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pubblicato 4 giorni fa in Recensioni

Falling in love as falling asleep: “Un amore senza fine”

classici che sonnecchiano un po’ perché amano molto

Falling in love as falling asleep: “Un amore senza fine”

Si trattava cioè o di venire avanti e approfittarne o stare indietro, il più possibile vicino ai confini del sonno, sperando di caderci accidentalmente. […] Mi sentivo come in un mondo che ancora non s’era inventato il linguaggio.

I personaggi di Un amore senza fine di Scott Spencer (Sellerio, traduzione di Francesco Franconeri) amano e dormono molto. È per loro l’unico modo di vivere in maniera assolutamente sincera, assolutamente autentica, perché soltanto nel sonno e in amore possono mostrarsi per come sono: vulnerabili e pronti a cadere da un momento all’altro.

Il sonno rende ancor più totalizzante ed esclusivo l’amore nell’universo di David e Jade, è l’unica tregua concessa dall’amare senza fine, senza posa. Il sonno è anche una metafora possibile per l’amore: innamorarsi in inglese falling in love non è poi così diverso dall’addormentarsi: in entrambi i casi si può avere la sensazione di cadere, di perdere il controllo di sé e sentirsi agiti solo da una forza tenace e promiscua, un misto di paura e coraggio mischiati e confusi, più forte e imprevedibile della forza di gravità.

Se David non vorrebbe mai dire buonanotte a Jade («Ma ero come legato alla veglia e non mi restava che deciderne il tipo: una vuota, spalancata cugina del sonno, oppure una malaccorta e distorcente versione della veglia»), Jade cade nel sonno quasi senza accorgersene, «per allontanarsi da tutti quei particolari della vita che le provocano dispiacere». Rivendica con furia le sue ore di sonno come si rivendica una proprietà, qualcosa di nostro, qualcosa di noi; mentre con la stessa rabbia e foga David pretende di restare sempre sveglio. È il suo modo di non perdere nessun attimo, di non essere abbandonato dal suo mondo, da Jade.

Il dormire ha a che fare con l’intima individualità, quella che tende a essere soppressa nella famiglia-clan di Jade e poi nell’amore senza fine tra i due protagonisti che a un certo punto decidono di non dormire più pur di non separarsi mai. Se alloppressione della sua famiglia Jade si oppone rifugiandosi nel sonno, all’amore non oppone alcuna resistenza, vi cede completamente e, insieme a David, inizia quella  «trasgressione contro l’inviolabile chimica del cervello»: il sonno e l’amore.

Senza fine, senza interruzioni. Eppure proprio les intermittences du cœur sono la linfa vitale del nostro essere, della memoria e dell’amore. In queste fessure tra il pieno e il vuoto, la veglia e il sonno, la memoria e l’oblio, si ritrovano il tempo e il proprio sé perduti nelle incessanti metamorfosi. Difatti, come scrive Proust,

In ogni caso, se rimangono (i nostri beni interiori) dentro di noi, rimangono per la maggior parte del tempo in una regione sconosciuta dove non ci sono d’alcun giovamento e dove anche i più usuali vengono ricacciati indietro da ricordi di diversa natura, che escludono ogni simultaneità con essi all’interno della coscienza. Ma se non appena si ricostruisce la cornice di sensazioni in cui sono conservati, essi acquistano a loro volta il medesimo potere d’espellere tutto quanto sia incompatibile con loro, instillando in noi, solitario, l’io che li ha vissuti (Alla ricerca del tempo perduto, Einaudi, tr. di Giovanni Raboni).

È nella notte, in un momento di estrema solitudine e angoscia, che il protagonista de La recherche, al suo secondo arrivo a Balbec, seduto sul bordo del letto, si china per togliersi le scarpe e il suo corpo comincia a ricordare, cioè rivivere, quella lontana sera del giorno corrispondente al suo primo arrivo, quando la nonna si era chinata verso di lui per spogliarlo. Proust descrive questo momento come un «bouleversement de toute ma personne» e paragona a un arresto cardiaco quello del tempo, cioè la riunificazione dei tempi che realizza l’eternità.

Nel sonno, ucciso da un attacco cardiaco, morirà il padre di David, proprio quando il protagonista, invece, dovrà tornare a vivere nel tempo e accettare che quell’amore è finito, pur avendo cambiato la sua persona per sempre. «Ci sono delle aperture nel muro che divide la vita dalla morte e quando succede di affacciarsi a una di esse non si può non cambiare», dice David. Simile al sonno, l’amore è come una membrana permeabile tra la vita e la morte, sulla soglia vertiginosa che separa Euridice e Orfeo, il quale, pur di guardarla, la perde. Allora l’amore può essere soltanto un guardiano vulnerabile.

Sfiorava ansiosamente tutti quei corpi oscuri come se tra i fantasmi dei morti, nel regno delle tenebre, stesse cercando Euridice. Di tutti i modi di produzione dell’amore, di tutti gli agenti di disseminazione del male sacro, uno dei più efficaci è certo questo gran soffio d’ansia che passa a volte su di noi. La sorte è segnata allora: sarà lui, l’essere della cui compagnia godiamo in quell’istante, sarà lui che ameremo. Non c’è nemmeno bisogno che, prima, ci piacesse più di altri, e nemmeno altrettanto. Occorreva solo che la nostra inclinazione per lui divenisse esclusiva. (Alla ricerca del tempo perduto).

E così leggendo l’altro romanzo:

Non una volta m’aspettai di scorgerti dalla finestra, nemmeno scendendo dal letto in cui avevo dormito quando per la prima volta il mio cuore s’era unito al tuo, in cui ero rimasto nell’attesa angosciosa di ritrovarti. (Un amore senza fine).

La riunificazione degli amanti – dopo l’ultima notte trascorsa insieme in un albergo a New York, dove sembrano immobilizzati dal sonno […] come le vittime di un efferato omicidio – non avviene. David si sentirà per sempre espulso dall’eternità, non più oltre il tempo, vale a dire nella giovinezza e nell’amore, ma dentro il tempo. Eppure, anche nel tempo, porterà con sé il suo amore per Jade, un po’ di eternità.

Ogni cosa è al suo posto. Il passato riposa respirando lieve nell’oscurità. […] Sono fuggito – o ne sono stato espulso – dall’eternità, sono tornato nel tempo. Ma una volta ancora ne esco per cantare quest’aria, questa confessione, questo testamento senza fine. […] Non c’è orchestra, né pubblico; c’è un teatro vuoto nel mezzo della notte e tutti gli orologi del mondo stanno scadendo. E adesso per l’ultima volta, Jade, non m’importa né domando se sia pazzia: io vedo il tuo volto, ti vedo, ti vedo, in ogni posto ti vedo.  (Un amore senza fine).

Possiamo ora comprendere meglio, forse, la strana premessa che apre Alla ricerca del tempo perduto: «per molto tempo, mi sono coricato presto la sera». Il lettore deve entrare nel romanzo restando sospeso tra la veglia e il sonno, quasi ad occhi chiusi, per poter attivare quella che Coleridge chiamava «suspension of disbelief». Sono le stesse premesse dell’amare senza perdere sé stessi ma perdendo l’equilibrio. Ma i classici, anche quando sonnecchiano, senza che noi li svegliamo e risvegliamo, con il nostro amore, non sembrano andare mai a letto presto.

di Lucrezia Ceglie