Gerald Murnane, “Le pianure”
E cosa c’era di più importante della ricerca di un paesaggio? Cosa distingueva un uomo dagli altri, dopotutto, se non il paesaggio in cui alla fine aveva trovato se stesso?
Murnane, autore nato a Melbourne che non ha mai lasciato il suo Paese in tutta la vita, ci accompagna in un viaggio disincantato, ma al contempo quasi surreale, nella sua Australia. Non quella della comune visione occidentale, ma del suo cuore più interno, intimo, in un’Australia sconosciuta, mitica e ancestrale. È attraverso questi paesaggi, “le pianure”, che il protagonista, un cineasta alle prese con una nuova sceneggiatura, si muove alla ricerca di un significato profondo e nascosto. Ma le pianure non rivelano facilmente i loro segreti, e neppure i loro abitanti che «[…] sono consapevoli di un Tempo la cui vera configurazione solo loro possono percepire».
Grazie allo stile sublime e poetico di Murnane, il racconto ci avvolge con quella stessa luce che caratterizza le pianure. Una luce abbagliante, che cela l’orizzonte alla vista, lasciando trapelare solo un vago sentimento di infinito ed eterno. E infatti fin da subito il protagonista narra di questa spinta a una ricerca che da materiale (come trovare un’unica parte delle pianure che le racconti tutte, nella loro vastità e diversità, per fissarla in un film) si fa sempre più intangibile, ricerca di un senso nascosto da cogliere. E nei suoi incontri con gli uomini e le donne delle pianure saranno sguardi fuggenti, silenzi condivisi e parole sfumate a dare al protagonista qualche illusione, istantanea, di essersi avvicinato a quel segreto. Del resto gli abitanti stessi, figure vagamente tratteggiate che di rado esprimono pensieri e opinioni (ma quando accade ogni loro parola si carica di significato e lascia spazio al dubbio, all’interpretazione dell’ascoltatore), sono consci del mistero intangibile che li circonda:
[…] perfino gli abitanti delle pianure (che dovevano avere imparato a non temere un orizzonte sconfinato) cercavano punti di riferimento e cartelli indicatori nel terreno inquietante dello spirito.
Descrivere i suoi paesaggi, come lei li vede? Esplorarli? A stento potrei raccontare, con le parole, come ho conosciuto le pianure […].
Il protagonista cerca per tutto il romanzo, prima con l’idea di farne un film, poi semplicemente cercando un’ efficace forma d’espressione, qualunque essa sia, di riuscire a descrivere ciò che vede, ma soprattutto ciò che percepisce e vorrebbe comprendere. E non racconta solo dei propri tentativi, ma anche di quelli dei vari intellettuali che, come lui, cercano un tratto definito in quelle pianure da poter cogliere e narrare. E ammette pure che ogni tentativo fallisce.
Murnane fa pronunciare a uno dei personaggi (non delineati ma presenti sullo sfondo del romanzo) una poesia (Un parasole a mezzogiorno, un capolavoro dimenticato; «una delle più grandi poesie romantiche mai uscite dalle pianure») capace di riassumere totalmente questa ricerca:
Dal sole fasullo dell’arte peggiore/ Veniva da sempre colmato di sdegno. / D’un altro paese il segreto bagliore, / Non un’antica pianura, né un sogno, / Sapeva però attrarre il suo cuore, / E a un altro cielo, di fragile seta compagno, / Lo sguardo puntava, fremente d’ardore.
Lo stesso sguardo fremente d’ardore che resta al protagonista per tutto il tempo passato nelle pianure, diviso tra la coscienza dei propri umani limiti e la sete di infinito da cui non si riesce a liberare. Le pianure è anche la storia di una comunità che continuamente si interroga su sé stessa, sulle proprie origini ma soprattutto sul proprio futuro, su una traccia di sé da lasciare che possa narrare tutti i sentimenti interni di questo «panorama da sogno», e a questo scopo si adopera meticolosamente: i grandi latifondisti assumono intellettuali e studiosi per scavare nel proprio passato. Non si tratta tuttavia di un passato collettivo, condiviso, ma della storia più intima della propria famiglia, come a voler sottolineare la peculiarità di ciascun abitante delle pianure: questo paesaggio inspiegabile, sempre sfuggente, fa sì che il suo popolo si senta sempre isolato nel proprio mondo, nella propria porzione di pianura, che non ritiene poter essere uguale a nessun’altra.
Il vero paesaggio è il risultato di un divenire, qualche cosa di organico e vivente. Ci è più familiare che estraneo, ma più distante che vicino, manifesta più nostalgia che presenza; ci eleva al di sopra del quotidiano e confina con la poesia.
Queste parole del geografo Gerhardt Hard* sembrano parlare di un paesaggio che molto si avvicina all’ambientazione (o meglio al vero protagonista) del romanzo di Murnane. Le pianure sembrano infatti animarsi, agire attivamente sulla realtà, condizionarla inevitabilmente: sembrano esse stesse abitare all’interno del proprio popolo, nel loro spirito, al punto che
[…] la gente, qui, concepisce la vita come un altro genere di pianura.
E con questo il protagonista non si riferisce solo alla piattezza, alla monotonia del paesaggio pianeggiante, ma piuttosto ad un qualcosa che rimane sempre inafferrabile, inspiegabile, quasi angosciante. Il Tempo, la Vita e le Pianure sono per questi «abitanti-pensatori» concetti che si eguagliano nella loro incertezza e fugacità, eppure noi lettori fino all’ultima pagina avvertiamo che essi portano un segreto, una risposta ai mille interrogativi sollevati da questo paesaggio al limite del reale.
*Gerhardt Hard, Die “Landschaft” der Sprache und die “Landschaft” der Geographen. Semantische und forschunglogische Studien, Bonn, Ferd-Dümmlers Verlag, 1970.