“Nostalgia dei miei fratelli dei villaggi militari” di Zhu Tianxin
Si lasciò andare sul pavimento, pentito d’aver aperto lo scrigno prezioso che il tempo gli aveva donato, si sentiva un cretino ad aver riempito quelle lettere di tante sciocchezze, e provò una tremenda vergogna. All’improvviso innumerevoli lettere aperte e chiuse si agitarono in un vortice di fumo bianco che si dissolse nell’aria. Non aveva bisogno di uno specchio o di guardarsi, sapeva d’essere diventato un vecchio dai capelli bianchi.
Orientalia ha da poco pubblicato nella collana Sinestesie (curata da Rosa Lombardi, tra le sinologhe più notevoli del panorama italiano) una raccolta davvero interessante. Si tratta di Nostalgia dei miei fratelli dei villaggi militari, di Zhu Tianxin. La traduzione è di Luca Pisano, anche lui accademico, come sua è l’accurata postfazione al volume.
Già la presenza di una postfazione e di note al testo non eccessive, ma inserite con criterio, fanno capire l’intenzione di Orientalia di rivolgersi non a un pubblico di addetti ai lavori – tendenza in cui cade talvolta la narrativa sinofona pubblicata in Italia – ma a qualsiasi lettore o lettrice che abbia voglia di cimentarsi con una realtà, e con la relativa letteratura, liminale e particolare: quella di Taiwan.
Di recente abbiamo sentito parlare ampiamente di Taiwan, l’isola del Pacifico che la Cina considera come una delle proprie province mentre altri paesi, su tutti gli Stati Uniti, pensano debba essere riconosciuta come stato indipendente e autonomo.
Tornando un po’ indietro, possiamo ricordare che quando la guerra civile tra nazionalisti e comunisti in Cina fu vinta dai secondi, che il 1°Ottobre 1949 fondarono poi la RPC, i primi dovettero fuggire. La maggior parte di loro, tra cui il comandante Chiang Kai-shek, ripararono proprio a Taiwan. Questo flusso causò un’immissione massiccia di popolazione continentale sull’isola, non esente da scontri e conflitti con le comunità locali.
Si trattò di un fenomeno molto rilevante dal punto di vista storico e politico, le cui conseguenze sono vive e significative ancora oggi. Oltre a questo, l’improvvisa riconfigurazione della demografia taiwanese fu anche un motore letterario assai notevole. Portò infatti allo sviluppo di alcuni filoni narrativi peculiari, tra cui la letteratura anticomunista, in cui si distinse lo stesso Zhu Xinling, colonnello nazionalista e padre di Zhu Tianxin, nata nel 1958 e dunque già sull’isola; elemento che sarà centrale nella sua produzione di autrice di seconda generazione e appartenente all’élite militare.
La raccolta pubblicata da Orientalia offre uno spaccato esaustivo sulla narrativa di Zhu e in generale su contenuti che domineranno una parte notevole di letteratura taiwanese (al di fuori dei piagnistei anticomunisti e della letteratura classicheggiante): identità, spaesamento, genere, memoria.
Partiamo dal titolo: cosa sono i villaggi militari? Con l’arrivo della popolazione continentale e nazionalista, ancora speranzosa di poter prima o poi tornare a risiedere in Cina, erano state fondate numerose basi lungo la costa di Taiwan. Attorno ad esse si erano create comunità urbane pressoché autonome e, il più delle volte, chiuse. Nel racconto che dà il titolo al volume, il primo, Zhu Tianxin descrive la peculiarità di quel contesto sociale, evocandone situazioni e personaggi. Ricorda la povertà di molte famiglie del vicinato, i compagni di giochi e di esperienze finiti chissà dove, i maniaci che importunavano le bambine della zona, le madri che richiamavano tutti all’ordine. Più di tutto, Zhu sottolinea però l’inadeguatezza dovuta all’assenza di radici storiche di quell’area e il privilegio di classe che la allontanava dai suoi coetanei.
In realtà una terra dove non ci sono parenti morti non si può chiamare patria.
L’ansia e l’inquietudine che fluttuavano costantemente in quell’atmosfera per lei incomprensibile non erano il sintomo di una rabbia adolescenziale repressa, ma la muta e opprimente sensazione di non riuscire a mettere radici in nessun luogo.
Quello che spicca in questo primo scritto di chiara natura autobiografica è il carattere ibrido della cinesità di Zhu Tianxin e degli altri taiwanesi di seconda generazione, elemento ricorrente nella letteratura dell’isola e, più in generale, della diaspora. La loro posizione ambigua è sì fonte di nostalgia e smarrimento, ma anche porta verso la costruzione di un sistema valoriale e culturale nuovo e inedito, ormai libero dall’ossessione per l’esilio dalla Cina continentale, che finalmente non viene più percepita come una patria perduta da riconquistare.
Anche negli altri racconti continuano a emergere esempi di spaesamento, di perdita del sé e della propria identità. È molto interessante notare che Zhu Tianxin intreccia questi archetipi della letteratura diasporica all’acuta osservazione delle dinamiche storiche e sociali, delineando ad esempio la figura delle mamme canguro, così assorte dall’abnegazione nei confronti dei doveri genitoriali da dimenticarsi completamente di sé e della propria individualità, o quella di Li Jiazheng che, dopo trent’anni di prigione durante il periodo della legge marziale, viene rimesso in libertà ma si trova anziano, solo e completamente incapace di stare al mondo.
E ancora le “farfalle di primavera”, donne omosessuali che tra le pagine di Zhu Tianxin trovano una delle rappresentazioni più importanti e pionieristiche della letteratura sinofona contemporanea (pochi anni prima era stato pubblicato Niezi di Bai Xianyong, ricordato come il caposaldo della narrativa queer in lingua cinese). Anche loro rappresentano in qualche modo una deviazione da una tradizione consolidata e granitica, l’elemento sospeso al confine del matrimonio e delle relazioni considerate normali. I termini di tale rappresentazione potrebbero risultare discutibili per chi si approccia al testo con la sensibilità dei queer studies moderni, in effetti, ma è innegabile che si tratti di un elemento originale.
Questo e altri temi presenti nel testo costituiscono dei veri e propri topoi della letteratura sinofona, e hanno contribuito a rendere Zhu Tianxin uno dei nomi più fulgidi tra gli autori e le autrici taiwanesi. La piccola raccolta di Orientalia condensa dunque l’eredità di un mondo sospeso e della sua produzione artistica, comprensibile solo alla luce delle dinamiche storiche e politiche che l’hanno determinata, ma in cui si può comunque scorgere qualcosa di universale: il bisogno di collettività e condivisione, soprattutto quando tutto intorno a noi continua a cambiare.