The Square di Ruben Östlund
satira, intellettualismo e provocazione
Nel 2008 è stata creata per la prima volta in Svezia un’area residenziale privata e chiusa all’esterno, a cui solo i proprietari possono accedere. È solo uno dei molti segni del fatto che le società europee stanno diventando sempre più individualistiche, via via che il debito pubblico cresce, la spesa sociale diminuisce e le differenze tra ricchi e poveri si allargano sempre di più. Anche in Svezia, un tempo considerata la società più egualitaria al mondo, la crescente disoccupazione e la paura del futuro hanno spinto le persone a diffidare degli altri e della società stessa.
Sono queste le parole con cui Ruben Östlund spiega le origini e i motivi per cui ha deciso di realizzare il film The Square (2017). Il lungometraggio, vincitore della Palma d’Oro al 70esimo Festival di Cannes, parte da un’installazione artistica ideata proprio dal regista e da Kalle Boman – produttore e professore di cinema all’Università di Göteborg – riguardo il tema della fiducia all’interno della società e del bisogno di riconsiderare alcuni valori contemporanei. Il titolo del film, infatti, è preso proprio da questo progetto realizzato nell’autunno del 2014, al Vandalorum Museum di Värnamo, città nel sud della Svezia.
L’installazione è successivamente diventata permanente al centro della piazza della città: chi si trova al centro del quadrato illuminato a led, ha il dovere di agire se qualcun altro ha bisogno di aiuto. La mostra allestita a Värnamo, ripresa anche nel film, ruota intorno all’idea che l’armonia sociale dipenda soprattutto dalle semplici scelte che ognuno di noi compie quotidianamente. Le radici dell’idea artistica sono fondamentali per comprendere le diverse sfaccettature che compongono le immagini in movimento. L’analisi intorno la società contemporanea, all’incoerenza morale e alle persone che popolano solitamente una parte del mondo dell’arte, definiscono quel comportamento comunemente denominato come aristocratico, borghese o anche radical chic. La sequenza della conferenza stampa, della performance dell’uomo scimmia, della presentazione della mostra – dove le persone sono più interessate al buffet che a cosa le circonda – oppure delle feste notturne all’interno del museo, formano un cerchio, o meglio un quadrato, all’interno del quale lo spettatore può immergersi e trovare tutte le situazioni maggiormente ironiche e provocatorie elaborate dal regista.
Il protagonista del film è Christian (Claes Bang), curatore di un importante museo di arte contemporanea di Stoccolma, nonché padre amorevole di due bambine. Nel museo c’è un grande fermento per il debutto di un’installazione chiamata “The Square”, che invita all’altruismo e alla condivisione, ma quando gli viene rubato il cellulare per strada, Christian reagisce in modo scomposto, innescando una serie di eventi che precipitano la sua vita rispettabile nel caos più completo.
Christian è un personaggio con diversi aspetti contraddittori, è allo stesso tempo idealista per cosa dice e cinico nelle azioni che compie; è un uomo di potere ma anche fragile e ingenuo. Svolge un ruolo di relativa importanza nel campo culturale ed è sensibile alle domande sociali ed esistenziali che emergono dall’installazione The Square. Inoltre, è fermamente convinto che tale installazione sia un’idea eccezionale e spera che l’arte possa cambiare il modo di pensare delle persone. Senza dimenticare che incarna lo stereotipo del “camaleonte” sociale per eccellenza, interpretando perfettamente il suo ruolo nelle istituzioni, svincolandosi tra le richieste delle pubblicità, degli spettatori e dei performers. Il protagonista, durante l’arco narrativo, riflette interiormente sulla necessità di prendersi delle responsabilità, provare a fidarsi del prossimo e vivere le situazioni in modo impeccabile e morale. Ma quando è la vita a porgli delle domande i suoi comportamenti entrano in disaccordo con i principi per qui si batte, palesando, ancor di più, la sua antinomia interiore allo spettatore. Con la sua indole satirica e provocatoria, The Square, riesce a far emergere le tendenze peggiori della nostra epoca, analizzando in profondità la maniera in cui i media si allontanano dalle proprie responsabilità aumentando le problematiche di cui trattano. Nel film, i due professionisti assunti per promuovere – attraverso una piattaforma video – il museo, dicono che il significato intrinseco all’installazione sia “politicamente corretto” e che quindi la presa sul pubblico risulti troppo lieve. Per loro infatti, si dovrebbe amplificare la cassa di risonanza giornalistica trovando un lato controverso e conflittuale dell’opera.
Ruben Östlund affronta le tematiche sociali contemporanee per mezzo dell’ironia, usando la satira e la comicità amara. La clip ingannevole, creata per pubblicizzare l’installazione, esemplifica il ruolo dei media nello stesso modo in cui lo spettatore guarda la realtà e la fraintende, distorcendola. La macchina cinematografica prova a fornire uno straordinario strumento per accedere alle questioni sociali, stimolando la riflessione critica verso tematiche e situazioni che vengono date quotidianamente per scontate.