Il fascino dei thriller
Invito alla lettura di Tornerà di Rinaldo Boggiani
Siamo, da appena un mese, entrati nella stagione autunnale. Una stagione descrivibile attraverso il color grigio: sopraggiungono i primi freddi, la pioggia, la nebbia, al cielo soleggiato incede, parafrasando il poeta viterbese Vincenzo Cardarelli (1887-1959), quello plumbeo. Atmosfere cadenzate al punto giusto per scenari thriller.
In uno sfondo affine s’inserisce a pieno il romanzo di Rinaldo Boggiani, Tornerà, edito dai tipi di Albatros, nel novembre del 2015. L’autore, giurista e allievo dello storico del diritto italiano, Italo Mereu (1921-2009), da tempo avvezzo alla scrittura, sia a quella saggistica che a quella narrativa, ci ha regalato un thriller avvincente, in cui la santa Inquisizione e Bologna, «patria di Innocenzo III, apostolo dell’inquisizione» come lo scrittore ci ricorda (Ivi, p. 152), ne sono i protagonisti tematici.
L’originalità di Boggiani è tale che, oltre a nutrirsi di toni danbrowniani (e qui riecheggiano positivamente le parole del celebre critico letterario Cvetan Todorov, morto meno di un anno fa, nelle prime pagine del suo saggio del ‘70, La letteratura fantastica, secondo il quale non esisteva letteratura se non da altra letteratura), oltre a nutrirsi di toni danbrowaniani, dicevo, le pagine di questo romanzo permeano di barlumi argentiani. Un film che questo libro, a mio giudizio, evoca è La terza madre (2007), l’epilogo della trilogia delle Tre madri (1977-2007), anteceduto da Suspiria (1977) e Inferno (1980). La terza madre, sebbene abbia uno sfondo più cruento, è una pellicola che, ambientata in tempi odierni – proprio come il libro di Boggiani -, pone al centro le vicende di una setta demoniaca alle prese con la caccia alle streghe. Se in quell’occasione la narrazione nasceva dal ritrovamento di un’urna, in Tornerà, i fatti narrati ruotano attorno al possesso di un libro. I quattro protagonisti, in tal caso, Alessandro, Silvia, Paolo e Tommaso, devono fronteggiare, come Psiche alle prese col volto di Eros, la loro curiositas verso questo libro, verso la simbologia che quest’ultimo cela. Mosse sbagliate, velleità da detective potrebbero rivelarsi fatali…
Concludo, infine, mostrandovi parte dell’incipit del romanzo. Ciò su cui consiglio di porre l’attenzione è l’alternanza del bianco della neve e del nero notturno che pervade l’inquieto scenario descritto dall’autore. Suggestiva è, infine, la presenza di una ferrovia. Dico suggestiva, perché, è un (malinconico) luogo che anche lo scrittore austriaco Robert Musil (1880-1942) nella prima pagina dei Turbamenti del giovane Törless (1906) ha delineato, con un gioco cromatico e una funzionalità analoghi a quelli di Boggiani:
12 febbraio, notte da lupi. Erano almeno cinque ore che la neve scendeva senza interruzioni. Le strade, un manto bianco. A ogni avvallamento l’auto presa a noleggio sbandava, la doppia trazione automatica ora funzionava ora no. Avesse saputo come, l’avrebbe disinserita, maledetta elettronica. La luce dei fari aiutava la luna a definire un po’ meglio le cose. Ma conosceva a memoria quelle strade percorse mille volte da giovane con gli amici o quando voleva stare solo. L’argine in lontananza, un’onda nera.
Tre chilometri poi l’arrivo. Era quella la notte. Quella che lo aveva visto nascere al secondo piano di un appartamento in affitto a pochi passi dal fiume. Quando, se tutto filava liscio, si veniva al mondo in casa […]
A sinistra la ferrovia immobile, i treni mangiati dalla ruggine, le rotaie divorate dall’erba, ora tutto bianco. La ricordava animata, lavori in corso sui binari, la stazione piena di gente quando da monello andava a guardare le ragazze partire, sperando che un colpo di vento alzasse le gonne mentre salivano su quei gradini esagerati.
L’auto scivolava nel buio. Negli specchi i binari sporchi lasciati dalle gomme sulla candida neve come solchi nell’anima. Ancora un po’ quei fiocchi così grandi li avrebbero coperti come non fosse successo niente, non fosse passato nessuno, due ferite guarite (Ivi, p. 9, corsivi miei).