Aspettando i Naufraghi
Aspettando i Naufraghi è il romanzo d’esordio di Orso Tosco, giovane scrittore e sceneggiatore. Il libro, pubblicato questo maggio dalla casa editrice romana Minimumfax, colpisce già dalla copertina, illustrata da Patrizio Marini: a una rapida occhiata si vede solo un’enorme onda scura, ma la cresta è composta da alcuni corvi in volo che, in linea con l’iconologia tradizionale, lasciano presagire la morte e l’irresolutezza.
Il libro si apre con “due persone distese sul letto, nel buio leggero di una stanza con le finestre aperte e le persiane socchiuse”, una scena che potrebbe tranquillamente essere tratta da un film di Sorrentino o da una serie tv trasmessa da Netflix.
Non è difficile immaginare l’inquadratura quasi immobile, poi la telecamera che si avvicina e si concentra sui dettagli (l’autore descrive, quasi fosse un esponente del Nouveau roman, gli oggetti della stanza, i colori della luce e delle ombre, i movimenti dei due amanti che non sono davvero in intimità), mentre fuori in sottofondo arriva ovattato il brusio di una festa.
Ma quando poi si segue l’uomo al di fuori della stanza, tra chi si muove scoordinato e chi si bacia appassionatamente in un’orgia senza passione, si scopre che non c’è niente da festeggiare e nessun Jep Gambardella sta ballando sulle note della Carrà. La luce salta, sedici persone si siedono al tavolo, insieme, e quindici si suicidano; l’unico che non preme il grilletto è l’uomo della scena iniziale, Massimo.
Per quale motivo sedici persone si siedono allo stesso tavolo e quindici decidono volontariamente di togliersi la vita? Perché stanno arrivando i Naufraghi.
David Foster Wallace in Infinite Jest afferma che chi si trova in un palazzo in fiamme decide di buttarsi non per il desiderio della caduta, ma per la paura del fuoco: ugualmente queste quindici persone decidono di spararsi per non essere bruciati dall’imminente incendio che è l’arrivo dei Naufraghi.
I Naufraghi sono individui che hanno deciso di seguire solamente il loro istinto, che non riconoscono alcuna differenza estetica o religiosa, che non si dividono per classi sociali e non concepiscono l’idea di famiglia, che non hanno rispetto della proprietà privata e non osservano le leggi, ma vivono liberi da tutte le sovrastrutture che sono alla base della società umana. E per questo hanno deciso di rinunciare alle parole, che si prestano a fraintendimenti e interpretazioni, affidandosi solo alle pure e inconfutabili azioni.
Non sono stati loro a darsi il nome, ma gli è stato affibbiato dopo l’unico comunicato ufficiale, che recita:
Chi sta annegando ha un’unica preoccupazione, quella di mettere la testa fuori dall’acqua. La sua vita è racchiusa in quel gesto, chiaro e necessario. Tutti i nostri gesti devono essere necessari e chiari. Perché la vita non è un altro che una lunga distesa di azioni o di mancate azioni.
I Naufraghi quindi non parlano e se, come sosteneva Lacan, il bambino infans, sebbene non sia in grado di tenere un discorso, cerca con i suoi vagiti di parlare per rapportarsi con la presenza dell’Altro, nel rifiuto del parlare dei Naufraghi c’è forte la negazione di riconoscere l’alterità.
Ma nonostante l’imminente arrivo dei Naufraghi, nonostante le morti e le distruzioni inevitabili che accompagnano la loro venuta, Massimo decide di non uccidersi, e di tentare di recuperare il rapporto perduto con il padre malato e ricoverato nell’hospice San Giuda (“Ho deciso di venire, da te”, gli dice al telefono subito dopo aver assistito al suicidio dei suoi amici e degli amori passati). Per questo si mette in viaggio sulla strada deserta, insieme ai suoi ricordi e ai suoi fantasmi e guida per colmare una distanza che non è solo spaziale, tra palazzoni con le porte aperte, abitazioni dalle facciate scrostate e uffici abbandonati.
Al San Giuda entra in contatto con una serie di persone che la morte la sentono ancora più vicina, che ce l’hanno addosso, sottopelle, nei pensieri o nelle parole, a prescindere dall’incubo dei Naufraghi. C’è Olga, l’infermiera che ha deciso di vietarsi ogni piacere e di imporre il veto anche agli altri per non peccare di vanità (senza rendersi conto che un’eccessiva austerità è direttamente derivata dall’orgoglio e pertanto figlia della vanità stessa) e Mildred, una vecchia paziente che ha ordito la migliore vendetta possibile contro i Naufraghi. C’è il moribondo signor Flammani che incarna nella sua malattia la vita priva di ogni falsa bellezza nella stanza numero tre, e gli innamorati Karima e Yassin in quella accanto. C’è anche un giovane paziente, Diego, un ragazzo che vede i morti – ma che non ci parla, perché nessuno può parlare con i morti – e che vive solo osservando il mondo dalle distorte lenti dell’invidia e del rancore. E ancora Bibiana e Guido, Jade, il dottor Malandra e Gramigna, che inventa canzoni e a volte sembra essere una versione più grottesca del Gurdulù di Calvino.
E nonostante i Naufraghi si avvicinino sempre di più, nonostante il loro arrivo incomba durante tutta la lettura, il punto focale del libro è costituito dai sentimenti degli abitanti di questo microcosmo: il legame sfilacciato tra un padre e un figlio che si ricostruisce attraverso i sogni raccontati, la tenerezza di un amore che nasce e comporta desiderio e bisogno, la grandezza di un legame che non finisce neanche quando viene interrotto. E dietro ogni azione e ogni parola, si svela piano la speranza, espressa sottovoce, trattenuta, custodita gelosamente, ma presente anche quando sembra non esserci più.
Orso Tosco è in grado di dosare con cura la parte fantastica, inserendola tra le righe per smorzare tutti quei dolori che fanno parte della vita umana e che sono tristemente troppo reali. E se è vero che come dice Bibiana a sé stessa “tutti muoiono”, questo libro arriva a ricordarci che quel buio non è così definitivo come credevamo.
Poi si china verso suo padre per farsi baciare, per sentire le sue labbra fresche sul collo e per accettare, è ora, una verità: questo è tutto, questo è davvero tutto ciò che rimane. Eppure Massimo non sa, perché ancora non lo può sapere, che ciò che rimane è, forse, davvero tutto qui, in questo posto nel mezzo del nulla, con suo padre malato terminale, e loro in arrivo, ma che tutto questo non è poco, non è poco per niente. E soprattutto, non è ancora finito
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