La realtà è di vetro
Articolo estremamente cauto e semiserio su quanto sono importanti alcuni occhiali
I primi studi condotti dagli psicologi nell’Ottocento sulla percezione non sono di certo una novità sul tema. Già agli albori della civiltà infatti gli esseri umani si sono interrogati sul tema della Realtà e della Verità. Questa serie di argomenti erano e sono inoltre sulle bocche dei filosofi d’oriente e occidente, laici e religiosi; sono stati scritti moltissimi libri e molte questioni sono rimaste aperte tutt’oggi; molte persone sono morte a cause delle loro idee riguardo a questi due problemi.
In questo insidioso campo, nel corso degli ultimi duecento anni, si è scoperto molto e ancora tanto materiale è rimasto inesplorato.
Cerchiamo però di fare chiarezza; su un punto infatti non si può più sindacare: la percezione umana non equivale a una videoregistrazione, moltissime cose che vediamo non sono in realtà così come appaiono. Le motivazioni a base di questo fenomeno però sono ancora terreno di contese di ordine filosofico su cui si combattono efferate battaglie. Dal punto di vista biologico, invece, la spiegazione sembrerebbe essere più semplice: non abbiamo i dispositivi adatti a cogliere tutto (non abbiamo orecchie abbastanza sensibili, occhi abbastanza potenti, un cervello abbastanza veloce nell’elaborazione di tutti i dati che ci provengono dall’esterno).
Questo discorso però non ha delle implicazioni di natura puramente speculativa; si può affermare infatti che sia proprio da questo assunto che sia nata una delle più importanti correnti della psicologia clinica contemporanea: il cognitivismo.
La “clinica” deriva da klínē, che significa letto, per cui per clinica qui si intende quella branca della psicologia che si occupa di stare di fianco a chi è sofferente e che, per questo, dovrebbe “stare a letto”, ovvero riprendersi, ristorarsi, prendersi del tempo per poter guarire. Ponendo ciò come postulato, possiamo presto legare il concetto di clinica al discorso affrontato poco innanzi: a cosa serve alla psicologia clinica -e a noi- sapere che la percezione sia un fenomeno complesso e incompleto della realtà?
Innanzitutto, se noi non percepiamo tutto ciò che si presenta ai nostri occhi, presumibilmente, dovremmo riempire quei vuoti con delle cose che rendano il tutto chiaro e coerente. Queste “cose”, possiamo chiamarle “schemi”, ovvero strutture mentali che ci aiutano a interpretare la realtà. Se lo schema è “pulito”, ovvero adattivo, allora fungerà come dei buoni occhiali, i quali ci permetteranno una visione in HD. Se invece lo schema è distorto, allora anche la realtà ci sembrerà tale e ciò ci procurerà sofferenza.
Ma la domanda è: come si originano questi schemi? Ovvero: chi ce li dà gli occhiali?
Anche su questo le teorie in merito sono una valanga immensa per cui non basterebbe una vita intera per studiarle tutte per filo e per segno, tuttavia un certo accordo esiste tra gli studiosi per cui è corretto affermare che un po’ la montatura ce la fornisce la genetica (e prende il nome di temperamento). I naselli e lenti invece ce le fornisce l’esperienza vissuta dalla culla alla tomba, alle volte assumendo un peso maggiore, altre volte minore. Converrete ora con me che una montatura senza lenti non serve a veder meglio, delle lenti senza montatura non si reggono sul naso. Siamo geni, evoluzione e esperienza personale.
A questo proposito uno studioso chiamato Cloninger ( Cloninger e coll., 1993) ha elaborato due dimensioni che si riferiscono proprio alla nostra montatura e ai naselli della stessa. Questi due costrutti li chiama Temperamento, appunto, e Carattere. Questi, insieme alle nostre esperienze, a ciò che impariamo a cercare o a evitare a seguito delle stesse, danno origine ai nostri occhiali completi, ovvero alla nostra personalità. Parlare delle lenti sarebbe davvero lungo e forse dispersivo, quindi concentriamoci sulla montatura e sui naselli.
Cloninger individua una serie di neurotrasmettitori responsabili di una serie di attivazioni cerebrali e di conseguenza di una serie di tendenze al comportamento che giustificherebbero i relativi modelli delle nostre montature e dei nostri naselli, almeno in parte.
Ponendo che noi disponiamo di tutte le strutture, il modo in cui esse si combinano dà vita (sempre almeno in parte) a una nostra tendenza nel vivere la vita.
La montatura si compone di:
• Novelty Seeking, ovvero ricerca della novità: tendenza a reagire con eccitazione agli stimoli o situazioni che comportano novità, implica la necessità di elevati livelli di stimolazione. Indica tendenza all’esploratività e all’entusiasmo, con facilità ad annoiarsi ed inclinazione all’impulsività.
• Harm Avoidance, ovvero tendenza all’evitamento del danno: indica una forte sensibilità agli stimoli negativi e forte apprensione nei confronti delle conseguenze delle nostre azioni. E’ indice di cautela, apprensività e sensibilità alle critiche e alle punizioni.
• Reward Dependence, ovvero ricerca della ricompensa: indica la tendenza a rispondere intensamente alle situazioni che comportano una gratificazione, in modo particolare ai segnali di approvazione sociale, ai segnali affettivi o alle offerte di aiuto.
• Persistence (persistenza): indica la tendenza a perseverare in un comportamento nonostante la frustrazione e la fatica che ne deriva.
I naselli sono fatti invece di:
• Self-directedness, ovvero autodirettività: equivale alla forza di volontà, alla capacità del soggetto di controllare, regolare ed adattare il proprio comportamento in maniera efficace così da raggiungere i propri obiettivi. È un indice di maturità, responsabilità, affidabilità.
• Cooperativeness, ovvero cooperatività: indica la tendenza con l’identificazione, l’accettazione degli altri e la disponibilità alla cooperazione e all’aiuto. Esprime empatia, disponibilità, tolleranza, capacità supportiva.
• Self-Trascendence, ovvero autotrascendenza: si riferisce alla capacità di sentirsi parte di un tutto (natura, universo..), alla percezione di una coscienza unitaria; da non confondersi con la religiosità, é indice di creatività, altruismo e spiritualità.
A questa montatura vanno aggiunte chiaramente le lenti, ovvero le nostre esperienze di vita, quelle che hanno permesso l’integrazione e il rafforzamento dei nostri schemi.
Chiaramente, la psicologia clinica interviene a modificare e ad adattare al meglio questi occhiali, in modo che non pesino sul naso, che non facciano male sulle orecchie. Ad alcune persone basta una lucidata, per altre occorre un lavoro più impegnativo e certosino. Quando avvertite dolore quindi, controllate i vostri occhiali, non è un bene che non vi stiano perfettamente.