“Lucania – Terra Sangue e Magia” (2019) di Gigi Roccati
scoperta di tradizioni, radici e spiritualità
La storia di un uomo antico che difende la propria terra e le proprie origini dal moderno e inquinato cambiamento insieme a sua figlia, muta dalla morte della madre, che sta diventando donna. Lucania – Terra Sangue e Magia (2019) di Gigi Roccati è un viaggio di formazione, tra le montagne della Lucania, alla scoperta delle radici e delle tradizioni di una terra magica che sopravvive lontana dalla civiltà moderna. La terra è l’inconfutabile protagonista della narrazione, in cui le radici – ben sottolineate graficamente nei titoli di testa – trovano spazio letterale, estetico e metaforico per rappresentare, ovviamente, il paesaggio ma soprattutto il forte legame dei protagonisti con la natura che li circonda e quindi le loro profonde origini. Artisticamente, il regista sottolinea tali aspetti con l’uso del dialetto (sottotitolato in italiano) e delle musiche popolari che amplificano e rafforzano nello spettatore l’immedesimazione e la complessa tradizione Lucana. Rocco (Giovanni Capalbo) è un contadino che deve prendersi cura della figlia Lucia (Angela Fontana) – ancora psicologicamente scossa dalla morte della madre – e rifiuta di far inquinare la propria terra dalla malavita, ritrovandosi così costretto a scappare dalla sua dimora.
Già dalle prime scene del lungometraggio lo spettatore comprende che Rocco ha un rapporto fisico e lavorativo con la propria terra. Un uomo che possiede un’anima antica, orgogliosa, pura e ancorata fortemente alle proprie origini; che non riesce a staccarsi dal pensiero che la sua terra, a causa della criminalità, stia cambiando, morendo. Un eroe d’altri tempi che lotta per difendere le proprie radici contro l’attuale e spietata modernità del luogo, basata sull’inquinamento e sulla corruzione. Lucia è una sorta di Ninfa, un fiore che sta sbocciando, un personaggio indifeso, magico e misterioso che attraverso le visioni di sua madre, le danze a piedi nudi e i dialoghi con il vento e la vegetazione illustra la sua visione del mondo. Una figura forte e genuina che cela l’anima delle antiche origini.
Il viaggio con il padre si rivela un percorso di crescita, dove gli incontri e le tappe di questo sentiero le permettono di dimenticare, o meglio perdere, apparentemente le visioni della madre con una presa di coscienza verso la realtà del mondo che la circonda. La protagonista sembra incarnare, come sottolineato più volte nell’arco narrativo, la speranza e la spiritualità di un territorio dimenticato, ricco di sfaccettature, che deve tornare a vivere. La profondità dei personaggi, la luminosità dei paesaggi e le musiche di Antonio Infantino – elemento sonoro fondamentale anche per il forte folclore che le caratterizza – delineano una perfetta panoramica ancestrale del territorio. Una fiaba, una leggenda, una narrazione volutamente slegata e lontana dalla contemporaneità per avvalorare il rapporto tra l’uomo e la terra, tra un padre e sua figlia.
In quest’opera la natura ancora vergine, (in)contaminata e lontana dalla “civiltà” racchiude una spiritualità magica e antica dove i personaggi si muovono seminando i frutti della tradizione che lo spettatore può raccogliere, percepire, con assoluta immediatezza.