Federica Guglielmi
pubblicato 10 anni fa in Letteratura

Il canto mitico

Cosa sono solite cantare le sirene?

Il canto mitico

Quid Sirenes sint cantare solitae?

Ovvero: “Cosa sono solite cantare le Sirene?

Un quesito, questo, che Svetonio mette in bocca a Tiberio, nel mezzo di altre domande di cui lo scrittore romano non ci fornisce risposta.
Un quesito, questo, che resta insoluto, che ha dato il titolo a numerosissimi saggi, romanzi e articoli, che ha assillato scrittori di ogni generazione: Omero, Platone, Apollonio, fino al più contemporaneo cantautore Capossela.

Cosa poteva esserci nel loro canto di così affascinante e seducente perché ogni marinaio rimanesse ipnotizzato, “perché il diletto di sentir la voce delle Sirene tu non perda.”, come scrive Omero?
Ed è Omero stesso, nella sua mastodontica Odissea, a far parlare, o per meglio dire, cantare così le Sirene: “ma non avvien su tutta la delle vite serbatrice terra nulla, che ignoto o scuro a noi rimanga”. La forza di queste creature mitologiche sarebbe dunque l’essere depositarie di un sapere assoluto? Il possesso di un’infinita conoscenza che da sempre affascina le menti altrui?
Forse, ma è da sottolineare che la conoscenza di queste figure marine si lega strettamente alla memoria di chi ascolta il loro canto. Ad Ulisse cantano le sue imprese, memorie che avranno un qualche impatto nella psiche e nell’emotività dell’eroe che le ascolta, come fossero l’impersonificazione della sua stessa coscienza, una coscienza che mette l’uomo dinnanzi a sé stesso, per provare quanto sia in grado di resistere al canto sensuale ed ammaliatore. Perché sì, c’è anche un chiaro aspetto sessuale e divoratore nel canto delle Sirene.
E’ il loro aspetto ambiguo ad affascinare, è quello che cantano e quello che rimane taciuto ad affascinare ogni scrittore: Kafka riscrive la storia omerica secondo una sua personale interpretazione: non è il canto delle Sirene, ma il loro silenzio a risuonare, paradossalmente, intorno a loro. Sono loro che, affascinate dalla bellezza dell’eroe acheo, rimangono sconfitte, nel loro profondo annientate, sulle rocce.

L’interpretazione intorno alla figura delle Sirena è sempre stata contrastante, così come dissonante è stata l’immagine figurativa a loro associata: nel mondo antico erano descritte come esseri ornitomorfi, “simili in parte ad uccelli si mostravano, in parte a giovani vergini”, come le tratteggia Apollonio, mentre nel Medioevo si tramutano in creature aventi corpo di donna nella parte superiore e coda di pesce in quella inferiore, nel modo in cui siamo oggi abituati a vederle nelle maggiori rappresentazioni, come ne La Sirenetta di Andersen, cui è dedicata anche la celebre statua a Copenaghen.
I motivi del cambiamento di queste creature sono due, uno di tipo linguistico, l’altro ideologico: in qualche bestiario medievale la parola latina pennis, che vuol dire ala, fu dai copisti erroneamente trascritta pinnis, ovvero pinna, generando un’immagine ed una tradizione del tutto nuova; il motivo ideologico si ricollega alla diffusione del Cristianesimo, secondo il quale solo gli angeli potevano essere dotati di ali e le Sirene, con il loro canto mortifero, tutto erano, fuorché esseri angelici.

Ma c’è un aspetto ancor più interessante che ruota intorno a questo mito: accanto alla tradizione che le descrive come pericolose e mortifere creature che ingannano l’uomo con un ammaliante canto per poi trascinarlo in fondo al mare e divorarlo, ve n’è un’altra che le vuole consolatorie accompagnatrici delle anime defunte nell’Aldilà: “Sull’alto di ciascuno dei suoi cerchi stava una Sirena che, trascinata in quel movimento circolare, emetteva un’unica nota su un unico tono; e tutte otto le note creavano un’unica armonia.” scrive Platone nella sua Repubblica.

La Sirena ambigua, quella dalla carica estremamente sessuale che può ucciderti o quella che può renderti dolce la morte, una donna che poi tanto donna non è, sia essa ornitomorfa o ittiomorfa, sono immagini pregne di fascino e mistero che continuano ad ossessionare quegli scrittori mossi dallo spasmodico bisogno di comprendere il motivo per cui questa creatura abbia la capacità di devastare la razionalità di coloro che la ascoltano.

Forse non c’è una risposta abbastanza soddisfacente, ma ricordiamo, d’altronde, che ogni uomo raziocinante trova la sua Sirena, che lo allevia nella vita e consola nella morte o, al contrario, che lo strascina nel profondo degli abissi.