“Martin Eden” di Pietro Marcello
il mare della conoscenza e il buio della consapevolezza
Con Martin Eden (2019), Pietro Marcello offre una panoramica sociale, poetica e politica del Novecento attraverso la trasposizione filmica dell’omonimo romanzo di Jack London. Dalla California alla Campania, da San Francisco a Napoli, dalla cultura letteraria americana di Herman Melville a quella italiana di Ignazio Silone e Carlo Levi. Capitalismo, socialismo, lotte di classe, proletariato e borghesia, collettivismo e individualismo sono le diverse facce della stessa medaglia narrativa, che restituiscono un racconto colto e profondo. La pittura impressionista, Baudelaire, il pianoforte e l’amore sono le sottili linee che disegnano, e insinuano, la fame di conoscenza nel protagonista, alla scoperta di nuove forme, così vicine e così lontane, chiamate cultura. Sognatore curioso, arguto, affamato e determinato, Martin Eden (Luca Marinelli), si trasforma, si eleva, grazie alla sua capacità nel raccogliere gli strumenti donati dal destino e saziando il suo appetito di conoscenza con poesie, romanzi e saggi filosofici.
In tutti questi mesi ho riflettuto molto su me stesso e ho sentito come uno spirito creatore che mi divampava dentro che mi incitava a fare di me uno degli orecchi attraverso cui il mondo sente, uno degli occhi attraverso cui il mondo vede. Insomma, voglio fare lo scrittore.
Le parole del protagonista penetranti e ambiziose per la sua amata Elena Orsini (Jessica Cressy) sono frutto del desiderio di emancipazione attraverso pensieri, parole e scrittura. Un lungo viaggio, ricco di ostacoli, illusioni e realtà. Dove, raggiunto l’obiettivo, dopo anni di sacrifici, il decadimento fisico, morale ed ideologico avranno la meglio sull’artista, accompagnandolo verso l’equoreo baratro. Il regista, con il montaggio, alterna le immagini di finzione con quelle reali, d’archivio, attraversando quasi tutto il Novecento arrivando fino agli anni Ottanta. Stilisticamente, le immagini non vanno mai in conflitto, anzi, si alternano armoniosamente legittimandosi l’una con l’altra, aggiungendo sempre più forza e coerenza sia alla narrazione fittizia che a quella costituita dalle immagini reali, di repertorio. Una scelta originale, che rimanda alle sue esperienze precedenti come il documentario La bocca del lupo (2009) e il lungometraggio Bella e perduta (2015). Oltre alle immagini, sono proprio i contrasti tra i protagonisti che si muovono, e danzano, nello spazio a rendere l’opera riflessiva ed elegante. Quello tra Martin e il suo migliore amico Nino, che è contro lo sfruttamento ma non ha l’istruzione adeguata per ribellarsi; quello tra l’aristocratica Elena e l’umile Margherita oppure quello tra il mentore Russ Brissenden e il rozzo cognato Bernardo. Sinuosi contrasti sociali e ideologici che arricchiscono di significati il contesto e lo sfondo, scortando la crescita di un ragazzo che diventa uomo: che si eleva e si riscatta grazie alla cultura ma che, come archetipo, viene inghiottito da essa.
Il film di Pietro Marcello riecheggia come una metafora sull’evoluzione dell’essere umano tramite una narrazione senza tempo, intangibile, che riesce a ritrarre in immagini filmiche la poetica romanzesca di Jack London, alimentando sempre più una viva e ambiziosa speranza per il cinema italiano.