Nei plessi lunari di Leonora Carrington
L’alba è l’ora in cui nulla respira, tutto è silente, taciturno; molti sono chiamati a creare e pochi gli eletti dalla luce. È forse da lì, dalla luce dell’alba che Leonora Carrington prendeva spunto per le sue storie surreali dai fatti fiabeschi in un’orgia di frastuono.
È uscito il 18 Settembre per i tipi di Adelphi, per la prima volta in Italia, “La Debuttante” di Leonora Carrington, un volume che comprende tutti i racconti, di cui gli ultimi tre inediti.
Un lavoro a due mani condotto magistralmente da Nancy Marotta e Mariagrazia Gini nei meandri del linguaggio, tanto semplice quanto complesso dal punto di vista visionario, che dev’essere stato un vero e proprio percorso nell’immaginario dell’artista che ha per mira la visione del reale, distorta e incandescente proprio come i suoi quadri. Ma chi è Leonora Carrington e che cosa i suoi racconti funesti vogliono comunicarci? Cercherò di rispondere a me stesso a queste due domande, seguendo per ordine l’impatto che ha avuto su di me questa imprescindibile lettura.
È nata il 6 aprile 1917 nel Lancashire e il padre, Harold Wilde Carrington, è un ricco industriale; la madre, Maureen è una nobildonna di origini irlandesi. Fin dalla tenera età Leonora riceve una formazione solida e viene introdotta alla lettura dei maggiori scrittori britannici. A 15 anni si trasferisce a Firenze dove studia pittura e si appassiona ai pittori rinascimentali. È negli anni trenta, però, che entra in contatto con il gruppo surrealista, conoscendo Max Ernst, il quale diverrà in seguito il suo compagno. Quest’ultimo è uno degli esponenti di spicco del movimento. Ha quarantasei anni, lei ne ha diciannove e con il suo fascino innocente e perverso incarna l’ideale surrealista della femme-enfant.
È nel 1937 che scrive la sua prima short story “La maison de la peur” dove narra di strani esseri in abiti ecclesiastici, uno stormo di cavalli “dagli occhi sporgenti con bava gelata intorno alla bocca” e nel 1939 scrive di una dama ovale alta e snella che attende nelle notti di nevischio di fronte alla finestra; riproduce delle caricature oniriche dove si invertono i concetti di attrazione e repulsione verso la vita reale.
Molti racconti oltre ad essere popolati da figure antropomorfe, a volte disarmoniche, a volte asessuate vedono come protagonisti dei cavalli; soprattutto nel meraviglioso racconto “L’uomo neutro”, dove si narra che tutto è confuso sul nostro pianeta e niente è ‘regolare’:
Venga, cara signora, non si tormenti; tutti, fatalmente, presentiamo una certa somiglianza col genere animale; lei sarà di certo consapevole del suo aspetto cavallino, quindi… non si tormenti, tutto è confuso su questo pianeta.
Tutti i racconti sono pregni di mistero, vengono ambientati in un mondo tratteggiato a pennello in cui ogni narrazione o vicenda lascia trapelare un’aria magica e manifesta sulfurei presentimenti – forse soltanto da Borges superata- , dalla ricca concentrazione astrale e creativa della struttura letteraria di un inconscio; ed in ogni racconto si ha la sensazione di un possibile volo e si assiste allo stupore infantile, come quello di un bambino che si sorprende di ogni nuovo giocattolino appena regalatogli dal papà, di una debuttante che percorre un sentiero alchemico ed ha per maestro d’Arco forse soltanto la percezione divina di un sogno, la sensazione di un tatto.
«In realtà, » disse l’uomo neutro «sono un istruttore spirituale, un iniziato se vuole, ma quel povero ragazzo non arriverà mai a niente. Sappia, mia cara, che il cammino esoterico è duro, disseminato di catastrofi».
Leonora ha della capacità inventiva lo sguardo: è così che forse crea i suoi personaggi dal muso vellutato di un’orchidea albina, dalla bocca viola e avida, della faccia di filatrice di lana, del chirurgo scellerato e sicuramente le mani mansuete di una Dea decaduta, scesa dal suo piedistallo di alabastro; credo ci insegni ad amarsi per come si è, non per come si vorrebbe essere e non si sarà mai. La sua continua creazione attorno al mondo fantastico non è che una testimonianza di sincerità, di chi non finge più, e riguardo la letteratura la freccia è ben dritta, la mira è d’occhiata e ce lo dice lei stessa:
No. La conoscenza è solo quella scritta nella materia viva e primordiale. Gli esseri primordiali senza ombra sono lettere che compongono parole illeggibili. La loro condizione è una perenne sofferenza, perché sono nudi e senza pelle. Il loro flusso sanguigno è privo di difese.
Chi sono?
Quelli che non fingono più di sapere chi sono.
La letteratura è per lei un piccolo santuario personale riscattato con sei galloni di sangue salato. Io vi partecipai come lettore e ne fui morso alla pancia. Leonora è parte fondamentale nella letteratura contemporanea e nel movimento surrealista, così come nella pittura, accompagnata da Max Ernst con cui visse fino alla sua morte. Leonora, come le sue opere, appartiene però ad un tempo indeterminato, non classificabile, se nonché in chiave alchemica auto-presentata da un corpo senza vita, senza respiro e sempre abitata da poteri misteriosi di cui neanche oggi forse potremmo immaginarne la fonte, solo attendere il sopravvenire, come avviene nei suoi scritti; in chiave di destino.
Leonora Carrington muore nel 2011 in Città del Messico, all’età di 94 anni a causa di polmonite. La si può oggi incontrare nel sogno, come avrebbe sempre voluto.
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