Lamia: demone o donna?
la rivisitazione di John Keats
La leggenda di Lamia affonda le sue radici nel mito dell’antica Grecia quando Zeus, nel suo vagare tra i mortali, si innamorò della regina di Libia: la bella Lamia, appunto, figlia di Poseidone.
Era, moglie di Zeus, venuta a conoscenza dell’ennesima prova di infedeltà del marito e accecata dalla gelosia, scatenò la sua rabbia sul bene più prezioso di una donna: i figli. In preda all’ira uccise tutte le creature della regina e di Zeus, tranne una, Scilla, la quale riuscì a salvarsi.
Lamia, inconsolabile madre, si nascose in una grotta trasformandosi dentro e fuori. Diventò un mostro, una mangiatrice di bambini, togliendo alle madri del mondo la loro la gioia più grande, esattamente come le fu fatto da Era per punirla. Triste era la condizione di Lamia ma Zeus, impietosito dalla sofferenza della sua amante, le concesse un singolare privilegio: togliersi e rimettersi gli occhi a suo piacimento per poter finalmente riposare perché Era, come ulteriore condanna, l’aveva costretta ad una vita senza sonno.
Ma chi -o cosa- è veramente Lamia?
Mito a parte, lamia è e non è Lamia allo stesso tempo. Un dualismo evidente dal nome stesso: nome comune o nome proprio? Demone o donna?
Il dizionario mitologico di J. Lemprière, Bibliotheca Classica (1788) descrive la lamia come mostro d’Africa che aveva il volto e il petto da donna, ma il resto del corpo come quello d’un serpente. Allettavano gli stranieri perché venissero a loro, così da poterli divorare; anche se non erano dotate della facoltà di parola, i loro sibili erano gradevoli e intriganti. Alcuno le ritenevano streghe, o piuttosto, spiriti maligni, che sotto le spoglie di belle femmine, attiravano I giovani e li divoravano.
Il poeta inglese John Keats rimase colpito da questo passo, che gli diede l’ispirazione per comporre l’omonimo poema: Lamia. Così nacque lei,
[…] a gordian shape of dazzling hue
Vermilion-spotted, golden, green and blue;
Striped like a zebra, freckled like a pard,
Eyed like a peacock, and all crimson barr’d;
And full of silver moons, that, as she breathed,
Dissolv’d, or brighter shone, or interwreathed
Their lustres with the gloomier tapestries—
So rainbow-sided, touch’d with miseries,
She seem’d, at once, some penanced lady elf,
Some demon’s mistress, or the demon’s self.
Non ancora Lamia, lamia irrompe nel poema in un’esplosione di colori scintillanti, ben lontana dall’immagine oscura, in penombra, che sarebbe potuta scaturire dal mito. La lamia di Keats è una serpe dalla pelle di sfumature arcobaleno. Ma sorprendentemente è capace di provare sentimenti umani: ancora sotto le spoglie animali si è innamorata di un giovane mortale di Corinto, Licio. Per amore di Licio piange davanti al dio Hermes, il quale si è inoltrato nella foresta di lamia per cercare la ninfa (sua amata), protetta, per un incanto della serpe, dagli sguardi avidi e bramosi di tritoni e satiri. Il dio, grato a lamia per avergli protetto (e infine consegnato) l’amata e commosso dalla sua preghiera, la (ri-?)trasforma in donna.
Ravished, she lifted her Circean head,
Blushed a live damask, and swift-lifting said,
“I was a woman, let me have once more
A woman’s shape, and charming as before.
I love a youth of Corinth – O the bliss!
Give me my woman’s form, and place me where he is.
[…]”
Once. Cosa vuol dire? Lamia forse non è sempre stata una lamia? Oppure aveva già indossato le vesti di donna prima di trovarsi intrappolata in una forma ofidica? Poco importa: adesso lamia ha assunto le fattezze di Lamia-donna e come tale, con le sue spoglie mortali, ama Licio.
For that she was a woman, and without
Any more subtle fluid in her veins
Than throbbing blood, and that the self-same pains
Inhabited her frail-strung heart as his.
Ma ridurre lamia e Lamia all’opposizione “demone vs. donna” è troppo semplice e banale. Keats infatti continua ad intrecciare lungo il corso del poemetto le caratteristiche dell’una e dell’altra, della serpe e della mortale, riconducendole infine ad un’unica, complessa figura, sintesi del dualismo tra mito e personaggio puramente letterario: Lamia, appunto.
Lamia infatti è demone quando, con le sue arti magiche irretisce Licio, figlio della ragione e discepolo del sofista Apollonio, sottraendolo alla realtà, imprigionandolo nel palazzo dell’immaginazione.
The way way was short for Lamia’s eagerness
Made by a spell, the triple league decrease
To a few paces; not at all surmised
By blinded Lycius, so in her comprised.
Eppure Lamia è donna quando piange silenziosamente, domandandosi perché mai lei, proprio lei, debba adorare lui: […] But wept alone those days, for why should she adore? È donna quando si accorge che l’amore di Licio sembra svanire -e se ne dispera sospirando- e, da ultimo, è donna quando, per continuare a stare con lui, accetta di sposarlo, pur sapendo che l’avvenimento decreterà la sua rovina. Triste e infelice perché sa che il volgare mondo umano (a cui lei sembra non appartenere) la annienterà, accetta di unirsi a lui e lasciare il palazzo dorato in cui erano rimasti chiusi, lontani da occhi indiscreti che avrebbero potuto turbare la loro felicità.
Così, mesta e taciturna, […] in pale contented sort of discontent […], Lamia si trova ad allestire la sala del banchetto nuziale. Ma esattamente qui, nel momento di massima umanità della donna, Keats ci tende una trappola. Al matrimonio, invitato non gradito, si presenta Apollonio. Apollonio, l’incarnazione della ragione, che sa. Apollonio che fa tremare Lamia con un solo, pungente sguardo. Perché anche Lamia sa. È un gioco di conoscenze occulte solo tra il sofista e la donna, di cui Licio rimane all’oscuro fino alla fine. Ad Apollonio invece basta poco per far impallidire Lamia, e ancor meno per rivelarne la sua vera identità: a serpent!, come le grida in mezzo al silenzio.
E Lamia, che non può tornare ad essere lamia-demone, né rimanere Lamia-donna, di fronte alla parola reale, concreta, rivelata di Apollonio, si dissolve nell’aria tra le braccia di Licio.
Bibliografia:
J. Keats, Lamia, a cura di S. Sabbadini, Marsilio Editore, Venezia.