Dirigono Proust e Hahn
su "Il vento attraversa le nostre anime" di Lorenza Foschini
Come un pentagramma riunisce tra le sue righe spazio e tempo, così Il vento attraversa le nostre anime. Marcel Proust e Reynaldo Hahn. Una storia d’amore e d’amicizia di Lorenza Foschini, condensa in ogni capitolo, dichiarandoli già nei titoli, un luogo e un momento delle vite di Proust e Hahn. Sono soglie, questi titoli, aperte sulle vicende umane e artistiche dei due protagonisti del libro.
Foschini ricostruisce il rapporto tra Proust e Hahn in un accurato equilibrio tra vicende personali e artistiche. Nel Contre Sainte-Beuve Proust biasima la pratica di indagare le minuzie biografiche dell’autore per spiegarne l’opera:
Cette méthode, qui consiste à ne pas séparer l’homme et l’oeuvre […] méconnaît […] qu’un livre est le produit d’un autre moi […]. Ce moi-là […] c’est au fond de nous-mêmes, en essayant de le recréer en nous, que nous pouvons y pervenir.
Alla luce di questa teoria, la ricerca di Foschini non punta a spiegare la Recherche o l’Île du rêve di Hahn, ma a mostrare il ricco humus di sentimenti, emozioni e ossessioni che li presuppone.
Sono due le direttrici principali del libro: da una parte la storia d’amore e d’amicizia tra Marcel e Reynaldo; dall’altra la loro attività artistica che si dispone nel tempo a formare un chiasmo: negli anni della giovinezza il giovane Hahn è celebre, mentre Marcel è alle prime armi come scrittore; anni dopo, l’astro di Proust crescerà contemporaneamente al declino dell’amico.
L’autrice ricostruisce i rapporti tra Marcel e Reynaldo: una parabola che dall’innamoramento degli anni giovanili, si trasforma in una lunga amicizia che durerà fino alla morte di Proust, nel 1922.
All’interno di queste due macroaree, prendono vita luoghi e protagonisti du côté de chez Proust et Reynaldo: i volti dell’alta borghesia e dell’aristocrazia nei cui salotti il giovanissimo Marcel si immerge con appassionata curiosità, conoscendovi un già famoso Reynaldo.
I due si incontrano a un ricevimento di Madame Madelaine Lemaire, nella serra-atelier di rue de Monceau, dove la padrona di casa dipinge i suoi quadri a tema floreale («Nessuno tranne Dio, ha creato più rose» disse Dumas figlio, che della Lemaire però era l’amante, tant’è che André Germain, qualche anno dopo, non si fece particolari problemi, nel suo Les Clés de Proust, a definirla «la massacreuse de roses»).
È il 1894 e tra Proust e Hahn nasce subito una fortissima complicità che non può non collidere con le convenzioni sociali dell’epoca:
Entrambi di origine ebrea, per parte di madre Marcel e per parte di padre Reynaldo. Entrambi omosessuali. Due aspetti fondanti le loro formazioni, indissolubili e determinanti nelle loro esistenze come nella loro arte: nella società del tempo sono già avvertiti come duplice condanna,
nota Foschini.
Il rapporto tra Proust e Hahn da un lato gode della libertà che Madelaine e la figlia Suzette concedono ai due giovani presso il loro salon; dall’altro non mancano le ostilità del perbenismo borghese che, fuori da quell’ambiente protetto, incute nei due giovani la paura di essere scoperti.
Il petit clan della Lemaire si sposta in estate nel castello di Réveillon, dove Proust e Hahn trovano una tranquilla isola d’intimità per condividere musica e letteratura.
In questi anni Hahn ha già composto vari pezzi musicali, delizia dei più alti salotti parigini, come Si mes vers avaient des ailes e Rêverie. Lo elogiano Edmond de Goncourt nel Journal e Stéphan Mallarmé in alcuni versi; Alphonse Daudet gli affida le musiche di scene per una sua opera teatrale, l’editore Hartmann gli commissiona un’opera tratta da un romanzo di Pierre Loti. Mentre trascorrono insieme le incantevoli giornate a Réveillon, Reynaldo compone l’Île du rêve e Marcel lavora a Les plaisirs et les jours,che proprio Madame Lemaire illustrerà coi suoi acquerelli.
Ma a Réveillon è Wagner ad animare le discussioni e a essere terreno di incontro e scontro per tutti gli invitati, compresi Proust e Hahn. All’inizio del 1894 Marcel assiste al Lohengrin e ad alcune scene del Parsifal (l’ascolto integrale avverrà solo nel 1914): “Aveva rinunciato a recarsi a Versailles, da Montesquiou, pur di non perdere la rappresentazione” scrive Foschini, che rintraccia proprio in questa fase della vita di Proust l’inizio della sua passione per Wagner, non corrisposta però da Reynaldo:
La sua è una posizione che manterrà per tutta la vita, rimanendo indifferente a innovatori come Fauré e Debussy e disprezzando un musicista originale come Satie per il quale ha parole di spregio.
Potremmo dire che, prima che arrivi la gelosia ossessiva di Marcel ad aprire una lacerazione nell’idillio tra lui e Reynaldo, è la musica a segnare un distacco: Hahn è allievo di Jules Massenet, ama Gounod e Saint-Saëns, per lui la musica è subordinata alle parole, al canto di cui rimarrà fedele cultore. Proust invece cerca nella musica l’arte capace di risvegliare le profondità dell’anima (l’autre moi di cui parla nel Contre Sainte-Beuve) interessandosi ai suoi significati metafisici e simbolici.
A Réveillon, comunque, l’amore è esploso e per nulla al mondo Marcel vorrebbe sacrificarlo sull’altare di una visione della musica, benché per lui si tratti di un elemento di fondamentale importanza.
L’intimità tra i due ha un suo codice linguistico specifico che emerge soprattutto dal carteggio, dalla fine del 1894: spiritoso e ironico, privo di pruderie, che non teme doppi sensi e allusioni erotiche. Proust si cela dietro il nomignolo di «pony», Reynaldo è il suo «master» e si diverte a provocarlo e dichiarargli completa devozione.
Dal carteggio con Hahn emergono anche i disegni del 1908 che mostrano la vena sadomasochistica e, per così dire, perversa di Proust: sullo sfondo la vetrata di una cattedrale gotica e, in primo piano, il pony-Marcel sotto il dominio di un Reynaldo-stallone. Uno stridente scontro tra profano e sacro che fa pensare ai templari del Bafometto di Klossowski, alle metafisiche perversioni cui danno sfogo, al linguaggio con cui è mediato il loro purgatorio di anime lussuriose.
C’è anche la musica, ovviamente: la petite phrase, prima di suonare per Swann e Odette, suona in rue du Cirque, a casa di Reynaldo che aveva trascritto,
semplificandolo, il tema in fa maggiore del primo movimento della Sonata in re minore di Saint-Saëns […] che egli doveva ripetutamente eseguire al pianoforte per fare piacere a Marcel. […] La petite phrase è un elemento così importante, così consustanziale all’amore di Marcel per Reynaldo che la troviamo già descritta nel Jean Santeuil.
La gelosia, tema tanto importante nella Recherche (prima quella di Swann per Odette, poi quella, come in un rapporto figurale, del Narratore per Albertine) si riversa su Reynaldo con il suo carico di pietà e angoscia:
La necessità assurda di possedere in modo esclusivo la persona amata genera altre forme morbose: il sospetto, la gelosia, gli interrogatori pressanti, le investigazioni. Ossessioni che possono essere placate solo se l’oggetto del nostro amore è disposto a sottoporsi a richieste impossibili,
scrive Foschini riferendosi proprio a Proust.
È una frattura che allontana progressivamente Reynaldo da Marcel, decretando la fine di un amore in cui già altre figure avevano interposto la loro presenza, come quella di Lucien Daudet, figlio minore di Alphonse, nel salotto del quale Proust fa il suo ingresso alla fine del 1894. I Daudet sono un capitolo importante della nella vita di Marcel, per cui il piccolo Lucien diventerà più di un semplice amico. Sarà proprio lui a suggerire il titolo Les plaisirs et les jours al libro che Proust avrebbe intitolato Le Château de Réveillon.
Nel 1896 avviene la rottura: due camere separate, quelle di Proust e Hahn, che non smetteranno di comunicare e in cui, come per Tondelli, la scrittura avrà un ruolo taumaturgico, di riscatto:
Sono questi i sentimenti che prova Marcel al momento della rottura con Reynaldo. Sentimenti vissuti così intensamente da lasciare in lui un ricordo profondo e indelebile che trasferirà non solo nel racconto della sofferenza di Swann per la fine del suo amore ma, anche in seguito, nelle pagine della Prigioniera, quando descriverà il dolore del narratore per la perdita di Albertine.
Per otto anni il carteggio tra i due consta soltanto di qualche rara lettera. Continuano a frequentare insieme la vita parigina dei salotti, dei caffè e dei teatri. S’incontrano anche a Venezia, per una vacanza nella primavera del 1900. Poi, l’ingresso nel nuovo secolo tende verso due eventi, uno artistico e l’altro storico: la Recherche e la Grande Guerra. Partito volontario, Reynaldo si accorge presto che il primo conflitto mondiale è un’escalation di violenza inutile e feroce. Torna deluso in un mondo molto diverso dalla Belle Époque in cui era sorto il suo astro. Non è più il prodigio dei tempi di Madame Lemaire: nel 1918 Reynaldo è deluso, ha il rimorso di non aver creato il capolavoro cui sembrava destinato; lo pagano per suonare ai concerti e ai ricevimenti, ma ben altri sono i compositori e le correnti musicali che animano la Parigi a cavallo tra gli anni ’10 e ’20.
Durante questi anni, Proust vive una Parigi ferita dalla guerra, perde molti dei suoi amici ma non smette di interessarsi alla musica: Beethoven, Franck e Fauré sono gli autori di riferimento.
La sua salute diventa precaria. Sono gli anni del boulevard Haussmann: l’incontro con Agostinelli e la sua morte, una della più profonde tragedie per Marcel, l’arrivo di Céleste Albaret, la fedele domestica che nel 1913 fa il suo ingresso in casa di Proust a pochi giorni dalla pubblicazione del Du côté de chez Swann. È proprio la Prima guerra mondiale a fare da spartiacque tra il primo volume della Recherche e il secondo, che sancisce il successo di Proust: nel 1919 À l’ombre des jeunes filles en fleurs riceve il prestigioso premio Goncourt. Gallimard, Rivière e Tranche lo annunciano all’autore nella sua camera da letto; l’emozione è così forte che per giorni Proust subisce violentissimi attacchi d’asma.
Più che il successo, ad allontanare Proust dalle amicizie di un tempo è il disperato tentativo di portare a termine la sua oeuvre cathédrale in condizioni di salute sempre più difficili. Visti dall’esterno, questi sono gli anni delle sfarzose cene al Ritz con i membri della Nouvelle Revue Française, ma fino al 18 novembre 1922, poche ore prima di morire, Proust lavora al suo capolavoro.
Se in Jean Santeuil e in Les plaisirs et les jours la presenza di Reynaldo è forte e decisiva, nella Recherche sembra scomparire: rimane solo un accenno all’Île du rêve nelle parole di Cottard nel Temps retrouvé, ultimo volume del romanzo. «Un po’ poco» scrive Foschini.
Effettivamente, cosa ne è di Reynaldo Hahn? Rimase vicino a Proust fino alle ultime ore di vita; eppure, la Recherche pare dimenticarsi di lui. Perché?
Penso che la risposta sia da cercare da una parte negli studi musicologici dedicati alla Recherche, dall’altra proprio nelle testimonianze ricostruite da Foschini.
Partiamo dai primi. «Nell’opera di Proust, la musica è l’elemento catalizzatore» scrisse Beckett nel suo celeberrimo saggio. Come Roland Barthes parla delle clefs che si celano dietro i personaggi del romanzo, allo stesso modo numerosi studiosi hanno indagato i riferimenti musicali presenti nella Recherche. La bibliografia è ricca, da Matoré e Mecz che hanno tracciato le ricorrenze di opere e autori, a Benoist-Méchin sul ruolo delle similitudini musicali, fino a Ferguson, Debenedetti, Milly, Magnani. Certo, svelare le clefs musicales è difficile, forse impossibile, data l’abilità di Proust a confondere, unire e intrecciare fonti e riferimenti. D’altronde, citando Barthes,
cette énergie cryptologique constitue un symptôme: les clefs ne renvoient pas à Proust mais au lecteur; les clefs, le désir, le plaisir des clefs est un symptôme de la lecture.
Nell’interesse di Proust, più che creare legami biunivoci tra la sua opera e vari autori, c’era la ricerca, nella musica, delle ragioni estetiche e metafisiche della sua creazione letteraria. La Recherche, che nasce da due poli (l’inizio e la fine, scritti per primi da Proust) tra i quali, come nell’esplosione di un buco nero, si dilatano materia e antimateria della sua fluviale narrazione, è un’opera che aspira a racchiudere in sé la totalità dell’esistenza e dell’arte. Il riferimento più importante per questa concezione del romanzo non poteva che essere la Gesamtkunstwerk wagneriana. Jean-Jacques Nattiez spiega che entrambi gli autori erano posseduti dal demone dell’unità:
Sì, esattamente come Proust, ma in un modo diverso, Wagner ha scritto sempre la stessa opera. C’è in lui la stessa passione per la totalità che si riassume in segrete esitazioni o in reminescenze ed echi tra un’opera e l’altra, nell’ossessione tutta proustiana dell’opera unica che riesce ad inglobare tutte le altre.
Alla luce di questa consapevolezza, l’opera d’arte del riscatto e della felicità, quella che, appunto, ci permette di recuperare il tempo perduto e sublimarlo in arte, non può essere un frammento, non una sonata, non una petite phrase, ma una composizione (letteraria e musicale, o forse entrambe) matura, adulta, capace di racchiudere in se stessa l’intera esistenza e i suoi significati. A permettere al Narratore di cogliere l’essenza della felicità sarà il Settimino di Vinteuil, le cui opere musicali costituiscono una spina dorsale lungo la quale seguire l’apprentissage del protagonista: la Sonata e la petite phrase appartengono a Swann, alla sua queste dissipata nell’amore e nella mondanità; il Narratore adulto, invece, troverà la rivelazione estetica nell’opera matura e più complessa, il Settimino appunto. Quest’ultimo, nel quale sono stati ipotizzati influssi di Wagner, di Beethoven, di Debussy, di Franck, riunisce in sé l’intera opera di Vinteuil, ne costituisce lo sforzo più intenso e totalizzante nel quale il musicista ha infuso l’intera sua esistenza: «è un’opera universale, conclusa, totale, con una sua logica interna; temi e motivi si inseguono, si dividono e si riuniscono: in questo senso è un microcosmo della stessa Recherche» scrive Nattiez. Al suo cospetto, la petite phrase è un frammento immaturo, ancora privo della tensione metafisica dell’opera finale.
Ed è questo che allontana Reynaldo Hahn dal Marcel Proust: manca, al primo, la tensione totalizzante, estetica e metafisica, di cui Proust ha bisogno per scrivere la Recherche. Reynaldo è la giovinezza, l’amore, la piccola frase che schiude immense emozioni. Le sue composizioni sono per lo più destinate alla voce, sono frammenti che vivono fuori dall’idea di un’opera d’arte totale. Per questo motivo la Recherche non poteva dare a Reynaldo la stessa importanza che spetta al compositore del Parsifal: Wagner, nota sempre Nattiez, offre a Proust quasi un alter ego, offrendogli l’idea della ricerca dell’assoluto e della rivelazione finale che la schiude.
Ma, alla fine del Settimino, risuona la frase della Sonata:
[…] qui aurait pu le mieux caractériser […] ces impressions qu’à des intervalles éloignés je retrouvais dans ma vie comme le point de repère, les amorces, pour la construction d’une vie véritable
scrive Proust ne La Prisonnière. La vie véritable cui fa riferimento è la letteratura.
La rivelazione del Settimino, la vocazione cui dà finalmente luce, avviene mentre i motivi della Sonata di Vinteuil tornano, maturi, trasformati, portando con sé elementi della giovinezza ma anche una nuova consapevolezza artistica.
Questa affermazione mi permette di arrivare al secondo punto cui accennavo poco sopra, quello che Foschini illumina nel suo libro. Reynaldo non poteva offrire a Proust una vera e propria metafisica musicale; ma è costante nella Recherche l’esperienza dell’amore, quel nodo indissolubile di angosce, ossessioni e devota tenerezza che contraddistinguono l’esperienza amorosa e che Marcel vive in prima persona, da giovane, per poi sublimarla nell’opera matura. Non appare in superficie, Reynaldo, ma c’è nelle ragioni profonde, nell’autre moi della Recherche. Il libro di Foschini contiene proprio la densità di questa esperienza, la sua ricchezza umana e artistica, senza la quale non avremmo forse alcune delle più belle pagine della letteratura.
Come i motivi della Sonata di Vinteuil, opera giovanile, tornano alla fine del Settimino, così possiamo dire che qualcosa di Reynaldo torna nella maturità, nell’esperienza finale in cui vita e arte sono pronte a ricongiungersi in una totalità che non può prescindere dal primo soffio, la piccola frase da cui è germogliata l’opera finale.
Alla fine del suo libro, Foschini racconta il suo passaggio al Père Lachaise: Proust è sepolto a pochi metri da Reynaldo, morto nel 1947.
La petite phrase non ha smesso di risuonare alla fine di tutto.
di Marco Cicirello