Fernanda Pivano
e l’eterna ricerca dell’altra America
Quando Pavese era tornato dal confino, un giorno mi parlava degli scrittori americani, e io gli avevo detto: “Ma che differenza c’è tra la letteratura americana e quella inglese?”. Ero una ragazzina, tanti anni fa, di quelle che si davano un gran da fare per non perdere mai la tintarella. Pavese mi aveva fatto uno di quei sorrisi che faceva lui e mi aveva dato da leggere Ernest Hemingway, Walt Whitman, Sherwood Anderson e l’Antologia di Spoon River.
(Fernanda Pivano, Diari 1917-1973, a cura di Enrico Rotelli e Mariarosa Bricchi, Collana Classici Bompiani, Milano, 2008, p. 52).
Così Fernanda Pivano, scrittrice, traduttrice, critica letteraria e musicale scopriva per la prima volta la letteratura americana. Un rapporto, quello tra lei e gli autori americani, ormai del tutto pervaso da un’atmosfera mitica. Pivano inizia infatti la sua opera di traduttrice regalandoci una traduzione dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters nel 1943, che verrà in seguito usata da De André e con il quale stringerà un legame fortissimo negli anni.
L’America era arrivata in Italia già negli anni Venti e Trenta, grazie al prodigarsi di Cesare Pavese e di critici italiani dell’altezza di Mario Praz ed Emilio Cecchi; ma è grazie alle traduzioni di Pivano che la letteratura americana inizia a diffondersi tra le nuove generazioni e ad acquisire dei tratti ben precisi.
Fondamentali e decisivi per l’attecchimento della letteratura americana in Italia negli anni Trenta e Quaranta furono inizialmente due fattori: la censura del regime fascista e l’insofferenza da parte di alcuni intellettuali italiani nei confronti del topos della letteratura generalmente superomistica pro-bellica, e la voglia di emanciparsi da essa. Da qui la ricerca del nuovo, dell’altro, del diverso: parole tuttora assunte come sinonimi della letteratura americana. La letteratura americana diventa perciò letteratura di reazione all’ambiente politico e culturale italiano.
La sua presa di posizione contro il controllo del regime fascista è ben nota: venne arrestata la prima volta nel 1945 dalle SS in seguito ad una retata nella casa editrice Einaudi, durante la quale avevano trovato il contratto di traduzione di A Farewell to Arms di Ernest Hemingway, libro estremamente vietato per via della descrizione del massacro di Caporetto: sottoposta ad un interrogatorio in tedesco che durò più di dieci ore, racconta nei suoi Diari (editi da Bompiani), venne lasciata in semi-libertà, scortata da un loro funzionario che avrebbe perquisito il suo appartamento ogni sera. Il secondo arresto qualche mese dopo, quando le trovarono nella borsetta alcune fotografie per documenti falsi destinati ai rifugiati sulle montagne. E ancor prima dei suoi arresti, da giovanissima venne cacciata dal Conservatorio di Torino, dove studiava pianoforte, per aver invitato ad un concerto di musica da camera Pablo Casals, noto oppositore del regime franchista e talentuoso violoncellista.
Pivano è stata senza dubbio un personaggio controverso: apprezzata da moltissimi, non mancano le critiche verso il suo costante cercare “l’altra America”, senza conoscere a fondo la complessità e la pesante stratificazione della stessa. Dunque in un mondo in cui dal 1945 gli USA erano diventati una potenza imperialista e da loro non veniva più nulla di valido, secondo il parere dell’alta borghesia culturale-radicale italiana, si promossero i “ribelli”, inserendoli nel progetto culturale di un’America giovane, rivoluzionaria, di sinistra, nuova. Un personaggio difficile dunque, e tutt’oggi controverso per tali scelte.
Ma nonostante ciò, resta nella leggenda il primo di molti incontri con Hemingway a Cortina, la sua amicizia con Bukowski, il suo rapporto con gli autori della Beat Generation; Alice B. Toklas e Getrude Stein, Ezra Pound, Erica Jong, Tennessee Williams, Jay McInerney, e ancora Grace Paley, Kurt Vonnegut, Jack Kerouac. Fu questo genere di episodi, conosciuti allora e risaputi oggi, che inevitabilmente conferiscono a Pivano una luce eroica dalla quale è impossibile sottrarla.
Articolo di Giulia Marziali.