Omosessualità e dintorni
più Tondelli di Busi
In un’Italia arretrata sulle questioni di genere, e non solo, Busi è stato il destinatario di una certa serie di epiteti vessatori a causa dell’omosessualità sbandierata ed esposta come stigmate o conquista a seconda dei casi.
La sua battaglia ha trovato scarsi sostenitori critici disposti a riconoscerne il merito letterario, combattuta sul filo della parole di una scrittura nevrotica, complessa eppure estremamente efficace. Delirante, osceno e politicamente scorretto, per questi motivi è stato marginalizzato, e solo i giurati del Mondello Opera prima, del Frignano e del Boccaccio attestarono lo stile lodevole di opere dal titolo provocatorio come Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo e Cazzi e canguri (pochissimi i canguri), di Sodomie in Corpo 11: non viaggio, non sesso e scrittura e Suicidi dovuti, opere apertamente anticlericali, femministe e antimachiste in un’Italia aggrappata a vuote esibizioni di forza, di femminismo presto bruciato in vuote pose sensuali nei moderni mezzi di comunicazione, di aperte posizioni razziste.
È stato uno sguattero giovanile, un lavapiatti, un cameriere prima di essere un uomo delle spettacolo e un omossessuale, prima di essere uno scrittore paragonabile ai classici contemporanei come Camon, Pontiggia, Berto, Eco, uno scrittore intellettuale capace di una profondissima analisi psicologica, come dimostrato in Seminario sulla gioventù che riserva una veduta estremamente peculiare su universi eternamente a rischio.
«Era carne parlante e basta, quella, pura donna per puro suino – e io non sono un porco» dice Busi e in Sentire le donne a proposito di una a cui «nessuno, nemmeno lui, le aveva dato il tempo di mettere su un’anima», che si sentiva «spogliata senza avere avuto nemmeno il tempo di ripiegare i vestiti sullo schienale della sedia».
Seppur queste narrazioni non abbiano né il respiro della grande prosa perché sono asfittiche e densissime, tantomeno i contenuti della tragedia, anche se la testimonianza della lotta per la propria identità è una testimonianza drammatica dipinta con estrema ironia, di Busi si dubiterebbe presto dei contenuti espressi in una forma accattivante, se non propria deliziosa. Contenuti da riviste patinate e pettegolezzi da salone di bellezza, contenuti che farebbero storcere il naso non solo alla borghesia di fine secolo scorso e inizio nuovo secolo, ma anche ad ambienti maggiormente liberali, pervasi da un omofobia e un razzismo di fondo. Busi fa piazza pulita di ogni convenzione, non mancando mai l’eleganza e le etichette del bon ton sentimentale, seguendo una personale direttiva esistenziale dove virtù e vizio sembrano accompagnarsi a braccetto, dove alla fine la disciplina necessaria all’Arte vera sembrerebbe trionfare.
Non possiamo augurargli nulla più di quanto abbia ricevuto in dono dalla sorte e dalle proprie capacità, nonostante tutto, perché come egli ha ripetuto più volte, e a ragione, può considerarsi uno scrittore supportato non solo dalle vendite e dal ritorno di immagine, ma anche dalla coscienza artistica di non essersi mai venduto nelle questioni artistiche, di aver scritto ciò che sentiva di scrivere indipendentemente dai dettami della critica e del mercato. Molto probabilmente non è azzardato supporre che si tratti di uno dei più importanti prosatori italiani viventi.
Chiudiamo con un aneddoto giornalistico, nel meeting di Comunione e Liberazione del 1989 svoltosi a Rimini, testimoniato in Sentire le donne: Busi incontra Formigoni ricordandogli il suo schieramento sessuale, Tondelli incontra Formigoni segnalandolo in Camere separate, mentre Busi e Tondelli nemmeno s’incrociano e nemmeno si ricordano nelle opere rispettive. Se Tondelli fosse vivo avrebbe sette anni in meno di Busi. Evitarsi fu il modo di testimoniare le rispettive grandezze, difese in maniere decisamente differente eppure decisive per la Letteratura italiana moderna.