Giovanni Pascoli e le tasse universitarie
lo stomaco vuoto di uno studente fuorisede
“Ebbi la laurea – più che per altro, per manco di denaro a pagare le tasse – soltanto nel 1882“, scriveva Giovanni Pascoli a Alfredo Caselli il 2 marzo 1906.
Giovannino Pascoli non se l’è passata bene all’Università. L’essere orfano, la mancanza di soldi e una serie di circostanze sfortunate lo hanno costretto a vivere gli anni degli studi in povertà e a laurearsi in 9 anni.
Tutto ha inizio nel 1873, l’anno in cui si convince, incoraggiato dal fratello Giacomo, “il ragazzo che faceva da babbo credeva scorgere in uno de’ suoi figlioli-fratelli una certa disposizione alle lettere” 1 , di iscriversi alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna. Partecipa al bando per l’assegnazione di 6 borse di studio che prevedono l’erogazione di 600 lire annue, spalmate in rate di 50 al mese. Nella commissione c’è Giosuè Carducci, che era docente di Letteratura italiana, Letterature neolatine e Letterature neolatine comparate.
A un tratto un gran fremito, un gran bisbiglio: poi, silenzio. Egli era in mezzo alla sala, passeggiando irrequieto, quasi impaziente. Si volgeva qua e là a scatti, fissando or su questo or su quello, per un attimo, un piccolo raggio ardente de’ suoi occhi mobilissimi2.
Il 15 novembre 1873 Pascoli ce la fa e ottiene il sussidio. Con quei soldi riesce (per poco) a pagare l’affitto dell’alloggio presso una famiglia d’imbianchini; per le tasse universitarie e per le altre spese attinge ai redditi della casa materna e del terreno di San Mauro amministrati dal commerciante riminese Ercole Ruffi.
Nel 1875 il Ministro dell’Istruzione, Ruggero Bonghi è in visita all’Università. Alcuni studenti lo accolgono con entusiasmo, altri (tra cui Pascoli) lo coprono di fischi perché non ammettevano “che nelle Università di liberi studi dovesse immischiarsi il Governo”3. Il giorno dopo il poeta viene convocato in segreteria all’Università, gli chiedono se lui era tra i dissidenti, lui sostenne di non saper fischiare. Alla fine gli tolgono il sussidio. Su quell’episodio gli studiosi non sono tutti d’accordo, alcuni sostengono che Pascoli abbia perso la borsa a causa della scarsa partecipazione alle lezioni (tranne quelle di Carducci).
Poco dopo, visto che piove sempre sul bagnato, muore nel 1876 suo fratello maggiore Giacomo di tifo. Giovanni insieme a lui perde un prezioso aiuto economico. Anzi, si ritrova a dover saldare i debiti che il fratello aveva accumulato per sistemare la casa. Come se non bastasse nel 1877 l’amministratore Ercole Ruffi smette di mandargli le 80 lire mensili come quota dell’eredità materna di cui aveva diritto ma che risultava “corrosa”. Pascoli insomma non aveva una lira in tasca e non solo rischiò di dover lasciare l’Università, ma soprattutto di morire di fame.
La sorella Maria ricorda di quel 1877:
…Più volte la sera, dopo due o più giorni di digiuno, trovandosi a passare con degli amici per una via (mi pare che dicesse via San Vitale) e sentendo l’appetitoso odore del pane sprigionantesi da un forno, nel suo stomaco vuoto si destavano acuti gli stimoli della fame tanto che non potendo più resistere, senza dir parola, lasciava andare un po’ avanti la comitiva e lesto lesto entrava nel negozio a comprare un « ragno », che costava un soldo, e se lo mangiava subito avidamente non facendosi scorgere da nessuno…4.
…Una volta, essendo rimasto parecchio tempo senza danaro, si era ridotto così male in arnese (persino con le scarpe che perdevano i tacchi, tanto che egli s’ingegnava a tenerli attaccati con lo spago) che si vergognava a uscire di giorno e se ne stava quasi sempre a letto, non mangiando e non potendo far accomodare le scarpe…5.
…Un valido aiuto per sopportare le molestie della fame e per tenere sollevato il suo spirito, era per lui il fumare; con esso ingannava la fame, e vedeva la vita meno tetra spaziando con la fantasia nel regno delle illusioni. Non sempre però aveva quei due o tre soldi per comprare il tabacco nelle sue giornate senza cibo: era peggio allora la mancanza di un po’ di trinciato per la pipa che del pane per il suo stomaco vuoto…6
Le difficoltà e le privazioni di quegli anni sono uno degli argomenti principali delle lettere inviate anche agli amici più intimi. Scrive l’8 gennaio 1878 a Severino Ferrari:
Mio unico amico. Torno a casa (è mezza notte o meno, non so) avvilito, ottenebrato, accecato. Non so dove batter più la mia povera testa….
…Che cosa devo fare? lo ho un altro mese di vita alimentare, ossia altri 80 franchi; e poi?… più nulla… Ora ho molto freddo alle mani, e non posso scrivere, e manifestarti degnamente la mia disperazione tetra e agghiacciata. Non vedo, non vedo in altra parte uno scampo…
… Io non posso pensare, e lavorare. Sono paralizzato, e infreddolito. Siamo vicini alla catastrofe. Non te ne meraviglierai, se tra non molto l’apprenderai questa catastrofe comica, d’un dramma che poteva essere ed è stato sovente applaudito. Non ti affliggere e non ti scomodare. Mandami soltanto qualche consiglio, qualche conforto, qualche speranza, meglio qualche illusione….
Giosuè Carducci tenta di salvarlo. Nel 1877 riesce a fargli assegnare un posto di supplente al Ginnasio «Guinizelli» di Bologna, presentandolo al direttore Gaetano Atti. Pascoli però delude le aspettative e Atti si lamenta delle sue assenze e dei ritardi:
Ieri l’altro lo vide il Professor Brilli cui disse di venire e non è venuto di nuovo. Non so come fare. Ha lavori nelle mani da correggere, un mio libro di Temi e composizioni, e non si portano7.
Ma qualcuno ha anche tentato di dare una versione diversa di quegli anni. Sul Corriere della sera del 18 febbraio 1907, l’indomani della morte di Carducci, compare un paragrafo inserito in “Episodi e Aneddoti Carducciani” e intitolato “Rabbuffo al Pascoli” in cui Pascoli è ritratto come una specie di studente piantagrane.
“Fu nel 1879. Una sera” si legge nell’articolo “nella pasticceria Rovinazzi, in via D’Azeglio, si trovavano il Carducci, Severino Ferrari e Ugo Brilli. A un certo punto entrò intabarrato Giovanni Pascoli…Carducci gli chiese «Che hai fatto oggi?» Pascoli rispose «Niente». Allora Carducci lo investì «Non ti vergogni di continuare questa vita, con l’ingegno che hai: capace come sei di scrivere delle poesie che l’Ariosto potrebbe firmare?» Pascoli rimase muto, e muti erano tutti intorno. Ma il giorno dopo Pascoli andò a iscriversi all’Università e tre anni dopo era laureato.”
Piccata la replica di Maria Pascoli: “ciò è ben lontano dal vero. Il Carducci non ebbe mai a rimproverarlo…Egli sapeva e comprendeva le grandi sventure del suo alunno e le tante difficoltà in cui si dibatteva”.
Soltanto nel 1880 (dopo essere finito pure in carcere per aver protestato contro la condanna di alcuni anarchici) Pascoli riesce a riottenere la borsa di studio di 70 lire mensili, una piccola manna dal cielo. Eppure le difficoltà persistono, per consentirgli di laurearsi interviene il Sindaco di San Mauro di Romagna, che scrive una lettera per illustrare la situazione dello studente. Pascoli ottiene l’esenzione dal pagamento delle tasse universitarie negli ultimi due anni di università. Nel 1882 alla fine si laurea con una tesi su Alceo con il massimo dei voti e, ovviamente, la lode. “…Erano nove anni che assediava quella laurea! « nove anni » diceva lui « come per l’assedio di Troia! »”8.
1 Giovanni Pascoli, Ricordi di un vecchio scolaro
2 Ivi.
3 Maria Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, Mondadori
4 Ivi.
5 Ivi.
6 Ivi.
7 Lettera di Gaetano Atti a Giosuè Carducci, Bologna, 22 marzo 1878
8 Maria Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, Mondadori