Dino Buzzati, “La famosa invasione degli orsi in Sicilia”
Cari bambini e cari genitori,
vi immagino a godervi il periodo delle feste più magico che ci sia e quindi non posso non consigliarvi la lettura di un libro davvero speciale, magari tutti insieme, di fronte a una bella cioccolata fumante che addolcirà un momento prezioso come quello in cui ci si tuffa dentro le storie.
L’autore di questo appuntamento della rubrica è Dino Buzzati.
Scrittore, giornalista, pittore, fumettista, musicista, Buzzati è davvero una miniera di cultura, un uomo eclettico che ha dedicato la vita a raccontare storie: è lui stesso a dichiarare di non poterne fare a meno, di sentirsi quasi costretto a trasformare ogni evento in una storia densa di significati, piena di personaggi.
Basti pensare agli articoli di cronaca nera scritti per il «Corriere della Sera»: Buzzati è uno di quegli scrittori che trasforma il giornalismo in letteratura; non esiste il mero fatto accaduto, ma il racconto di una vicenda umana e delle sue sfaccettature, tanto che le persone coinvolte diventano personaggi consegnati ai lettori, che hanno il compito e il piacere di comprendere storie umane, troppo umane, anche da un breve articolo di giornale.
Dino Buzzati nasce nel 1906, all’inizio del secolo, nella meravigliosa casa di vacanza della sua famiglia, a Belluno, circondato dalle montagne e dai libri della ricca biblioteca che tanto amerà nella vita.
E così immaginiamo il piccolo Dino che si muove tra libri, musica e montagne, passioni che lo segnano e forse lo spingono ad essere introverso, riflessivo, teso alla ricerca dell’assoluto e intento a scovare un senso del destino umano che sembra ineluttabile, beffardo ed onnipotente.
La sua produzione letteraria sarà definita dai più come “fantastica”, t, ma anche di fantascienza, magia e mistero.
Sullo sfondo delle sue opere sempre l’angoscia, la paura della morte, la convinzione di non avere il tempo di riscattare la propria mediocrità, vivendo nell’illusione di poter cambiare. È la tematica centrale di Il deserto dei Tartari, la sua opera più famosa, dove il protagonista, Giovanni Drogo, combatte con una specie di malattia dell’attesa e perde questa battaglia, bloccato in un luogo fuori dallo spazio e dal tempo, aspettando i Tartari che chissà se arriveranno, e quando.
Buzzati perde il padre, docente di diritto internazionale alla Bocconi, a soli 14 anni, mentre frequenta il liceo Parini a Milano; si laurea in giurisprudenza nel 1928 e subito dopo diventa praticante al «Corriere della Sera».
Il suo primo elzeviro è del 1933 ed è già chiara l’alta qualità letteraria di un giornalista che promette di rivoluzionare la posizione delle parole sulla carta stampata; dello stesso anno è il suo primo romanzo, Barnabò delle montagne, cui seguirà Il segreto del Bosco Vecchio.
Buzzati scrive senza sosta, dimostrando che la sua è davvero una necessità, un bisogno impellente di interpretare letterariamente il mondo, di non perdere neppure un’occasione di far leggere al mondo quella vita a cui era così difficile dare un senso pieno.
Il «Corriere della Sera» è la sua tela bianca; non si contano gli articoli prodotti: come corrispondente di guerra nel 1940 ad Addis Abeba, come inviato sportivo nel 1949 al Giro d’Italia e ancora come vicedirettore, scrittore di racconti brevi, cronista. Numerose saranno le antologie pubblicate postume che raccolgono articoli e racconti unici nel loro genere.
Nel 1967 si dedica a scrivere di arte; anche in questo campo il nostro scrittore è pioniere di un nuovo modo di raccontare opere artistiche: nessun tecnicismo, ma parole che rendano l’emozione e lo stupore di fronte a tele e colori. Buzzati ama la pittura ed è lui stesso un pittore di talento: è del 1952 il suo quadro più famoso, che ritrae piazza del Duomo di Milano come una montagna dolomitica, e del 1969 è il suo poema a fumetti Orfeo ed Euridice, che fonde simbolismo, pittura metafisica e surrealismo in quella che può essere considerata una delle prime graphic novel italiana.
Il nostro autore è anche sceneggiatore: collabora con Fellini, scrive per il teatro libretti d’opera e si scopre scenografo e costumista lavorando con il musicista Luciano Chailly, proponendo un linguaggio letterario-musicale tutto nuovo in cui la narrativa immaginifica è accompagnata dalle note del mondo musicale italiano del dopoguerra, all’epoca accolto anche a suon di fischi, che meriterebbe senza dubbio di essere riscoperto e valorizzato.
Nel 1958 vince il Premio Strega con i Sessanta racconti, dove si ritrovano alcune delle tematiche care all’autore: l’inquietudine, la spersonalizzazione dell’uomo borghese del dopoguerra che diventa un paradigma dell’uomo di tutti i tempi, in fuga da sé stesso e dal tempo; l’angoscia della morte e del passaggio dal mondo fisico a quello metafisico sconosciuto e incomprensibile, che possiamo provare a descrivere solo allegoricamente.
Buzzati muore a Milano nel 1972 e le sue ceneri vengono sparse sulle amate Dolomiti, scenario delle sue camminate, protagoniste di un rapporto con la natura intenso e fondamentale.
È attraverso le sue parole che possiamo rintracciare le radici di un’inclinazione per un mondo surreale e denso di immagini e significati ulteriori. Come ci rivela in un’intervista pubblicata su «il Conciliatore» lo stesso Buzzati, «ritengo che la mia propensione verso il fantastico sia, come tutte le propensioni dell’uomo, legata ad esperienze infantili. La mia famiglia, i luoghi in cui ho vissuto, ma soprattutto i ricordi di quando ero piccolo […] le montagne hanno esercitato su di me un influsso straordinario. In più c’era in casa una signorina tedesca che ci raccontava le fiabe del nord poco note in Italia».
Il mondo immaginifico in cui si muovono i personaggi creati da Buzzati può essere interpretato con diverse chiavi di lettura: una chiave la hanno sicuramente i bambini. Che forse più di altri si muovono a loro agio tra creature fantastiche e scenari straordinari, senza inoltrarsi alla ricerca di significati cupi e ulteriori, godendosi il viaggio perché sicuri che tutto sia possibile.
È quello che accade leggendo La famosa invasione degli orsi in Sicilia (1945), prima apparso a puntate sul «Corriere dei Piccoli», di cui Buzzati racconta la nascita nel testo a cura di Maria Teresa Ferrari Buzzati racconta. Storie disegnate e dipinte: «tanti anni fa, ogni mercoledì, la famiglia di mia sorella veniva a pranzo in casa nostra. Siccome mi sono sempre divertito a disegnare, una di quelle sere le nipotine Pupa e Lalla, mi hanno chiesto: “Zio Dino, perché non ci fai un bel disegno?”. Allora ho preso le matite colorate e, chissà perché, mi sono messo a fare una battaglia tra orsi e soldati, in un paesaggio di neve».
di Dino Buzzati leggiamo: La famosa invasione degli orsi in Sicilia
Sono sicura che, qualunque età abbiate, vi innamorerete degli orsi che in un tempo imprecisato scesero dalle montagne della Sicilia (in realtà quando il racconto apparve a puntate sul «Corriere dei Piccoli» scendevano dalle montagne della Maremma toscana, ma poco importa) per cercare il cibo che cominciava a scarseggiare e incontrarono gli uomini, vivendo avventure incredibili che Buzzati riporta con ritmo incalzante in un libro che è insieme una cronaca, una favola, una fiaba, una ballata, impreziosito dai suoi disegni meravigliosi e da filastrocche bislacche ed evocative.
Quando i suoi sudditi stanchi ed affamati spingono per scendere verso la pianura, il re Leonzio accetta e li guida verso le terre degli uomini, covando la speranza di ritrovare il figlio Tonio, rapito sotto ai suoi occhi anni prima.
Tra gli umani regna l’antagonista per eccellenza, il borioso Granduca che, avvertito dal professor De Ambrosiis, astrologo e profeta di corte, di una prossima invasione dalle montagne, invia i suoi soldati a massacrare qualunque essere vivente e caccia il professore da corte dopo averlo frustato.
Gli orsi sono nascosti nelle grotte e, una volta allo scoperto, costringono i soldati a scappare rincorsi da enormi palle di neve che uno di loro scaglia dall’alto di un picco.
Nel loro ambiente naturale gli animali hanno la meglio sulla cattiveria e sull’astuzia degli uomini, è come se Buzzati volesse comunicarci (anche) questo.
La disfatta del Granduca è evidente, gli orsi festeggiano e De Ambrosiis decide di offrire loro i suoi servigi; è un mago con una bacchetta magica che ha a disposizione soltanto due incantesimi, e Leonzio lo incarica di ritrovare Tonio.
Il professore, che da sempre teneva gelosamente per sé i due incantesimi, cerca di rifiutarsi e di non sprecare magia per aiutare Leonzio; la discussione tra i due va avanti fino a quando il re viene avvisato di un nuovo imminente pericolo: la terribile armata di cinghiali del sire di Molfetta, cugino del Granduca, sta per attaccarli.
Gli orsi, che erano addormentati dopo aver festeggiato tutta la notte, sono del tutto impreparati all’attacco, la paura è tanta e De Ambrosiis sentendosi in pericolo decide di usare un incantesimo per trasformare i cinghiali in palloni volanti.
Il mago cova rancore e rabbia perché è stato costretto a usare uno sei suoi preziosi incantesimi. Per vendicarsi degli orsi li conduce verso Rocca Demona, un castello abbandonato infestato da fantasmi, sperando che gli animali soccombano per lo spavento. Ma il suo piano si rivela assolutamente mal pensato; gli orsi, ingenui e fiduciosi, non hanno alcuna paura degli spiriti, anzi, tra di loro ritrovano eroi della battaglia appena passata.
Uno di questi è Teofilo, amico del re, che sta per rivelare dove si trova Tonio, quando la fine dell’incantesimo che rendeva visibili i fantasmi lo fa sparire.
Leonzio ha solo un indizio: il suo amato figlioletto si trova a T…
Alcuni orsi gli parlano del castello di Tremontano, dimora delll’orco Troll, troppo vecchio e costretto a farsi aiutare dal terribile Gatto Mammone.
Qui gli orsi si lanciano in una nuova battaglia, traditi da De Ambrosiis, che suggerisce al Troll di liberare il Gatto per sopraffare gli animali: molti vengono mangiati dall’enorme felino, fino a quando l’orso Smeriglio si arma di coraggio ed entra nella bocca del mostro con una bomba che ne segna la fine.
Gli orsi hanno vinto ancora, ma Leonzio non trova Tonio, in un castello rimasto completamente vuoto dopo la fuga del Troll e del professor De Ambrosiis.
A questo punto la storia arriva a un punto decisivo: gli orsi sono arrivati nella capitale del regno del Granduca che, ignaro della loro rimonta, sta festeggiando godendosi a teatro lo spettacolo dell’orsacchiotto Goliath, che altri non è che Tonio, principe degli orsi catturato e umiliato dagli uomini.
Quando Leonzio entra in teatro e riconosce suo figlio, il Granduca, che ha capito ogni cosa, prima di essere ucciso, spara lasciando Tonio in fin di vita, deciso a non concedere il lieto fine ai suoi nemici.
Ma la redenzione del mago De Ambrosiis, egoista e servo del potere, cambia la storia.
Tormentato dai sensi di colpa e colpito dalla sofferenza così profonda di Leonzio di fronte alla perdita del figlio appena ritrovato, il professore usa il suo secondo e ultimo incantesimo per guarire Tonio, la colomba della pace entra in teatro e il racconto degli orsi e delle loro avventure in Sicilia sembra finire nel migliore dei modi.
È infatti qui che le puntate apparse sul «Corriere dei Piccoli» si fermano. Non è chiaro se Buzzati avesse già in mente di continuare dopo la pace, che nel frattempo aveva finalmente raggiunto la nostra penisola e ristabilito equilibri, anche a livello editoriale.
Gli orsi ricomparvero all’improvviso con nuovi capitoli di quello che poi divenne un libro, con un’organizzazione della trama più fluida e unitaria.
Orsi e uomini vivono insieme per tredici anni, Leonzio guarda con nostalgia alle montagne, rimpiange l’ingenuità dei suoi sudditi, sempre più simili ai litigiosi umani.
Gli orsi sono di nuovo in pericolo, questa volta l’attacco degli umani è più subdolo, stanno cercando di renderli simili a loro, li spingono ad essere dissoluti, attaccati alle cose, vanitosi, disonesti ed egoisti.
Episodi gravi minano la stabilità del regno di Leonzio, che l’orso Salnitro vorrebbe cacciare dal trono per prenderne il posto.
Il re assiste alla disfatta morale del suo popolo: gli orsi non fanno che gozzovigliare con gli umani, rubano la nuova bacchetta che il professor De Ambrosiis è riuscito a costruirsi con tanta fatica, mettono su una bisca clandestina dove passano le notti a bere e giocare, saccheggiano la Banca Universale; la moneta cattiva sembra aver scacciato del tutto quella buona e Leonzio si si sente impotente.
Umani ed animali non erano destinati a convivere, la visione pessimistica di Buzzati esplode con forza.
Mi è sempre piaciuto immaginare come nella mente di Buzzati si contrapponessero, anche in questa storia fantastica, montagne e città: da una parte le sue Dolomiti, luogo di natura incontaminata e pace dove il tempo ha un suo perché; dall’altra Milano e le grandi città in generale, luogo della spersonalizzazione dell’uomo, che vive una vita quasi liquida, non scandita dai ritmi della natura ma sempre uguale a sé stessa, in un susseguirsi frenetico e apparentemente senza senso.
La vita di redazione notturna e fluida al «Corriere della Sera» era certamente contrapposta alle giornate passate sulle montagne, che iniziavano al sorgere del sole e finivano serene al suo tramontare.
Siamo verso la fine del libro, tutti i nodi vengono al pettine: Salnitro viene smascherato finalmente come l’orso traditore, Tonio rovinato perché coinvolto nel gioco d’azzardo e un terribile serpente marino che minaccia la città.
Nell’ultima battaglia Leonzio sconfigge il mostro ma viene colpito a morte da Salnitro, a sua volta ucciso dall’orso Gelsomino, l’unico ad aver conservato la purezza necessaria per riconoscere le macchinazioni del perfido e astuto orso.
Il testamento di Leonzio è triste e chiaro: “Tornate quelli che eravate prima. Come si viveva felici in quelle erme spelonche aperte ai venti, altro che in questi malinconici palazzi pieni di scarafaggi e di polvere!”.
finiscono così le avventure degli orsi in Sicilia.
Il racconto di Buzzati lascia l’amaro in bocca ai grandi, l’emozione di una storia piena di colpi di scena ai bambini che, come orsi sulle montagne, sono ancora in grado di non essere corrotti dai mille significati che gli adulti attribuiscono alla realtà e alla fantasia.
La forza di questa storia sta anche nella possibilità della sua lettura a più livelli, infanzia ed età adulta leggeranno queste pagine impazienti di sapere come andrà a finire una storia che inviterà a riflettere, oppure a continuare a fantasticare.
Dalle parole e dai disegni di Buzzati emergono chiaramente il suo amore per la natura, e la sua convinzione che, tutto sommato, la storia dimostri che uomo e ambiente non possono convivere pacificamente: l’uomo cercherà sempre di sopraffare e dominare qualunque elemento naturale, corrompendone la purezza e la bellezza.
Una favola attuale, forse anche ecologista, densa di significato per grandi e piccini.