portata sui palcoscenici, scandendo solo attraverso qualche breve ripresa in esterna il passaggio da un atto al successivo. La carica emozionale nella recitazione degli interpreti richiama fortemente il teatro, alcuni personaggi che escono da una stanza o dalla casa sembrano addirittura congedarsi con una forza enunciativa tipica della rappresentazione teatrale. Nell’ultima sequenza, in cui un Barracano ferito organizza una cena per salutare gli amici e renderli falsi testimoni della sua morte, il cinema arretra di un passo, lasciando spazio al solo teatro, che invade la stanza da pranzo con un’aura quasi spirituale per l’ultima cena allestita dal sindaco.
L’unica differenza che il regista apporta alla trama di De Filippo è comunque sostanziale, in quanto è proprio il finale a subire una notevole variazione, con un sindaco che si congeda dalla vita dinanzi a tutti i suoi commensali, in una posizione quasi plastica, rendendo il suo gesto misterioso ancora più surreale e carico di simbolismo. Il sindaco del Rione Sanità è sicuramente un personaggio quasi utopico, illusorio, che racchiude dei principi genuini, ma li condisce di prepotenza e desiderio di comando. Nel momento della morte Martone lascia che il suo personaggio resti in scena, a differenza di quello di Eduardo, che muoia dinanzi al pubblico per sottolineare la portata della sua scelta. L’ultima scena si chiude con una dissolvenza in nero, come se il sipario immaginario che è rimasto aperto fino a quell’istante, si chiudesse davanti ad un pezzo di umanità che il protagonista sperava di sanare. d