“Il mago di Riga” di Giorgio Fontana
Dopo ogni partita i pezzi vengono riposti in una scatola, e la realtà – che ha pazientemente atteso, seduta in un ufficio di periferia, mentre noi ci illudevamo di essere liberi – torna a reclamare i suoi diritti e strangolarci con lentezza o con fulminea brutalità. Tornano i ricatti, le richieste; torna la paura.
Qual è il senso del gioco? Perché abbiamo bisogno della fantasia, dell’immaginazione? A queste domande risponde Il mago di Riga, l’ultimo romanzo di Giorgio Fontana (Sellerio Editore). La figura di Michail Miša Tal’, il più giovane campione al mondo degli scacchi fino a Kasparov, la cui audacia aveva avuto il potere di sconvolgere i suoi avversari, ha prima sedotto Fontana e poi anche me, lo ammetto. Ma qual era il segreto del mago di Riga?
Il romanzo si apre in media res: Miša è un anziano, ex ipnotizzatore, ex campione del mondo, ex genio, un uomo in declino, che lotta contro la malattia, la stanchezza e il peso incalzante degli anni e non può fare a meno di chiedersi, a un passo dalla morte, quali verità racchiuda la sua vita, cosa lo abbia spinto a sacrificare ogni cosa, a immolare la sua esistenza agli scacchi.
A cinquantacinque anni sembrava un ottantenne abbandonato a sé stesso, scheletrico com’era, quasi annegato nella giacca troppo grande, con quei lanosi ciuffi di capelli grigi ai lati della calvizie, le guance cave e mal rasate.
Il palcoscenico di quest’amletica ricerca interiore, di questo viaggio nella memoria è la sua ultima partita contro il campione armeno Vladimir Akopian. Il romanzo si muove continuamente su diversi piani temporali, presente e passato s’intrecciano, si fondono. Mentre lotta sul tavolo da gioco, Miša ripercorre la sua vita: i successi, le sconfitte, gli anni d’oro della giovinezza, i contrasti con il Potere, l’inevitabile declino.
Fontana, senza idealismi né abbellimenti, vuole mostrarci cosa si nasconde dietro la maschera del genio; a lui interessa l’uomo colto con le sue ombre e debolezze, con le sue drammatiche imperfezioni. Il mago di Riga incanta, spiazza il lettore e affascina non soltanto l’appassionato del mondo scacchistico, Quella di Miša fu un’esistenza anarchica, perennemente al limite, sempre alla ricerca di un brivido, di quel quid perturbante che dia senso alla vita. Crapulone, donnaiolo, generoso con chiunque ma incostante negli affetti, rimase fedele a un unico grande amore: gli scacchi.
Aveva travolto, a vent’anni, i più grandi giocatori dell’epoca: e con quale irriverenza. Con quale smisurato ardore. Si apriva la strada verso il re avversario sacrificando pezzo dopo pezzo, complicando ogni posizione fino allo spasimo, quasi volesse dilaniarla: e nonostante il suo stile rivelasse mancanze tecniche o peccasse di eccessiva frenesia, sconfinando talora nell’assurdo e rivolgendosi contro di lui, nessuno sembrava in grado di fermarlo.
Fontana ci rivela un giovane Miša, capace di distinguersi per il suo stile audace, irriverente, irrazionale. Le sue vittorie non potevano essere spiegate razionalmente e per questo Miša si conquistò la fama di mago, di ipnotizzatore. La scacchiera diventa il terreno di scontro di due intelligenze che duellano e guerreggiano senza pietà, che tentano di sopraffarsi e anche ciò contribuisce a creare il fascino del gioco dei re.
Questo talento prodigioso nacque nell’Unione Sovietica, in un mondo fatto di denunce, sparizioni, meschini funzionari e tragici conformismi. Miša non ha mai voluto, non ha mai potuto, per temperamento e indole, piegarsi alle regole e anche da anziano irride il Potere, lo provoca con le sue “bravate”. Ma il grande Tal’ è stato l’eccezione; leggendo Il mago di Riga si avvertono la paura, l’impotenza e la disperata rassegnazione di un popolo stritolato da un Potere sordo e inappellabile.
In Unione Sovietica il fato era cosa di tutti i giorni. Una porta che si apre di colpo e da cui entrano persone incaricate di distruggerti o, con l’avvento di un potere meno atroce, ridurti al completo silenzio. Non occorrevano opere d’arte per capire quanto ogni essere umano dipendesse da forze più vaste e incontrollabili. Allora il vero modo di sfuggire al sistema, pensava, non è combattere né fuggire. È tentare di fregarsene.
Miša capisce che l’unico modo per sopravvivere è giocare, ovvero sovvertire l’ordine naturale delle cose. È un atto di sfida, di ribellione, di rivolta contro un regime oppressivo e contro l’assurdo della vita. Non sono pochi i riferimenti letterari disseminati nel romanzo a una grande pietra miliare del genere, La difesa di Luzin di Vladimir Nabokov, autore peraltro del romanzo La vera vita di Sebastian Knight, pregno di trame scacchistiche. Dalla penna dell’autore russo ha preso vita un altro grande campione degli scacchi, a differenza dell’eroe di Fontana immaginario ma altrettanto affascinante, complesso e poliedrico.
Fontana riprende e cita Nabokov, in un dialogo sottile e allusivo: i colpetti di tosse, i fruscii, i sospiri che nel bel mezzo di una partita avevano tanto tormentato il povero Luzin, vengono invece accolti con piacere da Miša. Per carattere e temperamento i due campioni sono diversissimi: l’eroe di Fontana è un uomo sanguigno, energico, appassionato, mentre l’antieroe di Nabokov è un individuo disfunzionale, talmente smarrito nelle proprie astrazioni da vivere alienato dalla realtà; ma per entrambi gli scacchi sono talvolta una fuga dalla realtà, verso un altrove fantasmatico, bramato da due sensibilità, che nella loro incapacità di contentarsi della vita, sono gemelle, unite dalla stessa parentela spirituale. E questa brama, questo srotolarsi giocoso della fantasia è ciò che verso la fine del romanzo spinge Miša, vecchio, debole, malato, a lasciarsi travolgere nuovamente dal fascino del gioco.
Tutto aveva fine. Il potere aveva fine. L’amore aveva fine. I propri giorni sul trono avevano fine. Non gli scacchi. (…) Era un universo senza limiti, come le Mille e una notte che Miša aveva sfogliato in una libreria di Mosca, deliziato dalla strenua fantasia di Shahrazād, che tesseva la sua salvezza di racconto in racconto.
Negli scacchi la realtà, fatta di atti e passioni ordinarie, di routine, sogni infranti e speranze vane, lascia il posto a un mondo favoloso, dove la ragione e l’immaginazione possono finalmente trionfare. La fantasia è la vera protagonista del romanzo di Fontana e la storia del mago di Riga è un inno al potere dell’immaginazione che diventa una forma di ribellione e protesta contro le asprezze della vita nell’Unione Sovietica, contro gli assalti della realtà e della vita stessa.