“Cara pace” di Lisa Ginzburg
Ho iniziato la lettura di Cara pace ricca di aspettative, soprattutto dopo aver letto il commento dello scrittore Domenico Starnone: «Due sorelle, una madre che se ne va. Lisa Ginzburg scava nella fragilità della coppia, tra i calcinacci della famiglia, raccontando con abilità estrosa la fatica femminile di crescere proteggendo e proteggendosi. Fino a sorprenderci con l’ipotesi che gettando via lo scudo si comprende meglio la battaglia».
È vero, questa storia familiare raccontata da Maddalena, madre di famiglia e sorella di Nina, è un continuo muoversi tra le rovine della loro infanzia vissuta da orfane pur avendo entrambi i genitori, ma sembra che Lisa Ginzburg resti sempre a fissare la stessa parte di casa venuta giù senza far caso al resto. L’attenzione è tutta puntata sul rapporto tra le due sorelle profondamente diverse; l’una afferma sé stessa grazie all’altra: giocano un eterno braccio di ferro che le vede nemiche e contemporaneamente alleate, ricordando i meccanismi presenti tra le amiche geniali della Ferrante anche se fortemente depotenziati.
Pestifera, e anche cattiva. Alla fine non sei stata né con la tua amica né con me. A forza di dividerti, finisce che non ci sei per nessuno.
Nonostante il loro stretto legame, la incessante condivisione e comunicazione tra le due sembra quasi essere un fastidioso effetto collaterale dell’abbandono subito da parte della madre quando erano ancora bambine. Nina soffoca la sorella con le sue attenzioni e i suoi drammi giornalieri e Maddalena a volte la giustifica, a volte la condanna. Credevo, proseguendo nella lettura, che a un certo punto la narratrice si spingesse un po’ più nel profondo, che indagasse i suoi comportamenti e quelli della sorella non soltanto per condannare il padre assente e giustificare la madre scappata da casa per rincorrere il vero amore e rinascere, ma non è successo. Tutto resta su un piano, a mio parere, molto superficiale e soggettivo: Maddalena sviscera il rapporto con i suoi familiari senza giungere mai a qualcosa di nuovo, tanto che a un certo punto si percepisce la stessa sensazione che si prova quando si passa in una via molto simile a un’altra già percorsa.
Le strade che percorre la protagonista, fisicamente e mentalmente, invece sono soprattutto quelle di due città: Parigi e Roma. Parigi è la città in cui Maddalena vive con suo marito e i suoi figli e in cui non si è mai sentita effettivamente accolta, mentre Roma fa da sfondo ai suoi ricordi. La casa di Monteverde e Villa Pamphili sono solo due dei luoghi romani citati decine di volte, testimoni della sua crescita ma non per questo descritti con un attaccamento tale da farli diventare cari al lettore. Una nota stonata è infatti lo stile irregolare utilizzato dall’autrice, a mio avviso poco coinvolgente: Ginzburg si serve di costruzioni verbali in disuso, per esempio, o giochi di parole tra cui cara pace/carapace (da cui il titolo), per poi passare a un tono completamente diverso, senza un chiaro motivo, generando confusione in chi legge e dando l’idea di poca coesione narrativa che si riflette in una certa difficoltà a calarsi nel racconto.
I miei diciotto anni li avevo festeggiati, d’estate, con un pranzo in trattoria io Nina e Gloria, una domenica afosa e faticosa. Si avvicinava anche la maggior età di mia sorella e il giudice tutelare fissò un incontro con noi e Gloria e Seba, i nostri genitori. Da quando la mamma se n’era andata non era più successo di ritrovarci tutti insieme.
Ho apprezzato molto che Maddalena chiami sempre i genitori per nome, Gloria e Seba, come per sottolineare la distanza emotiva che si era creata molto tempo prima e che non erano più stati in grado di colmare. Mi ha lasciato un po’ interdetta il modo in cui è stata affrontata la figura del padre, uomo insoddisfatto che non riesce a riprendere la sua vita in mano e si trasferisce a Milano per lavoro iniziando a fare uso di droghe. Non c’è preoccupazione nelle parole della figlia: si limita a descrivere il volto scavato di Seba e le sue visite a Roma che scombinano gli equilibri della casa. Questo ritratto costruito passando in rassegna i suoi ricordi è poco lusinghiero e non lascia spazio alla comprensione: Seba è colui che si è interposto tra le due sorelle e Gloria, poco importa se lei li avesse abbandonati.
Maddalena si mette svariate volte nei panni della madre, soprattutto in età adulta, ne comprende le decisioni passate e arriva perfino a condividerle, ma mai dimostra di comprendere le ragioni del padre e a malapena riesce a vederle.
È chiaro che questo sia un romanzo con una forte voce femminile: Maddalena e Nina sono due donne con una grande personalità che fanno valere i propri desideri a discapito di tutto e guardano alle loro macerie emotive come un fardello ma anche e soprattutto come una giustificazione per chi sono e saranno.