La Recherche avant la lettre
i primi passi della Recherche di Marcel Proust verso la Nouvelle Revue Française
Ces volumes cela a été si facile de les écrire, et dans la difficulté plus agréable encore.
Mais comme ce sera difficile de les faire imprimer.
1912
Se scrivere la Recherche non è costato tanto al suo autore, tentare di pubblicarla non è stato altrettanto facile. Le fatiche iniziano nel 1912, un anno cruciale per Proust. Ai due semestri dell’anno corrispondono due tappe fondamentali: la creazione del dattiloscritto della prima parte del romanzo da inviare a Fasquelle, editore con il quale aveva preso accordi, nonostante quest’ultimo latiti da qualche tempo e non risponda più alle sue lettere, e la ricerca spasmodica di un editore disposto a pubblicarlo.
All’inizio dell’anno, Marcel è speranzoso e fiducioso. Scrive, infatti, a Nahmias: «J’ai – si vous aimez encore mon travail – beaucoup plus encore à vous donner à faire que d’habitude! Un vrai volume!». Tuttavia, il lavoro sul dattiloscritto è lento, tortuoso, complicato da continue interruzioni. In certe occasioni, la fiducia lascia spazio all’afflizione, come quando, nella primavera dello stesso anno, scrive:
Au fond le plus pressé serait que vous vissiez la dactylo car je ne peux plus rien faire, c’est vraiment odieux de subordonner toute sa vie à la confection d’un livre et d’être arrêté depuis plus d’un mois pour cela!
Eppure, con l’arrivo della stagione estiva, arriva anche la tanto agognata fine dell’enorme dattilografia che, senza correzioni, conta già oltre settecento pagine. Proust, da buon stratega editoriale, intuisce anche che, oltre alla dattilografia, bisognava far circolare qualche estratto e, tra un soggiorno estivo a Cabourg e il rientro a Parigi, incontra il principe Antoine Bibesco, suo amico.
Appurando che quest’ultimo era conoscente di Jacques Copeau, direttore della rivista della «NRF» Marcel ha l’idea di sfruttare le conoscenze dell’amico per far pubblicare alcuni estratti dell’opera. È molto probabile che non avesse ancora in mente di proporre a Copeau l’intero dattiloscritto, perché all’amico chiede di far leggere a Copeau solo qualche articolo pubblicato su «Le Figaro». Ma quando, nel mese di ottobre, Bibesco conferma di aver fatto da tramite con Copeau in merito ai suoi articoli, Marcel ha l’illuminazione, e scrive una lunga lettera all’amico:
Voici qu’il me vient une idée, qu’il me prend une envie, qui me font bien regretter de t’avoir fait soumettre ces articles à M. Copeau. […] Il me semble que la Revue Française serait un milieu plus propre à la maturation, à la dissémination, des idées contenues dans mon livre. Bref, j’aimerais […] faire paraître, à mes frais, mon livre à la Revue Française. Peux-tu le leur demander? […] P.-S. L’ouvrage aura à peu près 1250 pages très pleines […] Le mieux serait qu’il paraisse en deux volumes, le premier de 700 pages, le second de 550. A défaut deux de 600 pages, ou trois de 400. Je puis livrer immédiatement à l’impression les 600 premières pages, et pendant qu’on commencerait l’impression, je mettrais au net le reste tout en corrigeant les épreuves. Tâche que la Revue Française veuille bien; je suis très féru de cette idée.
A dispetto dello slancio e dell’intraprendenza che permeano la lettera, questa rimane nel cassetto per un po’, come spesso accade con le grandi idee che ispirano ma che, allo stesso tempo, intimoriscono. Marcel si decide a inviarla solo dopo aver aggiunto un secondo post scriptum in cui afferma: «Il s’agit d’une chose assez pressée», a cui fa seguito un terzo:
Mon cher Antoine excuse-moi de ce long silence après tes mots charmants, j’ai été malade. Quant à la lettre ci-dessous je n’ai [pas] le temps de la récrire et te l’envoie mais je te demande de ne pas parler à tes amis de la «NRF» avant que nous ayons reparlé car moralement je suis peut-être trop engagé avec les autres. Cela me tente extrêmement d’être chez eux mais je ne sais si je dois le faire et même le puis.
A quanto pare, Bibesco non legge quest’ultimo P.S. e, in buona fede, parla con Copeau. Da qui si scatenerà una serie di eventi che renderanno la ricerca di un editore per Proust sempre più caotica.
Quasi in contemporanea, dopo aver scritto a Bibesco di prendere – e poi di non prendere – iniziativa con la «NRF» Proust scrive una lunghissima lettera a Mme Straus dove, tra le varie cose, le chiede, nel caso vedesse Calmette, direttore del «Figaro», di dirgli: «… que je vous ai demandé de lui rappeler mon livre et de lui dire que je lui serais bien reconnaissant d’en parler à Fasquelle le plus vite possible. […] Pour moi mon manuscrit est prêt, recopié, corrigé etc.».
Ma, ormai, l’iniziativa presa da Bibesco porta Copeau a scrivere una lettera a Proust, nella quale si mostra disponibile a leggere il manoscritto e alla quale lo scrittore risponde ringraziandolo e provando a chiarire il malinteso.
Nonostante le sollecitazioni di Mme Straus, Fasquelle non si fa vivo con Proust. Quest’ultimo ha dunque l’imprudenza di scrivergli di nuovo per pressarlo e ottenere più rapidamente le bozze del romanzo. In questa seconda lettera, Proust scrive anche che aveva supposto che il libro sarebbe uscito verso febbraio, e che lui stesso aveva già chiesto a diverse riviste di riservargli spazio per alcuni estratti. L’editore non risponde neppure a questa seconda lettera.
Nell’attesa delle bozze di Fasquelle, però, Proust si rivolge anche all’altro côté – di nuovo. Aveva appurato, grazie a Copeau, che per le pubblicazioni in volume bisognava trattare con Gallimard e, a questo punto, confessa che «paraître à la Nouvelle Revue Française est encore beaucoup plus tentant pour moi depuis que vous m’avez dit que mon lecteur et mon éditeur serait M. Gallimard».
È l’inizio dei numerosi tentativi di Proust di fissare un incontro con l’editore: ma Gallimard è sfuggente. Alla fine, riesce a parlarci tramite lettera: «Mes messages, ni mes coups de téléphone, ni ceux de Bibesco, ne peuvent jamais vous atteindre, je me résigne à vous demander par lettre les quelques renseignements que vous m’auriez donnés de vive voix». Dopo un paio di lettere scambiate, Proust si accorda finalmente con Gallimard per inviargli il manoscritto, di cui ha un secondo esemplare dattiloscritto, oltre al primo già dato a Fasquelle. A questo proposito, gli scrive: «Vous ne pouvez pas venir chercher vous-même cette dactylographie car vous ne savez pas quel poids cela a. Je vous le ferai porter demain».
È in questa lettera che si può trovare la prova che è a Gallimard – e non a Bibesco – che Proust indirizza il suo manoscritto. Negli anni, infatti, si è creato un malinteso dovuto a una lettera pubblicata da Bibesco stesso, da cui si evince che Proust gli ha scritto: «Voici l’unique exemplaire de Swann. Donne-le à lire à Gide et à Copeau. Mais prie-les de te donner une réponse d’urgence». Questa lettera, secondo Philip Kolb, è apocrifa: Bibesco avrebbe creato un falso per rimarcare il ruolo svolto come tramite tra Proust e la «NRF», nel tentativo di assicurarsi un posto in prima fila nello spettacolo delle vicende proustiane.
Secondo la versione di Bibesco, infatti, sarebbe stato proprio lui a presentare personalmente una copia a Copeau, affermando poi di essersi fatto consegnare da Proust una seconda copia, non interamente corretta, per darla ad André Gide, in occasione di una cena organizzata a casa sua, nell’autunno di quello stesso anno.
Anche i ricordi di Céleste, governante e, in un certo senso, prima assistente di Proust, però, sembrano confermare la versione di Bibesco:
Il principe Antoine andava a trovare Monsieur Proust:
– E allora, Marcel, che notizie? Cosa le hanno detto?
– Niente. Continuano a non rispondermi.
– Cosa vuol dire? Non le hanno risposto?
Alla fine, il principe Antoine andò da Gide alla Nouvelle Revue Française, che allora aveva sede in rue Madame, nel quartiere della chiesa di Saint-Sulpice. Gide scese dal suo ufficio per riceverlo e gli disse che il manoscritto era stato rifiutato, dando questa spiegazione: «La nostra casa pubblica solo opere serie. È da escludere che possa editare una cosa come quella, che è letteratura di un dandy mondano».
E restituì il manoscritto ad Antoine Bibesco. Era, credo, l’antivigilia di Natale. Ci fu poi una lettera di Jacques Copeau, più sfumata, ma confermante anch’essa il rifiuto. (Albaret, 2004, p. 262)
Consegna di manoscritti avvenuta, e nessuna risposta pervenuta. Dalla metà dell’anno fino a ottobre, Proust non si preoccupa molto per l’assenza di riscontri, perché è convinto che quel silenzio sia soltanto dovuto ai tempi di lettura, così come è convinto di dover soltanto, alla fine, scegliere tra le due case editrici.
Intanto, però, non rimane con le mani in mano: in questi mesi ragiona molto sul titolo da dare all’opera. A ottobre, prende una decisione, e la comunica per lettera sia a Mme Straus sia al silenzioso Fasquelle: «Comme je crois que vous ne me permettriez pas de mettre “I” sur le premier volume, je donne au premier volume le titre Le Temps perdu. Si je peux faire tenir tout le reste en un seul volume je l’appellerai Le temps retrouvé. Et au-dessus de ces titres particuliers j’inscrirai le titre général qui fait allusion dans le monde moral à une maladie du corps : Les intermittences du cœur».
È solo in seguito che deciderà di modificare questo titolo generale, cercando qualcosa che contenga al suo interno il concetto di tempo, seppur mantenendo Les intermittences du cœur come titolo per la fine del primo capitolo della seconda parte di Sodome et Gomorrhe.
Due giorni prima di Natale, a Proust viene comunicata la decisione della «NRF» di non pubblicare il suo romanzo e, dato che le brutte notizie non vengono mai sole, il giorno successivo anche una lettera di Fasquelle gli comunica il rifiuto.
Gli inaspettati regali di Natale gettano Proust nella disperazione. Il duplice rifiuto è così raccontato in una lettera a Mme Straus da un Proust che filtra e edulcora la realtà dei fatti:
Je ne vous avais plus parlé de mon livre pour ne pas vous fatiguer avec toutes ces histoires professionnelles. Mais il faut que je vous dise, pour finir, les derniers «événements», détestables. L’autre jour (ceci absolument entre nous) j’ai renoncé à l’autre éditeur dont je vous avais parlé parce que j’ai senti que la dédicace à Calmette qui est d’un autre bord intellectuel lui déplaisait et qu’avant tout je tiens à ne pas être ingrat. […] Par le fait même que je rompais de l’autre côté, je me résignais aux retouches que me demanderait Fasquelle. Or j’ai reçu avant-hier une lettre de lui où il me dit purement et simplement qu’il ne peut se charger d’éditer cet ouvrage (le tout entremêlé de compliments mais enfin formellement négatif et il n’y a plus à y revenir ; d’ailleurs il m’a fait renvoyer mon manuscrit).
di Elisabetta Tommarelli
(fonte della fotografia di Marcel Proust)