Tommaso Dal Monte
pubblicato 4 anni fa in Recensioni

Tra violenza e metaletteratura: “Le ripetizioni” di Giulio Mozzi

Tra violenza e metaletteratura: “Le ripetizioni” di Giulio Mozzi

Sempre che, piuttosto che la fantasticata infanzia, soggiungeva a volte Mario, non sia il fantasticare stesso il fondamento e l’origine della vita: il donare a sé, con sforzo d’invenzione, nostalgico o eroico che sia, una radice dell’esistenza, e quasi un destino preconizzato, e finalmente una storia, priva dell’attributo della realtà, ma dotato di quello della verità.

Per iniziare la recensione di Le ripetizioni, romanzo d’esordio di Giulio Mozzi uscito il 14 gennaio 2021 per Marsilio, avrei facilmente potuto scegliere una frase di maggior effetto, se non proprio scioccante. Il libro è infatti ricco di sequenze ad alto tasso emotivo, ma alle regole del clickbait ho preferito quelle dell’onestà intellettuale, selezionando una citazione che racchiude il senso ultimo dell’opera.

Un’opera dalla lunga, lunghissima gestazione. Come ha affermato in più interviste, Giulio Mozzi ha iniziato a scriverla nel 1998 per pubblicarla nel 2021, a sessant’anni. Del resto Mozzi con il mondo dei libri ha sempre avuto a che fare: come autore di racconti, poesie, prosimetri e manuali, come editor e insegnante di scrittura creativa presso la “Bottega di narrazione”, da lui stesso fondata nel 2011. Per via della sua formazione, dunque, Le ripetizioni è sì un romanzo d’esordio, privo però di quelle insicurezze nella costruzione della trama e dei personaggi tipiche di molte prime opere. Mozzi dimostra di padroneggiare perfettamente la gestione narrativa degli eventi e, soprattutto, di saper tematizzare e riflettere sui meccanismi stessi che regolano il processo della creazione letteraria.

Molte finezze dell’opera, attribuibili sia alla forma erudita e citazionista che a una costante riflessione di carattere metaletterario, rischiano però di essere offuscate dall’intreccio, di fortissimo impatto e con punte di vero raccapriccio.

Un narratore onnisciente ci racconta la vita di Mario, quarantenne nato nel 1958 che lavora come consulente editoriale. I capitoli del romanzo hanno il titolo dell’argomento – o meglio del personaggio – di cui parlano e sono numerati in ordine crescente, secondo la dicitura ossessivamente ripetuta “La storia di”. Il montaggio di questi frammenti ci permette di ricostruire progressivamente la vita di Mario che, per il primo terzo del libro, appare caotica e a tratti indecifrabile, anche per via delle frequenti analessi. La netta partizione dei capitoli, che sviluppano vicende tra loro indipendenti se non per la comune presenza di Mario, riproduce la scissione esistenziale del protagonista, immerso in tre vite parallele. In quello che, pur con qualche incertezza, intuiamo essere il tempo della narrazione, sta per sposarsi con Viola – che lo tradisce in segreto. Da una relazione precedente con la schizofrenica Bianca, mai del tutto chiusa e di cui Viola è all’oscuro, ha probabilmente avuto una figlia (Agnese) incontrata per caso dopo molto tempo. In più è lo schiavo sessuale di Santiago, con il quale compie giochi erotici di tipo sadomasochistico e pratiche criminali tra cui quella, indicibile, su cui si chiude il libro. Per quanto intrigante, l’intreccio non ha nessuno sviluppo e costituisce la parte più debole dell’opera. Non assistiamo infatti ad alcun cambiamento nella vita o nella psicologia dei personaggi, domina la staticità, sembra che nulla accada e che, come indica il titolo, tutto si ripeta senza nessuna progressione.

La trama, seppur necessaria, non è quindi indicativa né del senso né della qualità del romanzo. Tematicamente affine a molta letteratura contemporanea considerata di genere – dal pulp dei cosidetti “Cannibali”, con cui pure Mozzi ebbe modo di scontrarsi, al noir rappresentato nel testo dalla vicenda del Terrorista Internazionale, alla letteratura BDSM –, il libro ha una densità stilistica e una qualità metaletteraria che raramente ho incontrato in un romanzo italiano degli ultimi trent’anni.

Prima di tutto, benché le vicende dei personaggi si sviluppino in modo autonomo, ci sono dei motivi ricorrenti che le attraversano tutte, suggerendoci i nuclei profondi nei quali rintracciare il senso dell’opera. Ad esempio i rapporti di sopraffazione sono gli unici a legare i personaggi: si osservano tanto nelle relazioni sadomasochiste in cui sono coinvolti separatamente Mario e Viola, quanto in quelle in teoria più paritetiche, come la relazione tra Mario e Bianca. La violenza, che si articola nei rapporti interpersonali, assume anche la manifestazione della malattia mentale (Bianca), delle parafilie (Mario, Viola, Santiago) o dell’istinto omicida (ancora Santiago, il Martellatore di Monaci, il generale Cadorna). Si delinea un quadro di violenza antropologica insita nella natura umana dalla quale Mario potrebbe sottrarsi in alcuni momenti – l’amicizia con il pittore Gas, il legame con il proprio capoufficio. Tuttavia il romanzo non concede spazio al mutamento in favore di una coazione a ripetere: Mario, che fin da adolescente aveva fantasie erotiche in cui il sesso si saturava di azioni violente, sembra destinato a replicare anche da adulto le stesse dinamiche.   

Un altro tema trasversale, che si avvicina a quello che secondo me è il punto nevralgico dell’opera, è la riflessione sul meccanismo del ricordo. Spesso Mario si interroga su eventi del proprio passato, attivati e ancorati a percezioni sensoriali o a fotografie. Tuttavia il ricordo può essere fallace e la fotografia, come l’opera d’arte, non rivela informazioni sull’oggetto rappresentato, ma sull’autore che lo ha realizzato. In tal modo un dubbio avvolge il passato: quello che ricordo è accaduto davvero? Questo stesso interrogativo si riflette sulla consistenza ontologica del romanzo. Nonostante ci siano chiari effetti di realtà, come nomi di persone realmente esistite, riferimenti spaziali verificabili, libri citati con precisione, la vicenda non appare completamente realistica, poiché tutte le storie che la compongono sembrano spinte a un punto troppo estremo. Ma la mancanza dell’attributo della realtà trova un riscatto sul piano della verità: ricordi falsi – come l’odore del bosso del primo capitolo – e fotografie ingannevoli possono condurre a una verità che i fatti, per come sono accaduti, non rivelano. Allora, e mi ricollego alla citazione da cui siamo partiti, l’assunto che struttura l’intera opera è che è la verità a sostanziare la realtà e non viceversa.

Ma questo è esattamente il funzionamento della letteratura, capace di creare storie false che ci dicono verità profonde su noi stessi. Ciò che avvicina il mondo dei fatti, con il loro grado di verificabilità, a quello della verità sono le parole, evocate come interlocutrici in uno degli ultimi capitoli del libro – La storia della pelle – e considerate come interne e esterne alla sfera-mondo, capaci di collegare ciò che esiste con ciò che, direi, è dotato di senso. In quest’ottica la vicenda di Mario, con tutte le trame di cui si compone, diventa una parabola che può essere letta come storia tra le storie, una creazione verbale che ha poco a che fare con la sfera della realtà, ma molto con quella della verità.

Qual è dunque la verità delle Ripetizioni? Sicuramente l’autore vuole proseguire un’analisi, già avviata da molti anni, sulla naturalità del male – una sua raccolta di racconti si chiama proprio Il male naturale (1998). Il male esiste senza una ragione, come dimostra la storia di Santiago, oppure può essere calcolato numericamente e razionalmente, come per il generale Cadorna, ma senza che susciti alcun senso di colpa. Non va dunque giustificato o spiegato, ma accettato come una delle possibili manifestazioni dell’indole umana.

La mia esperienza di lettura mi ha portato però a focalizzarmi maggiormente sulla riflessione di carattere metaletterario, che celebrerebbe, nella produzione stessa del libro, il potere alchemico delle parole. Mi è sembrato che nell’esibizione della consapevole artificiosità dell’operazione letteraria, Mozzi ne volesse comunque – o proprio per questo – elogiare il valore fondativo per la nostra esperienza. In questa presa di posizione risiede, oltre al senso dell’opera, tutto l’orgoglio dello scrittore, consapevole che la sua vocazione consiste nel creare mondi intangibili – assai screditati in una società consumista – ma dotati dell’attributo della verità.

di Tommaso Dal Monte