Quando i “terroristi” erano amici degli americani
Noi non trattiamo con i terroristi!: è con questo rapido slogan che si può sintetizzare la politica estera statunitense degli ultimi diciotto anni. Eppure, se torniamo indietro nel tempo, quelli che oggi vengono chiamati terroristi erano “amici” degli Stati Uniti.
È il 1978, siamo in Afghanistan e una rivolta armata da parte di frange comuniste, porta al colpo di stato e alla creazione della Repubblica Democratica dell’ Afghanistan, uno stato basato sui valori del socialismo, con una politica rivolta ai contadini, alle classi medio – basse e all’emancipazione femminile (le donne saranno al centro della politica, del lavoro e sarà loro prima sconsigliato, poi vietato, l’uso del burqa). Questa politica tuttavia non è apprezzata proprio dai contadini delle periferie che, legati fortemente ai principi del fondamentalismo islamico, poco istruiti e poco aperti ai cambiamenti, inizieranno, dapprima a non accettare il nuovo corso, poi a ribellarsi con le armi alle istruzioni di Kabul. Quei contadini, riuniti in gruppi con diverse basi di pensiero, inizieranno a invocare un Jihād, la guerra contro gli infedeli, e a farsi chiamare Mujaheddin (letteralmente “guerrieri del Jihād”). L’Afghanistan era un alleato dell’Unione Sovietica da tempi lontanissimi; basti pensare che fu il primo paese a riconoscere il neonato stato alla fine della guerra civile nel 1922! Con un governo socialista al potere, il rapporto tra i due stati si era ovviamente rinforzato e quando i Mujaheddin iniziarono a colpire, i sovietici inviarono prima aiuti al governo di Kabul con armi e munizioni, poi addirittura l’Armata Rossa sul desertico suolo Afghano.
Gli Stati Uniti, che fino a quel momento avevano osservato in disparte l’evolversi della situazione, furono spinti a sostenere i rivoltosi principalmente con due motivazioni: innanzitutto con l’invasione i sovietici si avvicinavano armati allo Stretto di Hormuz, passaggio fondamentale per le risorse petrolifere del Golfo Persico, di strategica importanza; inoltre, si resero conto che i sovietici stavano per invadere un paese difeso da truppe irregolari che, conoscendo il territorio, potevano praticare un efficiente guerrilla, un errore molto simile a quello commesso proprio dagli Usa in Vietnam e la possibilità di scatenare un “Vietnam sovietico” e danneggiare fortemente l’economia del modello comunista, diede la spinta decisiva in favore dell’intervento americano . Gli Statunitensi dapprima sostennero economicamente i Mujaheddin con un budget di circa 20 milioni di dollari poi, grazie all’impegno del deputato democratico del Texas Charles Nesbitt Wilson, detto Charlie, che si prodigò affinché fosse varata una vera e propria operazione di intelligence per contrastare in via non ufficiale i sovietici, l’importo salì di anno in anno, fino a toccare la cifra di 630 milioni di dollari nel 1987.
La cosiddetta Operazione Cyclone fornì ai Mujaheddin grandi quantità di armi, munizioni, istruttori per le nuove tecniche di combattimento e i rivoluzionari lanciamissili RPG, capaci di abbattere i temutissimi elicotteri dell’Armata Rossa. In questo modo, il conflitto raggiunse il climax della violenza e, se da una parte i sovietici iniziarono a usare gas tossici, armi chimiche, Napalm e rappresaglie sulla popolazione civile (costretta sempre più spesso a cercare riparo nei campi profughi in Pakistan e Iran), dall’altra, i ribelli iniziarono a fucilare i prigionieri, ad abbandonare i loro corpi ai lati delle strade come monito e a spostarsi sulle montagne e nella valle del Panjshir, dove le truppe sovietiche, preparate alla guerra su larga scala, s’impantanarono. Gli americani, e Charlie Wilson in persona, iniziarono a stabilire contatti sempre più forti con i leaders della resistenza, tra i quali spiccava un giovane e audace combattente di nome Osama Bin Laden che, nel gennaio del 1989, riuscì a vincere il confronto con i sovietici spingendoli, grazie anche alla nuova linea politica di Michail Gorbačëv, ad approvare l’Operazione Typhoon, che prevedeva la smobilitazione delle basi e la ritirata progressiva dal suolo Afghano. L’URSS usciva devastata dal conflitto: in dieci anni di combattimenti, quasi 620 mila soldati avevano prestato servizio in Afghanistan e circa 15 mila avevano perso la vita; altissimo era il numero dei feriti, delle spese sostenute e dei mezzi militari distrutti o danneggiati. Una delle cause che porterà, appena due anni dopo, alla caduta del blocco sovietico sarà proprio il conflitto con i Mujaheddin. Gli Stati Uniti, dal canto loro, avevano ottenuto ciò che volevano; sospesero immediatamente l’Operazione Cyclone e, nonostante Charlie Wilson cercasse con tutte le sue forze di creare un nuovo piano di aiuti alla popolazione civile, devastata dalla guerra, e un programma di sostegno per la costruzione del nuovo stato Afghano, il Congresso decise di sospendere qualsiasi spesa destinata ai ribelli di Bin Laden, lasciando il paese nel caos e nel disordine e dando modo così al gruppo dei Taliban di acquisire sempre maggior potere.
Il comportamento degli USA, dal finanziamento dei gruppi armati dei fondamentalisti islamici fino e soprattutto all’abbandono della situazione precaria, sono riconosciuti universalmente come la principale causa della nascita e sviluppo del terrorismo attuale.
Le fonti
Libri:
George Crile, Il nemico del mio nemico – Afghanistan 1979 – 1989, la Guerra segreta del Deputato Wilson, Il Saggiatore, 2005
Gianluca Bonci, Le spade di Allah – I Mujaheddin nel conflitto Russo – Afghano, Liberodiscrivere Edizioni, 2011
Andrea Frediani, Guerra, battaglie e rivolte nel mondo arabo da Lawrence D’Arabia a Gheddafi, Newton Compton Editori, 2011
Video:
Mike Nichols, La guerra di Charlie Wilson, Universal Pictures, 2007
Il tempo e la storia, Afghanistan l’invasione sovietica, puntata del 14/04/2015, condotto da Massimo Bernardini con la partecipazione del Prof. Adriano Roccucci, Rai