Doppio sogno: l’abisso della coscienza di Arthur Schnitzler
Arthur Schnitzler è un affermato medico nella città austriaca di Vienna a cavallo tra Ottocento e Novecento. Nel 1925 questo eclettico intellettuale scrive un libro intitolato “Doppio sogno”.
Questa straordinaria opera, ed il suo brillante autore, rivelano alcuni risvolti profondamente interessanti. Partiamo dall’inizio. Doppio sogno (il cui titolo originale tedesco è “Traumnovelle”) è un breve romanzo che racconta la storia di due coniugi, paradigma della borghesia viennese: il dottor Fridolin e sua moglie Albertine. Il racconto incomincia con la confessione reciproca di marito e moglie che la sera precedente, durante un’intrigante festa in maschera, ammettono di aver provato attrazione nei confronti di persone estranee, sconosciuti. La conversazione rapidamente degenera e sfocia in una serie di confessioni scottanti a proposito di presunte, o reali, pulsioni sessuali provate dai due nei confronti di terzi.
L’apparente calma e serenità della vita coniugale vengono turbate irrimediabilmente e Fridolin approfitta della chiamata di un suo paziente in gravi condizioni per uscire di casa.
Cominceranno a questo punto una serie di eventi sempre più tesi e drammatici. Fridolin sarà più volte messo a dura prova dalle sue apparentemente incontrollabili pulsioni, nel corso di una notte che vivrà in solitudine, ma nel corso della quale cercherà spasmodicamente sempre la presenza ed il contatto indiretto con la moglie.
Infine Fridolin torna in città con una carrozza. La moglie dorme nel letto coniugale, ma al suo arrivo si sveglia di soprassalto e, mortificata, confessa di avere appena fatto un incubo: faceva l’amore con l’uomo per cui aveva provato una forte attrazione, ma nel frattempo, nella stessa stanza, il marito subiva violenze e supplizi.
Il finale rivela un incredibile capacità narrativa che porta il lettore a seguire le vicende con irremovibile attenzione, sul filo di una tensione che non sembra calare mai, nel raggiungimento di una fine sublime e feroce.
Probabilmente questo accenno di trama richiama alla mente un film del 1999, diretto dal regista statunitense Stanley Kubrik. Eyes Wide Shut infatti è la trasposizione cinematografica di questo capolavoro della letteratura tedesca. Il titolo richiama la volontà del regista di rappresentare come l’occhio, strumento principe della percezione sensoriale, guidi l’osservatore attraverso lo sconvolgimento della coscienza, o come lo definisce Annette Michelson, “la coscienza del disorientamento“.
Se molto spesso le versioni cinematografiche tendono a gettare nello sconforto i fedeli lettori, in questo caso Kubrik, immenso regista, offre la possibilità di soffermarsi su alcuni aspetti veramente intensi e peculiari dell’opera, aggiungendo questa componente rappresentativa che ha il merito di rifuggire un rischio, per nulla scontato, di sfociare nella volgarità e nell’osceno.
Tralasciando ora la storia di per sé, è importante sottolineare come Schnitzler abbia l’indiscutibile merito di aver introdotto nella storia letteraria un grande artificio narrativo del monologo interiore. Il monologo interiore, o flusso di coscienza, si configura come un dialogo intimo svolto nell’interiorità di un personaggio tra sé e sé. Questa tecnica verrà abbondantemente sfruttata ed affinata da autori come James Joyce, Virginia Woolf o Italo Svevo.
Il flusso di coscienza si lega indissolubilmente ai concetti dell’inconscio, delle pulsioni, delle crisi dell’individuo, che saranno cardine degli scritti di un altro grande pensatore dell’epoca: Sigmund Freud. Freud presterà molta attenzione all’opera di Schnitzler, alla sua letteratura come studio dell’animo umano, alla sua stessa figura.
Tra il padre della psicanalisi e lo scrittore viennese si venne a creare un rapporto di eccezionale particolarità: Freud lo osservata con profondo interesse ed attrazione, ma vi si rapportava con una sorta di velato timore, arrivando a considerarlo come “il suo doppio”.
Freud scrisse a Schnitzler all’interno di una lettera datata 14 marzo 1922:
Il Suo determinismo come il Suo scetticismo – che la gente chiama pessimismo – la Sua penetrazione delle verità dell’inconscio, della natura istintiva dell’uomo, la Sua demolizione delle certezze convenzionali della civiltà, l’adesione dei Suoi pensieri alla polarità di amore e morte, tutto ciò mi ha commosso come qualcosa di incredibilmente familiare.