Marco Miglionico
pubblicato 7 anni fa in Letteratura \ Recensioni

Non uscite di casa senza un ombrello!

Non uscite di casa senza un ombrello!

La percezione seguente la lettura del breve libro di Thomas Hürlimann è la stessa di chi ha percorso una strada nel bosco, un bosco fittissimo, da cui ne esce accecato offrendosi al primo bagliore di luce. La tendenza a voler mirare a quella luce e tentare, coi nostri mezzi, di offrirne una spiegazione è la medesima tendenza che Hürlimann nel suo libro, invece, denuncia. È propria, a suo dire, del mondo occidentale la pulsione di non volere arrendersi alla fisica, ma di varcare una soglia, approdando così a quella meta(oltre, dopo)-fisica che Aristotele aveva ben inteso. Hürlimann chiama questa tensione continua del pensiero occidentale una crepa e fa di Nietzsche il pensatore più attento a quella stessa crepa dalla quale nacquero la psicoanalisi e l’esistenzialismo.

Nietzsche è infatti l’indagatore della metafisica, è “l’animale filosofico le cui narici fiutano verso l’interno”, scrive Hürlimann. Il brevissimo libro riesce a percorrere infatti con semplicità e con garbo il medesimo percorso del pensatore tedesco, in un arco di tempo preciso (dal 1881 al 1888) da Sils-Maria a piazza Carlo Alberto, a Torino. Hürlimann immagina un continuo rapporto fra Nietzsche, viandante, e il cielo sopra di lui, cautamente affrontato portando sempre dietro con sé un ombrello, l’ombrello rosso: vero protagonista della dissertazione di Hürlimann. Come ha osservato la traduttrice Mariagiorgia Ulbar nella sua nota finale al testo di dissertazione si può giustamente parlare, perché “[Hürlimann] ci tira dentro la filosofia del Novecento con un amo che è un ombrello rosso e che, se non pretende la conoscenza dello specialista in filosofia, verso il mondo della filosofia con baldanza ci spinge, ci spinge verso il gusto della dissertazione filosofica e del piacere del ragionamento”.

L’autore del breve libro parte infatti da una frase del ricco aforismario nietzschiano che, fuori dal contesto, sembra un’osservazione apparentemente inutile: “ho dimenticato il mio ombrello”. Non si coglie nell’immediato il senso dell’affermazione di Nietzsche, perché nell’immediato il nostro pensiero è già fuorviato da quella deformazione tipicamente occidentale di risalire al contesto da una frase. Hürlimann, per esempio, offre la lettura psicoanalitica che fece dell’ombrello Derrida, che tuttavia resta parziale e incapace di comprendere a pieno il senso. Hürlimann invece inverte il senso della questione e ci invita, complice il suo gatto Mufti che lo accompagna nelle camminate e che fa da protagonista nelle due brevi digressioni all’interno del libro, a badare al contesto, alla bellezza degli ambienti, a ciò che un luogo può ispirare. In questa medesima ottica, tutto il suo breve lavoro è di fatto un percorso attraverso cui sembra più facile ripercorrere le tappe del pensiero di Nietzsche, perché se ne apprendono le suggestioni ispirate da un luogo. Ogni sentiero calpestato da Nietzsche aveva per compagno un ombrello rosso, di cui Hürlimann fa un’analisi finissima.

L’ombrello simboleggia il serpente arrotolato e fattosi bastone, il bastone di Esculapio, il serpente che si nutre di sapienza, l’animale sacro per molte culture antiche. Dunque l’ombrello incarna l’estremo baluardo tra l’uomo ed il cielo, lo strumento di cautela che deve essere dell’uomo che guarda al cielo e comprende, per un attimo, di essere governato da e condotto verso qualcosa di superiore. Dimenticare l’ombrello è un segno di resa, di follia: pare che infatti Nietzsche abbia pronunciato questa frase, mentre veniva condotto in manicomio, forse ripensando a quell’ombrello rosso caduto in piazza Carlo Alberto, mentre abbracciava il noto cavallo.

 

 

 

 

 

L’ombrello di Nietzsche
Thomas Hürlimann
Marcos y Marcos, febbraio 2017
Pagine 64
Brossura: € 14,00