Il lamento di Davide Aloisi
"Il giorno della nutria" di Andrea Zandomeneghi
Il 7 febbraio 2019 la casa editrice Tunué, che sembra rappresentare la migliore espressione del romanzo italiano contemporaneo, ha pubblicato Il giorno della nutria, esordio di Andrea Zandomeneghi, autore classe 1983, attuale codirettore della rivista letteraria CrapulaClub.
La storia inizia un martedì mattina di fine aprile: Davide, un giovane apofatico e socialista di poche speranze, si sveglia e trova davanti la porta di casa un cadavere scorticato di una nutria. Scongelato.
Lì, sul pianerottolo: un obbrobrio osceno. Sanguinolento. Carne viva che sudava liquami plasmatici. Che colavano vischiosi e ributtanti sui gradini inferiori. E non capii. Che era? Non provai nemmeno a capire, in vero. Perché era lì? Mi sentivo come se il velo della realtà si fosse squarciato. Cosa era quel mostruoso ammasso organico informe di nervi e muscoli e umori? E lo ripeto e lo confermo: il turbamento fu così dirompente, probabilmente, anche per via delle mie condizioni psicofisiche di quella mattina. Io provavo l’impatto derealizzante della visione di un assurdo. Un feto alieno? Vivevo questo senso estraniante e allucinatorio, come se una falla si fosse aperta nel tessuto coerente del mondo fenomenico. Come se da quella breccia fosse uscita una chimera: una Sfinge o un’Astrobase cylone o un Thestral (p. 38).
Davide è leggermente paranoico, soffre di cefalee croniche, cerca metodi alternativi come fughe emozionali ed è schiacciato da un senso di colpa privo di qualsiasi atavismo, tutto personale:
La nutria proveniva da una mia colpa. Sentivo, lo sentivo visceralmente, che proveniva da una mia colpa. Che in qualche modo era anche l’avatara di questa mia colpa. Ma di quale colpa si trattava? Da quale colpa che avevo perpetrato scaturiva la nutria? (p. 66).
Scoprire la motivazione e l’origine di questa chimera diventa una vera e propria ossessione. Davide prova quindi a ricordare gli avvenimenti della sera precedente, ma la quantità di vini bevuti, che siano Syrah giovani o bianchi della Maremma, e di Tennent’s scolate, rende tutto il processo di ricostruzione faticoso.
I primi sospettati sono ovviamente le persone più vicine: Davide vive con la madre, malata di Alzheimer, il nipote Giulio, discreto tombeur de femmes, Dorota, domestica e badante che parla un italiano privo di inflessioni e suda facendo qualsiasi cosa e suo figlio Esteban, esperto di sedute con gli spiriti. Ci sono poi Emanuele, intellettuale amante di Omero e Petronio, misantropo, ma con punte di apertura verso l’Altro eil personaggio esilarante e esistenzialista di Don Stefano, ironicamente chiamato da Davide archimandrita, episcopo, presule, prevosto, prelato o addirittura ierofante.
Il giorno della nutria sembra quasi essere un giallo, capace però di sovvertire alle stesse caratteristiche del suo genere, quasi come Le gomme di Alain Robbe-Grillet; e come nel capolavoro dello scrittore francese le ipotesi si intersecano e si moltiplicano di volta in volta, creando una circolarità senza soluzione di continuità. Attraverso i ragionamenti compulsivi di Davide, ogni presunto colpevole sembra avere un movente per il gesto scellerato, finché non si arriva allo scioglimento finale, unica vera risoluzione possibile.
Il protagonista, Davide Aloisi, ricorda per certi versi un Alex Portnoy impiantato a Borgo Carige, provincia di Grosseto, alle prese con un suo lamentoso flusso di coscienza.
In comune con Philip Roth, oltre a una grande consapevolezza nel descrivere il sesso, l’autoerotismo e le accennate sfumature edipiche, Zandomeneghi dimostra di avere una prosa sempre molto sorvegliata e puntuale, con un lessico ricercato. Colpisce infatti durante tutta la lettura la grande padronanza della lingua da parte dell’autore, una lingua che raggiunge anche vette di registro stilistico molto elevato, senza mai risultare sgradevolmente posticcia o affettata. In un periodo di superproduzione di romanzi scritti in termini estremamente colloquiali e semplicistici, la scrittura di Zandomeneghi risulta una piacevole scoperta, con alcune formazioni (non cognitivismo euristico, pseudocasti iperlibidici, ironia meccanicistico-mondana-pseudoerudita) che impreziosiscono il suo dire sempre molto elevato, anche nel descrivere le scene più triviali.
Non c’è solo Roth però, tra i modelli autorevoli dello scrittore che si ritrovano nel suo esordio. Zandomeneghi sembra rendere ancora più palese il filo che lo lega a Dostoevskij, padre putativo più volte evocato nel testo (la madre di Davide chiama Varvara Petrovna, il padre ricordato sembra Fëdor Pavlovič), nell’interludio in cui Davide torna indietro nel tempo con il suo racconto, a quando era uno dei tanti ragazzi che divideva la sua vita tra il calcio, le prime pulsioni sessuali e la lettura dei classici e degli Adelphi, un po’ solo per sentirsi intelligente.
L’apice febbrile lo raggiunsi – ovviamente – con L’idiota: quando ne lessi senza soluzione di continuità l’intera prima parte (238 pagine per una giornata, dall’arrivo del Principe ai centomila rubli buttati nel camino da Nastasja Filippovna durante la sua festa) in uno stato indemoniato di coscienza. Il monologo isterico della Generalessa Empacina nella scena corale con i nichilisti e la scolopendra alla dacia del Principe a Pavlovsk è stato la mia prima commozione estetica: non avevo mai pianto per l’immane potenza estetica di qualcosa. Ma del resto dov’eri tu quand’io ponevo le fondamenta della terra. Dillo se hai tanta intelligenza! Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai, o chi ha teso su di essa la misura? Dove sono fissate le sue basi o chi ha posto la pietra angolare, mentre gioivano in coro le stelle del mattino e plaudivano tutti i figli di Dio? (pp. 51-52).
Tutto il romanzo è un pendolo perfettamente misurato tra citazionismo colto e riferimenti alla cultura pop, tra discussioni sulla filosofia e partite a Risiko, tra il delitto e il castigo e gli incontrollabili istinti giovanili.
Un sapiente mix di levia gravia, che rende Il giorno della nutria una lettura davvero imperdibile.