Le piccole virtù di Natalia
scorci di paesaggi letterari tra due mostri degli anni Venti
Per quanto riguarda l’educazione dei figli, penso si debba insegnar loro non le piccole virtù, ma le grandi. Non il risparmio, ma la generosità e l’indifferenza al denaro; non la prudenza, ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo. (Natalia Ginzburg, Le piccole virtù)
Passati decenni in avventure letterarie dettate da voracità, ci siamo resi conto che nonostante il nostro impegno fosse massimo e tendesse ad aumentare, impratichiti nella lettura e nel vocabolario, il numero di opere lodevoli di essere lette cresceva più che diminuire, mentre sfumava il tempo a disposizione per compiere l’impresa ideale di leggerle tutte. Ci siamo soffermati sulle biografie di solo un paio di Autori, perché tendenzialmente la loro prosa e un cenno di biografia bastavano a nostro avviso per inquadrarli nello sterminato panorama letterario mondiale di sempre.
Abbiamo studiato, per esempio, le vite di Hemingway e di Pavese. Due scrittori incensati, mendaci a fin di bene artistico. La vita senza l’arte è una seriale ripetizione animale: due scrittori decisi a porre anticipatamente fine ai loro giorni. Ecco spuntare una serie di attriti, di lutti familiari e di dure prove, un esaurimento psico-fisico testimoniante la consapevolezza del sommo privilegio di sopravviversi e del poco tempo a disposizione per riuscirci, volendo vivere la vita.
Mary Welsh, l’ultima moglie di Ernest, conservava i fogli di prosa del marito corretti di rosso e di blu. Custoditi in banca, sarebbero stati venduti per garantire un futuro ai figli. Pavese intuiva superandosi di aver varcato da vivo la rigida cesura del Tempo.
Lessi Hemingway della Pivano, amica e musa dello stesso Pavese, quindi Storia di una vita di Carlos Baker e alcune brevi testimonianze di colleghi. Approfondii Il vizio assurdo di Lajolo, il racconto Ritratto di un amico tratto dalla raccolta edita e inedita dal 1944 al 1960, intitolata Le piccole virtù, di Natalia Ginzburg. Moglie di Leone, morto al Regina Coeli nel ‘44 in seguito alle percosse subite per la sua attività antifascista, la schietta Ginzburg fece della sua professione il ponte principale col quale arrivare all’altro. Uno dei modi per conoscerla è leggere Lessico familiare, un libro che ci consiglia in forma narrativa come interpretare il suo modo di approcciarsi alla vita. Il suoi tratti grezzi simili a quelli dei contadini, accigliati e improntati alla severità, accompagnati da gatti siamesi sonnacchiosi, non ispirano troppa simpatia.
In Ritratto di un amico, troviamo un Pavese amico di famiglia che dall’alto della sua cultura e dal basso delle sue delusioni amorose diventava scontroso, intrattabile. Conducendo un’esistenza da ragazzo adulto, poteva cedere “alla tentazione di buttare la vita ai cani”, come scrive Natalia a proposito di un’amica in Inverno in Abruzzo.
Sfogliando la raccolta con una certa impazienza dettata dal sempre più limitato tempo a nostra disposizione per vivere, e non solo per leggere, una maneggevole edizione de I coralli Einaudi del 1962, anno di uscita della raccolta, dalle pagine ingiallite dal tempo e sottolineate qua e là dalla matita di un lettore donna, a nostro avviso, visto il tipo di appunti presi che si soffermano sui dialoghi quotidiani e sugli aspetti psicologici, una donna sconfitta dall’amore però che lascia lindo il racconto Lui e io, forse nemmeno letto e sottolinea più e più volte le due cronache di Londra dove, a dire il vero, c’è ben poco da sottolineare, perché di fianco ad un’Inghilterra malconcia, tenebrosa e bulimica, dalla scarsa cultura alimentare, spunta un’Italia di geni solari. Cosa a dire il vero che ci ricorda non tanto le Lettere inglesi di Voltaire, quanto Inghilterra di Enzo Biagi, un libretto di italica propaganda con buona pace dell’obbiettività del cronista.
In Rapporti umani trovo un appunto:
…ci sembra di essere conquistati il diritto di essere timidi…
Nella fantasia, la lettrice potrebbe essere una donna tradita dall’amore.
La rossa copertina rigida stampata dal comune amico di Pavese, della Pivano e della Ginzburg, Giulio Einaudi, figlio del futuro presidente della Repubblica Luigi, che tutti loro pubblicò, fa sorgere una considerazione, prima di terminare questa breve passeggiata nelle Alpi narrative e oltre oceano.
Le recensioni sanguigne colme di marketing, dove si celebra il nuovo ennesimo trionfo letterario, promuovono a scopo di vendita e non recensiscono dei prodotti: l’interesse economico maschera la qualità dell’opera. Recensire Le piccole virtù a distanza di quasi sessant’anni dalla prima pubblicazione, quando l’intenzione di ristamparle non rientra nei piani dei dirigenti della casa con lo struzzo, nato per non nascondere la testa sotto la sabbia delle abbruttenti angherie dittatoriali, è un’azione contro la dittatura odierna della Cultura del Prodotto commerciale che colonizza il gusto con mediocrità buonista, appiccicaticcia, dove l’ignoranza sembra debba valere quanto la conoscenza. Ne Le piccole virtù sono tratteggiati gli anni della lotta fascista, della morte sul campo dei combattenti come il marito Leone e sul letto dell’Hotel Roma degli intellettuali come Pavese, descritto il duro mestiere di scrivere padrone dell’eterno allievo-scrittore, ricordata la povertà più o meno scelta, l’amicizia e la vecchiaia ispirante misericordia; la capacità, infine, di ferire per guarire, di fermare per riflettere, invece di compiacere e passare indolori, vuoti, venduti.