La gemella H di Giorgio Falco
Il pericolo di dimenticare la realtà
La gemella H di Giorgio Falco (Einaudi, 2014) si inserisce nel solco dei consensi che l’autore ha variamente raccolto nella propria carriera: finalista al Premio Campiello, ha inoltre conquistato numerosi altri riconoscimenti (Premio Lo Straniero, Premio Sila ’49, Premio Alassio Centolibri – Un autore per l’Europa, finalista al Premio Comisso e al Premio Cortina D’Ampezzo). Il romanzo è stato pressoché riconosciuto come un capolavoro degli anni Zero, tanto che persino Giulio Ferroni, il quale vent’anni fa aveva teorizzato oltre il post-moderno la fine, lo ha accolto come una speranza. Falco appartiene alla più giovane generazione di autori italiani, tra i quali Nicola Lagioia, Mauro Covacich, Antonio Pascale, cioè quella leva di scrittori che, varcata ormai la soglia del Novecento, si è imposta al di fuori dei limiti della letteratura postmoderna.
Potremmo parlare infatti di ipermodernità1. E potremmo inoltre rintracciare una formula costante nella loro produzione letteraria, ovvero il recupero della realtà, avvertita come esigenza primaria, polo attrattivo della scrittura. La tensione che anima il romanzo di Giorgio Falco sottintende sempre un significato più riposto, lasciando intendere che negli spazi vuoti tra le singole affermazioni possa essere intravisto, e così svelato, un senso più profondo. La scrittura di Falco infatti esce fuori da un’estetizzazione assoluta, per quanto singolarmente ogni frase sia un gioiello, e si carica di un’eticità invece da rintracciare, da ribadire.
Negli anni in cui la riproduzione della realtà è così esausta da spingerci a non credere più nella realtà, quasi fossimo anestetizzati, La gemella H ci fa capire che “la quotidianità prende il sopravvento come una forma ottusa di rimozione, di difesa, e suggerisce la vita”2. Il romanzo è la storia, la vita appunto suggerita e accolta dallo scrittore, di tre generazioni della famiglia Hinner, che dalla Germania hitleriana arriva all’Italia attuale. In prima persona spesso parla Hilde, una delle gemelle, la quale è la testimone più forte della sua esistenza, ribelle ma inerte al mondo immobile degli oggetti, alla prospettiva chiusa che ha voluto per lei la famiglia. La sua voce dall’intimità singolare si intreccia alla Storia del Novecento, ripercorrendo appunto gli eventi che hanno determinato la realtà in senso storico e sociale: i primi grandi magazzini, il turismo di massa sulla riviera adriatica, l’ossessione del corpo, la chirurgia estetica. Tutti gli eventi che sono mascheramento, riproduzione asettica della realtà.
Leo Longanesi diceva “Il fascismo ero lo spirito, Upim era il corpo”. Partendo dalla sua affermazione, che non a caso è all’incipit del romanzo, abbiamo una chiave di lettura del libro di Falco, che vuole certamente evitare l’estetica dell’oggetto, ma non può che constatarne l’assoluta priorità. Oggi è semplice osservare che prima ancora di vivere la vita, vogliamo pubblicamente affermare la nostra esistenza attraverso gli oggetti. Giorgio Falco ha il merito di evitare una spietata e ingiusta critica generazionale: la gente era così ancor prima che potessimo parlare della nostra vita nello spazio angusto dei 140 caratteri di Twitter o che pubblicassimo le foto ritoccate su altri social network dai nostri splendidi smartphone. Criticare sarebbe eludere la realtà.
La gemella H palesa che siamo stati sempre indifferenti alla vita ed è per questo che accadde il fascismo, per esempio, allorquando l’esaltazione di un ideale (non a caso attraverso la ridondante ripetizione simbolica, propria di ogni totalitarismo) era omologazione e annullamento. Già Pasolini aveva spiegato che il peggiore fascismo era quello di ogni omologazione, puntualizzando il ruolo della televisione che ha il potere di ribadire la realtà, di rappresentarla fino a dimenticare la realtà e offrirci una pallida apparenza di quella. La famiglia Hinner, ossessionata dai beni, è decisa a dimenticare il proprio passato e lascia che la propria vita venga fagocitata dai beni, asseconda “il flusso di eventi travestito da soldi”. Ancora Hilde, l’animo artistico della famiglia, che preferisce inventare i propri ricordi, nota quanto fingere sia impossibile; si finisce con il sovrapporre gli eventi agli oggetti e poi, distrattamente, dimenticarli.
Accadono fatti irreversibili nelle vite che ciascuno di noi racconta a se stesso, eppure portiamo il nostro passato come se fosse qualcun altro, un familiare che si veste da donna, il rossetto sulle labbra, appena sotto i baffi, il sabato di carnevale; il passato è uno che conosciamo di vista […] Nei rari momenti di lucidità, aggiorniamo le lancette, invecchiamo in costume da bagno; guardiamo telegiornali, ci sembra di sentire sempre la stessa notizia: l’esercito fedele, gli scontri con i ribelli, il golpe militare per difendere il dittatore ormai incapace, la fuga all’estero, il nuovo dittatore, massacri tra la popolazione, stato di quiete, la ripresa degli affari con aziende internazionali, la visita apostolica del Papa, la crisi italiana