Il ballo di società nella letteratura occidentale moderna
Durante l’Ottocento in Occidente si assiste alla lenta ma inarrestabile caduta dell’aristocrazia come classe dirigente e all’affermarsi in campo sociale e politico della borghesia. Si stabilisce un equilibrio tra una classe che per secoli ha vissuto di rendita, di diritti feudali ed è sempre stata estranea al lavoro, e una classe che vive del proprio operato e delle proprie capacità.
La danza di società si sviluppa in questo periodo storico, dalla necessità di trovare un punto di coesistenza in cui le due modalità di vita possano convivere, spiega Fabio Mollica in Storia della danza di società nell’Ottocento (Audino, 2018). La danza nobile aristocratica settecentesca, prodotta dai maestri di cerimonia esclusivamente per le corti e per l’aristocrazia, caratterizzata da complessa tecnica e lunghi, costanti e dispendiosi periodi di studio, lascia il posto alla danza di società: balli privati o pubblici che diventano momento di relazione tra la vecchia classe dominante e la nuova, uno spazio di superamento delle differenze sociali. Durante i balli si danzava, si creavano legami, si cercava protezione, si dibatteva su temi di attualità, di politica, si concludevano affari, ci si innamorava e ci si dichiarava, corteggiandosi senza infrangere le rigide regole della severa morale corrente. Saper danzare era sinonimo di educazione ed era un’abilità che poteva rivelarsi utile sia dal punto di vista sociale sia da quello politico. Tutto ciò avviene all’interno di un preciso corpus di regole di etichetta. Se ne trovano alcune nel Traité de la danse di Eugène Giraudet, pubblicato a Parigi nel 1871, dove si legge che tra le altre cose, a regnare sovrana deve essere la gentilezza, non il trasporto: lecito è il corteggiare, non l’amoreggiare, anche se gli amanti lo dimenticano quasi sempre.
L’etichetta prevede uno speciale e accurato abbigliamento, ogni dama porta con sé un piccolo libretto, un carnet, sul quale annota i nomi dei cavalieri a cui concede le danze: è molto sconveniente confondersi e promettere lo stesso ballo a cavalieri diversi! Questo mondo fatto di coreografie, eleganza e luccichio di candele diventa il fulcro della vita sociale, comincia a esercitare fascino sugli scrittori dell’epoca fino a essere presenza ricorrente nella grande letteratura occidentale, con funzionalità narrative differenti a seconda del romanzo.
Spesso queste scene sono minuziosamente descritte e rappresentano una svolta nel racconto, un mezzo tramite cui lo scrittore porta avanti la trama in maniera rapida e avvincente. Il ballo può costituire una metafora, rappresentare una temporanea illusione o essere il ritratto di determinate dinamiche sociali. In Il padre Goriot di Balzac il ballo assume una sfumatura triste. Nel saggio introduttivo che precede l’edizione Feltrinelli del 2013, Cesare de Marchi racconta che in questo romanzo il ballo diventa il prototipo dell’ipocrisia e dello squallore degli ideali aristocratici e borghesi legati al denaro e all’arrivismo. Le due figlie dell’anziano ex pastaio Goriot, dopo aver approfittato tutta la vita del buon cuore del padre, non vanno nemmeno a trovarlo quando si trova in punto di morte per andare a un ricevimento essenziale per la loro posizione sociale. Il padre muore in solitudine, delusione e amarezza.
In altri capolavori della letteratura occidentale ritroviamo il ballo di società come momento cruciale del romanzo, un punto di non ritorno. Alla voce “festa” del Dizionario dei temi letterari a cura di Ceserani troviamo citata Madame Bovary, dove il ballo comporta turbamenti e sensualità, una temporanea illusoria dimensione di felicità che distacca la protagonista dalla noiosa quotidianità e la rende poi incapace di accontentarsi della sua vita precedente. Emma è una giovane donna sposata con un mediocre medico di campagna, ristretta in una vita ordinaria. Un avvenimento inaspettato scuote la sua monotonia: un invito a un ballo da parte di un paziente di suo marito. Il culmine della serata avviene quando Emma viene invitata da un visconte per un valzer. È un momento molto passionale che allude in modo raffinato a un amplesso non consumato e smuove l’interiorità di Emma. Dal giorno dopo non è più la stessa, cerca altre emozioni per sopravvivere come gli oggetti costosi o l’adulterio, ma infine cerca sollievo nella morte.
Dalla Francia ci spostiamo in Russia verso Anna Karenina. A segnare la condanna della protagonista è un ballo a Mosca, palcoscenico dove lo scrittore fa incontrare Anna, Vronskij e gli altri personaggi principali, descrivendoli dettagliatamente e presentandoceli come in un dipinto. Anna è una donna giovane, bella e fondamentalmente buona. Viene data in sposa molto presto, all’età di diciotto anni, a un promettente funzionario con una splendida carriera burocratica. Vive così nei brillanti ambienti dell’alta società di Pietroburgo, rispetta il marito parecchio più anziano di lei, è di natura allegra e vivace, ama profondamente il suo bambino. In visita al fratello a Mosca, durante un ballo di società fa la conoscenza del conte Vronskij. Nel mezzo di una mazurca i loro corpi si sfiorano e si respingono, e così prende vita la loro travolgente relazione. Qualcosa cambia in Anna, sostiene Bachtin in Tolstoj (1986). Da quel momento un’altra vita si impadronisce di lei. Tra le righe del romanzo leggiamo in merito ad Anna: «…delizioso quel bel viso (…) ma c’era qualcosa (…) di crudele nella sua delizia…». Nabokov nelle sue Lezioni di letteratura russa ci spiega che nella bellezza di Anna emerge un carattere sinistro dopo aver danzato tra le braccia di Vronskij. In poco tempo dal potente amore per il conte passerà alla disperazione e alla stanchezza finché, spinta dal disordine della propria vita, si butterà sotto un treno.
Come Emma, che persa negli occhi del visconte viene investita da una sensazione di smarrimento ed estraneità dal mondo, così Anna e Vronskij si sentono soli in quella sala piena. Questo momento è reso perfettamente nel film Anna Karenina del 2012, regia di Joe Wright, in cui svariate coppie danzano speciali coreografie, ma a un certo punto tutti si pietrificano e diventano come statue, le luci si abbassano e a ballare rimangono solo i due futuri amanti, illuminati e seguiti da un unico riflettore.
Nel caso del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa invece la festa da ballo, alla quale l’autore dedica l’intero sesto capitolo, viene associata alla fine di un’epoca, a un momento di crisi storica. Ambientato nella Sicilia del 1860-1861, a fare da sfondo sono lo sbarco dei Mille e la proclamazione del Regno d’Italia. Don Fabrizio, principe di Salina, assiste con nostalgia e amara consapevolezza al lento decadere del proprio universo, l’aristocrazia, e all’insorgere dei tempi nuovi in cui a dominare sarà la borghesia. L’unione simbolica di questi due mondi avviene durante il sontuoso ballo apice del romanzo ed è rappresentata dal fidanzamento tra il nipote di Don Fabrizio, Tancredi, e la bella Angelica, figlia di un potente proprietario terriero. Don Fabrizio gira tra le sale, contempla i soffitti, le decorazioni e tutto quello che lo circonda. Sente che è vicina la propria morte, non solo quella del proprio ceto. A distogliere il principe dai propri cupi pensieri è Angelica, elegante metafora della giovinezza, che gli chiede di accompagnarla in un valzer. Questa danza risveglia in Don Fabrizio una sensazione di freschezza e sensualità, perché rappresenta la sua ultima espressione di vitalità prima della fine ormai imminente. Questa magica scena è celebrata maestosamente e resa famosa dal film diretto da Luchino Visconti (1963), a proposito del quale Alberto Moravia nella recensione su L’Espresso scrisse entusiasta che «i motivi centrali del romanzo sono attratti e dolcemente travolti nel turbine di questo ballo».
Tanti altri sarebbero i testi letterari di cui scrivere poiché tanti furono gli autori che scelsero di inserire un ballo di società all’interno della propria narrazione, approfittando della possibilità che questa scena offriva di indagare l’animo dei personaggi e di descrivere personalità e comportamenti.
di Eleonora Boriani