“Picnic at Hanging Rock”:
un’allegoria apollinea
« Everything begins and ends at the exactly right time and place. »
Alla sua uscita nelle sale, avvenuta più di quarant’anni fa (1975), il film Picnic at Hanging Rock, basato sull’omonimo romanzo della scrittrice Joan Lindslay, portò all’attenzione mondiale il cineasta australiano Peter Weir come maestro di stile ed atmosfere. Sebbene privo di una tensione palpabile — d’altronde Picnic si configura come un dramma misterioso più che come un thriller — e di un finale definito, il film nel giro degli anni assurse allo status di cult, grazie anche e soprattutto alle suggestioni oniriche favorite da una fotografia preraffaelitica e vellutata.
Film travolgente pur nel suo incedere lento, supportato alla perfezione da una colonna sonora che alterna melodie ‘paganeggianti’ — gli arcadici flauti di Pan di Gheorghe Zamfir — a sinfonie classiche (Bach, Beethoven, Tchaikovsky), Picnic a Hanging Rock trae la sua linfa da quella coincidentia oppositorum che secondo lo storico delle religioni romeno Mircea Eliade costituirebbe la massima espressione di quel mysterium tremendum et fascinans — il «Totalmente Altro» del teologo tedesco Rudolf Otto — cui comunemente la nostra civiltà dà il nome di ‘Sacro’.
L’OPPOSIZIONE DEI CONTRARI E L’USCITA DALLA ‘REALTÀ’
L’intera narrazione si basa sull’opposizione dei contrari. Da una parte c’è il collegio femminile, in cui la vita delle giovani protagoniste procede secondo binari e regole ben definiti e intransigibili; è questa la cosiddetta ‘vita reale’, l’esistenza dell’individuo all’interno del patto sociale. In questo primo ambito esistenziale i personaggi non esistono per davvero, ma solo come marionette inserite in un sistema ferreo e indistruttibile, o al massimo — come nel caso di Miranda — in guisa di idoli altrui.
Dall’altra parte, in completa opposizione con la vita all’interno del collegio, vi è la natura ancestrale dell’entroterra australiano, che come nella migliore tradizione folk horror non è semplicemente territorio, quanto piuttosto spazio immaginifico,
« …a landscape which effectively breaks down the main character’s ego… through contact with the ancient as well as the surreal and the supernatural. »
— secondo la definizione coniata da Adam Scovell.
Questa dicotomia fra l’aspetto dell’esistenza che viene considerato ‘reale’ e quello che apparentemente parrebbe ‘soprannaturale’ o ‘surreale’ — ma che invece, in ultima analisi, si rivela essere ben più reale del primo — e la diversa attitudine dei personaggi del film nel considerare questa dicotomia nell’ambito della propria realtà influisce fatalmente sui loro destini all’interno della narrazione.
Da una parte troviamo un esiguo numero di persone — la protagonista Miranda, le sue due amiche Marion e Irma e l’insegnante di matematica Ms. McCrow — che si elevano sul modo di sentire generale, fondato sulla mediocrità e sull’asservimento a un patto sociale iniquo, e proprio per questo, al culmine di quella che appare come una vera e propria illuminazione, riescono ad accedere alla Dimensione Altra, accesso che fedelmente alla tradizione avviene per mezzo di un «passaggio stretto» all’interno della roccia. Su questo ritorneremo.
Dall’altra, vi è la grande maggioranza dei personaggi che, in seguito al ‘miracolo’ della scomparsa dei primi, cadono progressivamente in uno stato che ha i contorni dell’incubo. Per chi non sospetta l’esistenza di una Dimensione Altra ontologicamente diversa rispetto a quella che siamo soliti percepire come ‘realtà’, l’ingresso del Totalmente Altro nella grigia vita quotidiana ha i caratteri dell’insopportabilità e dell’esecrabilità. Il Sacro, irrompendo all’improvviso — come è naturale — nella vita di tutti i giorni, la sconquassa da capo a piedi per chi non ha mai esplorato le sue Vie, e per chi pur avendone avuta l’occasione si rifiuta di percorrerle (Edith).
Mentre il primo gruppo di personaggi riesce ad uscire — metaforicamente (la «rottura di livello» di eliadiana memoria) e fisicamente — dallo squadrato mondo della società ‘civile’ e dall’opprimente microcosmo del rigido collegio di Appleyard, le compagne Edith prima e Irma poi torneranno nella loro culla di apatia ed insoddisfazione, ferite dall’esperienza comunque folgorante — l’aver avuto la possibilità di scorgere la Luce, sebbene per un rapido istante — ma completamente ignare del senso sacrale della medesima, rimanendo così fatalmente legate alla ‘realtà’ umana e quotidiana.
Persino il collegio, roccaforte inespugnabile del ‘viver civile’, di colpo si disgrega non appena il Totalmente Altro fa la sua comparsa nella vita dei suoi inquilini. Vengono meno i basilari rapporti di fiducia, le famiglie ritirano le proprie figlie, la dispotica direttrice Ms. Appleyard si dà all’alcool e confessa abitudini sessuali peculiari di cui nessuno avrebbe mai avuto il minimo sentore. Eppure, la disperazione colpisce solo questi personaggi che sono rimasti indietro — non invece Miranda e le altre ‘scomparse’, anche se una di loro ritorna improvvisamente al di qua.
LA SOSPENSIONE DEL TEMPO E L’ACCESSO ALL’ALTRA DIMENSIONE
E proprio l’inaspettata ri-comparsa di Irma ci consente, se non di comprendere cosa sia successo alla giovane in seguito alla sua sparizione dal nostro mondo — d’altronde il Sacro per sua stessa natura è concettualmente inesprimibile — se non altro di focalizzare l’attenzione su qualche caratteristica di questo aldilà in cui la ragazza è stata ospite per giorni, e in cui lo sono ancora Miranda, Marion e Ms. McCrow.
La totale assenza di terriccio e graffi sui piedi della rediviva Irma, ad esempio, ci porta a ritenere che simbolicamente in questa Dimensione Altra non si cammini come nel nostro mondo, ma piuttosto ci si elevi in volo. In altre parole, all’Altro Mondo solo in spirito si può accedere e non altrimenti. Infatti, nella scena clou in cui le tre ragazze, entrando nell’apertura sulla vetta di Hanging Rock, scompaiono alla vista della timorosa Edith, esse sembrano effettivamente fluttuare verso l’accesso piuttosto che camminare. Il tempo appare del tutto sospeso, e il grido di Edith esprime il suo totale disappunto e orrore per quanto si sta verificando.
E d’altronde, quel giorno, il tempo davvero si è fermato. A poca distanza dall’arrivo della comitiva presso il luogo deputato al picnic, tutti gli orologi si fermano sulla stessa ora, mezzogiorno in punto. Anche questo orario non è, ovviamente, casuale. Il meriggio, ora in cui il Sole si trova al suo zenit nel cielo, nella sua assoluta assialità, è anche il momento il cui i corpi fisici non producono ombre. Un momento dunque di perfetta stasi, assai favorevole per l’ingresso del Totalmente Altro nella vita quotidiana. A riguardo, rimandiamo agli studi di Roger Caillois sull’argomento, che ci ricorda come anche il filosofo idealista Friedrich Schelling riconobbe nel «sonno meridiano di Pan» — locazione quantomai calzante in questa sede, come vedremo — «tutto ciò che si muove invisibile e che l’uomo percepisce attorno a sé» nella pace della natura. Ne segue che il mezzogiorno è «un’ora di passaggio, dunque un momento critico». Anche Servio riconobbe nel mezzogiorno l’ora privilegiata dell’irrompere del Sacro nella vita quotidiana: «infatti allora generalmente si scorgono i numi».
Peter Weir mette in risalto sin da subito che lo spazio-tempo della Natura — e del Mito, e del Sacro — differisce totalmente da quello ‘umano’, e lo fa simbolicamente capire allo spettatore con l’espediente degli orologi che si arrestano fatalmente non appena giunti presso Hanging Rock, come se tal luogo fosse appunto un’altra dimensione a sé stante. È significativo inoltre che i fatti si svolgano nel primo anno del secolo: ci troviamo quindi allo iato tra due cicli e tra due mondi, ragion per cui agli Eletti diviene possibile accedere a una dimensione superiore.
Anche la data non è casuale: S. Valentino è la versione ‘cristianizzata’ di Eros Protogonos — di cui per altro il regista ci mostra varie rappresentazioni nel film —, divinità primigenia della procreazione e dell’origine della vita nella cosmogonia orfica, spesso associato ad Afrodite Urania/Venere che nel film è rappresentata simbolicamente dalla protagonista Miranda, riconosciuta persino da Mlle. de Poitiers come una sua epifania («Adesso so… so che Miranda è un dipinto del Botticelli»).
Ci stiamo pian piano avvicinando al fulcro della nostra analisi, ma a proposito della tematica del tempo è bene fare qualche precisazione supplementare. Gli orologi come simbolo del tempo lineare compaiono più volte nel film, e l’attitudine dei vari personaggi nei loro confronti dice molto sul loro destino — un concetto su cui, tra l’altro, discutono le collegiali prima di sparire per sempre. Così vediamo che, se da una parte Miranda non porta più l’orologio perché «non ne sopporta il tic-tac sul cuore», dall’altra Irma afferma che se ne possedesse uno lo porterebbe sempre, «persino in bagno».
Da questa lettura si può evincere perché quest’ultima, a differenza di Miranda, non sia in grado di persistere nella Dimensione Altra e superiore, e dopo un po’ ne sia come rigettata. A un livello ancora più basso, la direttrice Ms. Appleyard scandisce la vita del collegio per mezzo di un grande pendolo ligneo che arreda il suo ufficio, guardacaso posto proprio vicino a sinistre foto in bianco e nero di gente trapassata. Gli orologi, e quindi il tempo lineare, appaiono quindi connessi simbolicamente alla morte — la Vera Vita, all’assenza di un tempo vero e proprio, o per meglio dire a un tempo ciclico, sospeso, sacro: il tempo mitico.
Ritornando alla ricomparsa di Irma, è curioso anche notare come sulla sua fronte venga ritrovata una misteriosa ferita sanguinante di cui il dottore non riesce a spiegare le cause. La troviamo anche, identica, sulla fronte del giovane Michael Fitzhubert che su quelle rocce era andato a cercare le collegiali scomparse, come mosso da una forza sovrannaturale. Ed è proprio quella ferita, che tanto ricorda il ‘terzo occhio’ della tradizione esoterica, che gli permette di sperimentare la visione di ciò che è accaduto alle collegiali negli ultimi istanti della loro esistenza in questo piano, come in una ‘visione remota’.
Sono questi temi prettamente sciamanici su cui ci siamo dilungati altrove, e di cui non è necessaria in questa sede una ripetizione. Basti solo sottolineare come le tre ragazze, appena prima di ‘scomparire’, caschino improvvisamente in una trance estatica — ottenuta sia mediante la danza che durante uno stato di riposo totale — il che è perfettamente in linea con i dettami dello sciamanesimo di tutto il mondo. Egualmente si dica di Michael prima di ricevere la ‘visione’. Infine finanche Ms. McCrow durante la mattinata appare in uno stato di trance catalettica, sia sul cocchio quando espone alle sue alunne la storia geologica del sito verso cui sono dirette, sia quando, proprio appena prima di prendere l’apparentemente inspiegabile decisione di togliersi le vesti per accedere all’Altro Mondo, appare in estasi davanti a una figura geometrica rappresentante l’unione del cerchio col triangolo.
L’ASCENSIONE, IL «TEMPO GIUSTO» E LA «ROTTURA DI LIVELLO»
L’ascesa di Hanging Rock, d’altronde, ha tutto il crisma dell’esperienza iniziatica. Già Mircea Eliade e René Guénon, giusto per portare due esempi tra i più noti, si soffermarono sul simbolismo della salita del Monte, simbolo dell’Axis Mundi, alla cui estremità il contatto con il Sacro diventa possibile, dal momento che una volta in vetta ci si trova idealmente al Centro del Mondo.
Scrive Mircea Eliade a proposito del significato esoterico dell’ascensione:
« La scalata o l’ascensione simboleggiano la via verso la realtà assoluta e, nella coscienza profana, accostarsi a questa realtà provoca un sentimento ambivalente di paura e di gioia, di attrazione e di repulsione, ecc. »
E, a proposito della valenza metafisica del Centro:
« Un “Centro” rappresenta un punto ideale che non appartiene allo spazio profano, geometrico, bensì allo spazio sacro e in cui può realizzarsi la comunicazione con il Cielo o l’Inferno; in altri termini un “Centro” è il luogo paradossale della rottura dei livelli, il punto in cui il mondo sensibile può essere trasceso. Ma per il fatto stesso di trascendere l’Universo, il mondo creato, si trascende il tempo, la durata e si ottiene la stasi, l’eterno presente atemporale. »
Gli stessi studiosi rilevano anche il topos della caverna all’interno della montagna: un’ascesa che è contemporaneamente una discesa dentro sé stessi, nel grembo materno della roccia, sostanza incorruttibile e indifferente al passare del tempo. Questa caverna o pertugio nelle rocce attraverso cui Miranda e le altre passano è il cosiddetto «passaggio stretto» della tradizione sciamanica, il foro a cui si accede all’Altro Mondo. Foro che, ricordiamo, rimane aperto solo per pochi istanti, per poi richiudersi immediatamente.
È questo il topos del «filo del rasoio», del «passaggio difficile», del «ponte stretto», della «cruna dell’ago», e via discorrendo. In ciò noi ravvisiamo quell’importanza del «cader giusto» nel tempo, quello che i Pitagorici definivano καιρός, il «tempo giusto» per compiere un’azione — spesso di vitale importanza. Con le parole di Giorgio de Santillana, «non conta la preghiera o la speranza, non vi si tratta che di esattezza, di puntualità agli appuntamenti del καιρός: la periodicità giusta che vi fa cadere a posto, lì dove il fato vi attende, o altrimenti si è ripresi nella bufera del tempo».
« C’è un tempo e un luogo giusto perché qualsiasi cosa abbia principio e fine… lassù. »
Ritorniamo alle osservazioni dell’Eliade, che reputiamo di primaria importanza ai fini di comprendere il significato più profondo di Picnic ad Hanging Rock:
« Colui “il cui pensiero è stabile” e per il quale il tempo non scorre più, vive in un eterno presente, nel nunc stans. […] Un istante qualsiasi… può diventare il “momento favorevole”, l’istante paradossale che sospende la durata e proietta… nel nunc stans, in un eterno presente. Questo eterno presente non fa più parte del tempo, della durata […] Il “momento favorevole” dell’illuminazione è da paragonare al lampo o all’estasi mistica che comunica la rivelazione e che si prolunga paradossalmente fuori dal tempo. »
Nell’«eterno presente atemporale» sperimentato e vissuto delle collegiali sui pinnacoli di Hanging Rock, in uno stato di solitudine assoluta e di comunione con la Natura — celebrata con danze feriche sostenute da ineffabili flauti panici e dionisiaci — c’è tutta l’atmosfera paradisiaca dell’Arcadia locus idilliaco ed onirico del mito ellenico. L’aspetto atemporale dell’esperienza è sottolineato anche dalla frase pronunciata da una delle ragazze: «Un milione di anni… solo per noi». Le collegiali, forse inconsciamente, sembrano consapevoli di stare per uscire dal tempo samsarico, e di essere in procinto di sperimentare l’accesso a una dimensione sopraelevata — o il ritorno all’Origine.
« Et in Arcadia ego. »
MIRANDA, VENERE BOTTICELLIANA E VERGINE APOLLINEA
Il personaggio di Miranda (interpretata da Anne-Louise Lambert) si trova indubbiamente al centro della conflagrazione degli eventi: è la più eterea e angelica delle studentesse del collegio di Appleyard, e nondimeno è al tempo stesso quella che maggiormente si distacca dagli schemi prestabiliti dalle convenzioni sociali.
La figura di Miranda, non a caso definita come un’epifania della Venere del Botticelli, che in molte sequenze vediamo sfocata ed evanescente sugli sfondi ancestrali di Hanging Rock, è la rappresentazione dello Spirito veramente libero, che vola dove vuole. Significativamente, in una delle scene conclusive della pellicola, Sarah dirà di Miranda che «non è andata lì per caso» e che «conosce cose che pochi altri conoscono: segreti». Miranda è, in altre parole, l’Eletta — in modo non dissimile se vogliamo dalla Laura Palmer di Twin Peaks — o, per dirla in termini gnostici, lo Spirito Pneumatico che si eleva oltre la superficie delle cose per ritornare alla Fonte: per questo, Miranda è anche Sophia.
Nel personaggio di Miranda riconosciamo simboli antichissimi della nostra tradizione, di cui possiamo solo supporre Peter Weir fosse consapevole. D’altra parte, spesso i simboli agiscono in modo inconsapevole ai loro stessi ‘evocatori’, dunque di ciò non dovremmo sorprenderci. Bisogna dirlo subito e chiaramente: Miranda ha tutti i crismi di un’epifania apollinea ed iperborea. Fin dalle prime scene, le viene associato il cigno come ‘doppio’: la vediamo per esempio pettinarsi allo specchio e il suo volto appare vicino a una fotografia del volatile iperboreo per eccellenza. Nelle battute finali, l’amica Sarah prega una sua effige accanto a cui, nuovamente, è stata posta una statuetta del medesimo animale.
Ma c’è molto di più: lo Weir ci mostra in più di un’occasione, grazie all’espediente visivo della sovrapposizione, la sua intercambiabilità effettiva con il cigno apollineo, e proprio in quella forma si mostra a Michael in una scena altamente significativa. Dove prima c’era Miranda, improvvisamente appare un cigno; poi, scompare anche quello e nulla rimane. Miranda è ritornata all’Altro Mondo. Comprendiamo così che, ben lungi dall’essere ‘morta’, Miranda vive ancora in una forma ontologicamente superiore e più sottile di quella umana, e può in tal modo apparire nei sogni delle sue compagne o sotto forma di epifania teriomorfa a chi davvero sappia ‘connettersi’ con lei.
Come ben rileva Antonio Bonifacio, a cui va dato il merito di aver saputo cogliere la valenza apollinea della figura di Miranda, che si tratti di un tema iperboreo non ci possono essere dubbi: il folklore eurasiatico abbonda di racconti sul tema della metamorfosi delle fanciulle divine in forma di cigno — di cui si possono citare a titolo di esempio le Fravarti (o Fravashi) iraniche — le quali «si presentano all’umanità in sembianza di cigni, mutandosi poi, in luoghi appartati, in genere nelle vicinanze di specchi lacustri, per apparire, infine, come fanciulle di una bellezza fatata e quasi evanescente». Tali fanciulle divine nella tradizione eurasiatica si configurano come messaggeri dell’Altro Mondo — quello Iperboreo, connesso al topos dell’assialità e del Polo — che percorrono le rotte ultraterrene per visitare i ‘puri’ e portare loro consiglio in caso di travaglio.
Prosegue il Bonifacio:
« La favola dei Cigni selvatici di Andersen, esprime “poeticamente” questo passaggio senza perdere alcunché dell’allusività simbolica del tema. In particolare una frase messa in bocca alle creature-cigno, appare quasi un viatico per comunicare nel migliore dei modi i contenuti del passaggio tra questi due mondi: “…Voliamo come cigni, mentre il sole splende alto nel cielo… Noi non abitiamo qui, una terra bella questa si stende dall’altra parte del mare”. »
Se leggiamo questo estratto assaporando le scene delle tre collegiali che, sotto il sole al suo zenit, danzano come creature fatate sui picchi rocciosi di Hanging Rock, non possiamo mancare di riconoscere la validità di queste interpretazioni apollinee. Così come non ce la sentiamo di ritenere lo Weir uno sprovveduto se addirittura fa esternare a Miranda, durante un dialogo con una sua compagna, l’invito ad andare a trovare «la sua buffa famigliola… su al Nord».
L’ALLEGORIA APOLLINEA DI PETER WEIR
Tutto dunque ci riconduce all’Apollo Iperboreo, nella sua accezione più elevata di Polo e Sole Spirituale, di Luce Assiale che si sperimenta solo dopo aver oltrepassato, mediante un’esperienza estatica, il regime dei sensi. Né si mancherà di notare, sull’esempio del Bonifacio, come Giorgio Colli «delineò precisamente i tratti di questo ambiguo personaggio celeste considerandolo quale portatore di sapienza, ma di una sapienza intesa come mania, del tutto al di fuori di quella connotazione razionale della stessa, come fu immaginata da certi studiosi germanici».
Giorgio Colli ne La sapienza greca tratteggia la figura divina di Apollo «l’Obliquo», descrivendo il modo in cui, scagliando la freccia con il suo arco e irretendo l’intermediario per mezzo del suono paradisiaco della lira, il dio possiede i suoi ‘predestinati’ per mezzo della mania, stato in cui essi comprendono istantaneamente il Totalmente Altro e, nel tentativo di tradurlo in parole, vaticinano oscuri enigmi che si considerano provenire dallo stesso Apollo.
In Picnic ad Hanging Rock, si potrebbe concludere che Apollo si riveli pienamente solo a Miranda e alle altre ‘scomparse’, le uniche che abbiano risolto il suo «enigma da risolvere». Per chi non sia stato in grado, rimane appunto l’inconcepibile interrogativo su cosa sia realmente accaduto. Il mistero saggiamente non viene mai risolto all’interno della narrazione del film — e come potrebbe? La risoluzione del mistero va ben oltre il raziocinio, e di conseguenza mai potrà essere compresa da chi solo in base al medesimo rifletta e agisca. L’oracolo è interpretabile solo da chi si dimostrerà in grado di coniugare ‘sacralmente’ i due modi di esistenza, il tempo lineare e il tempo sacro, la storia e il Mito.
Una coincidentia oppositorum che si realizza anche nella duplicità di Apollo, racchiusa simbolicamente nei suoi due oggetti sacri: l’arco e la lira. L’arco, che colpendo il predestinato con la freccia dell’illuminazione, similmente a una folgore [24], lo rapisce a questo mondo per condurlo in uno più elevato, la Avalon Iperborea; la lira, che con la sua musica soave culla l’anima posseduta da Apollo e ne favorisce l’ascensione all’estremità assiale dell’Axis Mundi.
« Armonia di contrasti, come quella dell’arco con la lira. »
Unicamente realizzando la coincidentia oppositorum si può ‘volare’ fino all’apollineo Regno Polare al di fuori dello spazio-tempo e sperimentare il Totalmente Altro. Solo allora diviene possibile comprendere la Verità ultima, che in Picnic ad Hanging Rock viene beffardamente esposta subito all’inizio, per mezzo di una citazione shakesperiana, da una voce fuori campo:
« What we see and what we seem are but a dream, a dream within a dream. »
L’articolo è uscito precedentemente su: https://axismundi.blog/2018/03/18/picnic-at-hanging-rock-unallegoria-apollinea/ . Per i riferimenti bibliografici, si veda la versione disponibile su AXIS mundi.
L’immagine in evidenza è tratta da: https://www.nfsa.gov.au/collection/curated/picnic