Salite e discese di Alessandro Piperno
Spesso capita che, nel leggere sotto un’unica lente l’intera produzione di uno scrittore, si commettano evidenti forzature. Ma il Leopardi delle Operette morali non è quello degli idilli, la produzione erudita di Boccaccio segna una frattura rispetto al Decameron, tra la Trilogia della vita e Salò c’è una differenza che lo stesso Pasolini non ha mai negato, tanto per fare qualche esempio. Perciò, molte volte, la ricerca di un filo invisibile che collega le opere di un autore è un’operazione vana e induce a letture riduttive.
Tuttavia ci sono scrittori che, più di altri, hanno insistito su un nucleo ristretto di temi e modalità espressive. La loro produzione, quindi, si presta a una descrizione d’insieme, a uno sguardo dall’alto per individuarne alcune linee guida e caratteri dominanti.
Tra questo tipo di scrittori c’è sicuramente Alessandro Piperno. In occasione dei suoi cinquant’anni, presentiamo un articolo che vuole essere una breve introduzione, un’epitome e un’analisi della sua opera narrativa, costituita da cinque romanzi e alcuni racconti, scritti in circa un ventennio.
La produzione di Piperno rientra nel genere del romanzo famigliare. Dal primo fortunato Con le peggiori intenzioni (Mondadori, 2005) – oltre duecentomila copie vendute – all’ultimo Di chi è la colpa? (2021), i suoi libri seguono sempre le vicende di una famiglia, lungo più generazioni. Anche quando c’è un personaggio più in risalto degli altri, questi viene descritto e osservato all’interno del mondo domestico: le influenze che ne orientano la vita non provengono quasi mai da un esterno fatto di fidanzate, insegnanti, colleghi di lavoro, ma da genitori, zii o nonni. L’identità del singolo è quindi connessa, per vicinanza o per opposizione marcata, al suo milieu più prossimo, descritto in momenti topici come pranzi, festività o funerali.
Queste famiglie attorno cui ruota tutta la narrazione sono sempre ebree; principalmente giovani maschi, i protagonisti dei libri di Piperno sono libertini, self made man arricchiti nel periodo post-bellico invece di vittime delle persecuzioni; ma, nonostante la loro secolarizzazione e mondanità, continuano a credere che le chiuse (le donne non ebree) siano solo ottime amanti, mentre il matrimonio deve rimanere una questione interna alla comunità. È lì che si decidono le sorti del singolo, è quello il nucleo identitario da conservare intatto. Chi contamina rischia l’esclusione da questo mondo elitario e, di solito, incorre in una sanzione non solo sociale ma direi metafisica, che si concretizza quasi sempre in matrimoni sfortunati, povertà e morte. La chiusura del mondo narrativo di Piperno rispecchia, quindi, quella dei suoi personaggi, abituati a vivere in società e tuttavia con le radici saldamente ancorate nel gruppo di appartenenza.
Le storie famigliari non sono mai statiche, ma seguono eclatanti tonfi o altrettanto mirabolanti scalate sociali. Sembra spesso di leggere i capitoli della grande Comédie humaine, con le avventure dei Lucien e Rastignac: del resto Piperno è anche docente universitario di letteratura francese. La storia di Leo Pontecorvo in Persecuzione. Il fuoco amico dei ricordi (2010) è un paradigma anche visivo della verticalità che agisce nei romanzi: da stimato oncologo, Leo viene accusato di crimini sempre più infamanti, tra cui lo stupro della fidanzatina dodicenne del figlio. Per la vergogna e l’umiliazione si ritira nello scantinato di casa, dove finisce per suicidarsi dopo molti mesi di isolamento. Le scale che separano il moderno uomo del sottosuolo dal piano superiore diventano un limite invalicabile e insieme un simbolo del dualismo alto-basso dei romanzi di Piperno.
In Inseparabili. Il fuoco amico dei ricordi (2012), che forma un dittico con Persecuzione, Filippo Pontecorvo, figlio di Leo, si ritrova quasi per caso a essere il regista più ricercato del momento, dopo aver scritto e diretto un film d’animazione semi-autobiografico.
Piperno ritrae in maniera molto efficace i cambiamenti interiori ed esteriori della vita di Filippo, che comincia a frequentare party mondani, hotel di lusso e ragazze affascinate da lui. I bassifondi in cui precipitano altri personaggi, invece, sono delineati secondo schemi più convenzionali, mentre ancora una volta Piperno è bravo a ricostruire il paesaggio mentale dei suoi soggetti che, come il Bepy Sonnino di Con le peggiori intenzioni, non riescono a ricalibrare il loro tenore di vita dopo disastrosi tracolli finanziari.
L’azione repentina e inaspettata della Fortuna potrebbe farci pensare a romanzi veloci e pieni d’azione, ma lo stiledi Piperno è digressivo e accidentato. Le storie procedono per scene madri intervallate da lunghi flashback: gli episodi vengono aperti e caricati di importanza, ma prima di arrivare al dunque l’autore inserisce lunghe divagazioni che smorzano il ritmo della storia. Le analessi sono fondamentali per caratterizzare i personaggi e per ricostruire la fabula – a fronte di un intreccio che salta avanti e indietro nel tempo; eppure hanno un effetto ambivalente e non sempre riuscito: vorrebbero aumentare il pathos della narrazione, ma certe volte sfibrano la pazienza del lettore, eccitato dal desiderio di sapere e rimasto troppo a lungo inappagato.
La scelta di un andamento così franto è dovuta al punto di vista dei narratori. Tranne in Dove la storia finisce (2016), che non a caso è anche il libro più denso di personaggi e avvenimenti, Piperno opta sempre per un narratore interno – il figlio dell’ultima generazione della famiglia ‒ che racconta retrospettivamente la propria storia e quella dei suoi parenti. Al narratore-personaggio non interessano lo svolgimento dei fatti o gli eventi in sé per sé, ma il loro valore in quanto storia rivissuta. Questo procedimento psicologico, a cui la rigorosa filosofia tedesca ha dato il nome di Erlebnis, rallenta il ritmo ed erge a fulcro della narrazione non tanto l’esperienza in sé, quanto il valore che assume nella coscienza dei personaggi. Le ampie digressioni, dunque, non sono altro che la manifestazione letteraria di questo meccanismo interiore che anima i narratori, i quali cercano in un passato traumatico, segnato in più causi dal suicidio di un genitore, la spiegazione per comprendere il loro presente.
Si sa, però, che la Fortuna si abbatte con più forza sui personaggi tragici: nella letteratura antica erano re o dei, nella letteratura moderna uomini ricchi e privilegiati. Se aggiungiamo che in Piperno sono ebrei che fanno dell’elitarismo e della separazione un vanto, capiamo come non sia sempre facile identificarsi in loro. Se però dal punto di vista esteriore è difficile rispecchiarsi nei vari Sonnino, Sacerdoti, Zevi, le loro passioni e spregevolezze sono alla portata di ognuno. Con un cinismo ironico unico, Piperno caratterizza i propri soggetti in senso soprattutto negativo e solo a pochi riserva un riscatto o un innalzamento lirico.
Ma l’immoralità degli antieroi di Piperno, se così vogliamo chiamarla, è mediocre, la loro dimensione è quella della meschinità e non della sublimità del Male. Il narratore di Con le peggiori intenzioni, l’adolescente Daniel, sfiora la grandezza tragica quando minaccia di morte l’amata Gaia, ma riduce questo atto irreparabile al furto delle calze e delle mutandine della ragazza per una, ennesima, masturbazione feticista. Anche l’accusa di pedofilia rivolta a Leo in Persecuzione fa emergere le vere colpe del medico, che sono assai più comuni: avventatezza, superficialità, narcisismo. In queste piccole brutture morali è assai possibile rispecchiarsi, a patto di accettare un’identificazione disforica ma sincera.
Mi sembra che Piperno sia, al momento, uno dei migliori romanzieri italiani, in grado di costruire trame dallo sviluppo inaspettato, ricche di colpi di scena, con uno stile riconoscibile. Certo, credo anche che sia uno di quegli scrittori che racconta partendo da sé e incarica i suoi narratori di rappresentare la sua visione del mondo, in modo tale che la distinzione tra narratore e autore diventi meno importante di quanto si tende a pensare.
Magari un giorno glielo chiederò.