Gianmarco Canestrari
pubblicato 6 anni fa in Letteratura

Il Desiderio che diventa Destino

"I tre volti di Ecate” di Vito Santoro

Il Desiderio che diventa Destino

Il romanzo di cui sto per parlare è uno di quei libri che, a mio avviso, rientra a pieno titolo nella categoria calviniana dei “Classici”, dei libri senza tempo, dei libri che non finiscono mai di emozionarti e di suscitarti stati d’animo particolari e unici. Stiamo parlando del capolavoro di Vito Santoro I tre volti di Ecate, edito da Edizioni Spartaco.

Ambientato nel brindisino, terra d’origine dell’autore, ma anche in altri punti nevralgici e fondamentali per lo svolgimento del racconto (come Cesme in Turchia), il romanzo è un viaggio oltre che geografico, anche storico – mitologico. Tutto ha inizio con un furto su commissione (ordinato dal ricco imprenditore Messala) di una misteriosa e alquanto spettrale statuetta di bronzo raffigurante la dea Ecate. Per i due “agenti del furto”, Dario e Alberto, doveva essere una cosa da niente, un gioco da ragazzi, ma, per ragioni oscure che si veleranno solo alla fine della storia, le cose non vanno per il verso giusto, quello che doveva essere solo un piccolo e insignificante furto di una statuetta si trasforma nel giro di un secondo in un omicidio.

Comincia così l’odissea dei due ladruncoli che, al seguito del vigile sguardo della dea, cercano di portare a termine il loro “lavoro” tra varie peripezie e ostacoli. Il furto della statua diventa così il motore dell’intero svolgimento della vicenda, tant’è che ognuno dei personaggi-chiave agisce e si muove alla ricerca incessante della misteriosa statua, ignaro del destino a cui va incontro.

La dea muove le pedine della vita di ogni personaggio che si mette alle sue calcagna, che cerca, nonostante tutto, di accaparrarsi la statua senza nessun rispetto per il misterioso messaggio che incarna. L’imprevisto (o, per meglio dire, il finto imprevisto) diventa la scintilla che dà il via all’intera vicenda: è a causa di tale increscioso evento che la dea si insinua nella vita dei personaggi che hanno il coraggio di accostarsi a lei e al suo terribile potere. Poteremmo allora dire con estrema semplicità ed esattezza che è la dea Ecate la vera e propria protagonista del nostro romanzo: è la statuetta della dea, infatti, il fine del furto a casa del Conte, così come è sempre la statua l’oggetto conteso dai vari protagonisti che si avvicendano sulle strade pericolose e tortuose della dea; infine è sempre la dea Ecate la “burattinaia” che muove a suo piacimento i fili intrecciati delle vite dei protagonisti sullo scenario del mondo.

Lei ha in mano i destini particolari di ognuno di loro; può giocare con le loro misere esistenze; può sconvolgere i piani che ciascuno di loro si era posto, rendendo così impossibile qualsiasi pretesa di razionalizzare e ordinare la propria vita. Ecate ha in mano i desideri e le aspirazioni degli uomini incorsi sulle sue vie: d’ora in poi ogni desiderio della dea diventa quello del personaggio a cui si riferisce, cosicchè non si è più padroni assoluti del proprio esistere, ma meri pedoni, meri automi, nella scacchiera del gioco divino.

Quello che affascina di tale racconto, e che sottolinea la bravura e la maestria dell’autore, è il complesso intreccio, il fitto legame che scorre tra mitologia e realtà, tra mondo dell’esperienza quotidiana e mondo di ciò che appartiene alle credenze mitiche. Ovvero quel legame stretto tra mondo sensibile e mondo sovrasensibile.

Nella mitologia greco-romana Ecate è la regina dei demoni malvagi, dei fantasmi, della notte e delle arti magiche, capace di accompagnare i vivi nel regno dei morti (era infatti una divinità psicopompa). La sua torcia illumina il cammino che i vivi fanno per entrare nel regno delle tenebre e della morte… incontrarla infatti significava essere arrivati alla propria fine. Nell’iconografia classica viene raffigurata come una triade di donne ognuna con un significato particolare: la giovane con il coltello ha il compito di recidere il cordone della vita e il serpente che l’avvolge è simbolo del passaggio dalla vita piena, vissuta alla vita nell’aldilà; l’adulta con la corona e la fiaccola accompagna le anime nel regno dei morti; infine l’anziana ha le chiavi che introducono dentro il regno degli inferi.

Ecco allora raccolte sotto un’unica entità tre grandi compiti a cui sottostà Ecate: Moira, Traghettatrice e Custode. È piena di fascino anche la teoria che interpreta i tre sguardi delle donne che compongono Ecate, e secondo la quale sarebbero tre i modi di approcciarsi al fenomeno-morte: in gioventù dominerebbe un’inconsapevolezza e una spensieratezza che tende ad occultare la morte (si pensi a Dario e Alberto); da adulti si cerca di allontanare il pensiero della propria fine, affrontandolo però con più consapevolezza e maturità; infine nella vecchiaia si  raggiunge un livello ulteriore di rispetto e timore verso la morte, vista e percepita come imminente nell’orizzonte esistenziale (si pensi alla misteriosa figura del Conte, che proprio per la sua età riversa nei confronti della dea un timore reverenziale, tanto da dedicare alla sua statua un’intera stanza della propria villa).

Con uno stile limpido, diretto, coinvolgente, Vito Santoro ci consegna un brillante capolavoro dai tratti noir che lascia tutti col fiato sospeso. Dall’inizio alla fine del romanzo ci si sente immersi in prima persona nei destini e nelle vicende che capitano ai personaggi, provando le loro stesse emozioni, sofferenze, stati d’animo.

La grandezza dell’autore si vede anche nel modo con cui dipinge e organizza la storia: fornisce al lettore piste da seguire, indizi, prove su cui riflettere, presenta personaggi che all’apparenza sono in un modo ma nascondono in sé segreti e lati oscuri; tutto inizia in un modo ma poi con lo svolgersi della vicenda si trasforma in altro, lasciando il lettore senza fiato. Quegli stessi personaggi che erano partiti come carnefici, inseguitori e assassini gli uni degli altri, si ritrovano alla fine come vittime sacrificali di un gioco perverso e oscuro diretto dalla spietata Ecate.

 

 

 

 

 

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