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pubblicato 4 anni fa in Recensioni

“Brevemente risplendiamo sulla terra” di Ocean Vuong

la bellezza della fragilità nella violenza del mondo

“Brevemente risplendiamo sulla terra” di Ocean Vuong

A marzo 2020, La Nave di Teseo ha pubblicato Brevemente risplendiamo sulla terra (On Earth We’re Briefly Gorgeous, 2019), romanzo d’esordio – tradotto da Claudia Durastanti ­­­– del poeta vietnamita naturalizzato statunitense Ocean Vuong, già autore della raccolta Cielo notturno con fori d’uscita (2017).

Libro che oscilla fra una forma che ricorda l’autofiction, il romanzo epistolario e il memoir, Brevemente risplendiamo sulla terra consiste in una lunga lettera del protagonista, il ventottenne Little Dog scritta alla madre Rose/Hong, arrivata in America – ad Hartford, nel Massachussets – dal Vietnam quando il figlio aveva due anni.

In quanto scrittore, Little Dog deve fare da ponte fra due mondi – quello americano del presente e quello vietnamita del passato – per parlare alla madre del loro legame, della scoperta della propria omosessualità, delle droghe e del razzismo, della brevità e fragilità dell’esperienza umana, senza però perdere la voglia di cercare la bellezza nonostante la violenza del mondo. Oscillando fra queste realtà, Little Dog dischiude agli altri il dolore di sua madre e di sua nonna Lan, dando universalità alla loro sofferenza.

Il titolo del libro si riferisce a questa riflessione di Little Dog:

E così penso di nuovo alla bellezza, a come alcune cose diventano prede perché le abbiamo condannate a essere belle. Se in confronto alla storia del nostro pianeta la vita di una singola persona è brevissima, è solo un battito di ciglia, come si dice spesso, allora essere bellissimi, risplendere magari dal primo giorno della propria vita a quello in cui si morirà, significa risplendere solo per un attimo. […] Per essere bellissimi e risplendere su questa terra, prima qualcuno deve vederci, ma essere visti significa essere prede.

La parola chiave in questo passo è “preda”, a cui fa riferimento a livello peritestuale la copertina dell’edizione italiana raffigurante un cerbiatto sulla strada. Allo stesso modo degli animali, a cui il narratore dedica le riflessioni più profonde del romanzo, anche gli esseri umani come Little Dog e sua madre sono belli nel momento in cui sono prede, ovvero nel momento in cui esistono e sono vittime della violenza, anche nelle sue manifestazioni quotidiane.

Come le prede, però, per il protagonista e sua madre è fondamentale il tempo presente, il qui e ora, quando riescono a sopravvivere al male che minaccia gli attimi di felicità e bellezza, risplendendo, dunque, sulla terra. «La verità è che possiamo sopravvivere alle nostre vite ma non alla nostra pelle», scrive Little Dog alla madre: la violenza e il dolore lasciano segni sul corpo, l’emarginazione dell’io narrante, vietnamita e omossessuale, suscita sofferenza, ma nel momento in cui sopravvive raggiunge la bellezza.

La madre non parla bene l’inglese. Questa sua incapacità permette all’io narrante di dare libero sfogo alle sue emozioni e di inventare un linguaggio per esprimere ciò che non riesce a dire. L’idea di comunicare attraverso le lettere con una persona presente e insieme distante è ripresa da Caro Michele di Natalia Ginzburg e Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci, che Vuong in varie interviste ha dichiarato di aver letto durante la stesura del romanzo, iniziata in Italia alla Civitella Ranieri Foundation, residenza per artisti internazionali di Umbertide, in provincia di Perugia.

Le due scrittrici ispirano l’autore a creare una storia in cui il protagonista cerca di viaggiare fra il passato e il presente, l’America e il Vietnam, la presenza e l’assenza, il mondo naturale e quello umano, attraverso una prosa poetica che universalizza l’esperienza di Little Dog. La poesia e l’invenzione del linguaggio permettono al protagonista di colmare la distanza con la madre. Per avvicinarsi alla donna e rendere la sua esperienza visibile agli altri, l’io narrante lavora sulla lingua, innestando l’inglese sul vietnamita:

Quella notte mi sono ripromesso che non sarei mai stato di nuovo senza parole quando avresti avuto bisogno che parlassi per te. Ecco com’è iniziata la mia carriera da interprete ufficiale di famiglia. Da quel momento in poi, avrei riempito i nostri vuoti, i nostri silenzi, i balbettii, tutte le volte che avrei potuto. Facevo avanti e indietro tra codici, ero un interruttore. Mi sono spogliato della nostra lingua e ho indossato il mio inglese come una maschera in modo che gli altri potessero vedere il mio viso, e così anche il tuo.

La nuova lingua di Little Dog non è altro che il frutto dell’unione tra il vietnamita stentato, appreso dalla madre, e l’inglese della scuola e della vita di tutti i giorni, due realtà (non solo linguistiche) che tra loro fanno fatica a comunicare. Contemporaneamente, questa nuova lingua rende visibili le “prede” già menzionate, prede che grazie alla parola sopravvivono e risplendono dopo il naufragio, ovvero quando il protagonista approda in un nuovo mondo, inizia un’altra vita dopo il dolore del passato.

Per comunicare con la madre e creare, dunque, un nuovo codice linguistico, Little Dog arriva a “massacrare” il linguaggio, come scrive ricordando la stesura della sua prima silloge poetica. Questo vuol dire stravolgere il significato delle parole. Nel farlo, spesso il narratore parte dal significato originario, come avviene per la parola “mostro”:

Dalla radice latina monstrum, indicava il messaggero divino di una catastrofe, prima di essere adattato al francese antico per rappresentare un animale con una miriade di origini diverse: centauro, grifone, satiro. Essere un mostro significa essere un segnale ibrido, un faro: un riparo e un sistema di allarme allo stesso tempo. Ho letto da qualche parte che i genitori affetti da sindrome da stress post-traumatico hanno una maggiore propensione a picchiare i propri figli. Forse c’è un’origine mostruosa dietro questa tendenza, dopo tutto. Forse mettere le mani su tuo figlio significa prepararlo per la guerra.

“Mostro” viene utilizzato per sottolineare il loro ruolo di testimoni di un mondo fatto di sofferenza e dolore. Little Dog dice di aver messo sua madre nell’«invenzione più solitaria di dio» – la scrittura – poiché Rose, incapace di raccontarsi, può farlo solo attraverso la penna del figlio.

Trasmettere il messaggio comporta, inoltre, l’inserimento di gesti all’interno del nuovo linguaggio: per assumere potenza espressiva, le parole hanno bisogno di gestualità corporea:

Due lingue si cancellano a vicenda, scriveva Barthes, invitandone una terza. A volte le nostre parole scarseggiano, o semplicemente si lasciano scomparire. In tal caso la mano, anche se limitata dalla pelle e dalla cartilagine, può diventare la terza lingua, quella che si anima mentre la lingua inciampa.

Nella creazione di una lingua, è importante anche la questione dei nomi dei tre personaggi principali del romanzo, Little Dog, sua madre Rose e sua nonna Lan, poiché dietro ogni nome c’è un destino che l’io deve interpretare e di cui deve rendere partecipi gli altri.

Lan, ad esempio, vuol dire “orchidea”, «il nome di un fiore che si apre come qualcosa che è stato appena squarciato». Come racconta Little Dog, la donna si è nominata così dopo esser scappata da un matrimonio combinato e da una gioventù vissuta in miseria. Il fatto di chiamarsi “orchidea” indica la possibilità di una rinascita dopo la violenza.

L’altro nome legato al mondo delle piante è quello della madre di Little Dog. Il nome vietnamita Hong in inglese diventa Rose, “rosa”. “Rose”, però, è anche il passato del verbo inglese “to rise”, ovvero “alzarsi”. Come afferma il narratore, «sei Rose, Ma’. Ti sei innalzata», poiché nonostante la sua fragilità dovuta allo stress post-traumatico e al suo essere madre single, la donna è riuscita a innalzarsi a una nuova vita.

Infine, il nome Little Dog è quello più significativo, perché unisce il Vietnam e l’America:

Come tu sai bene, nel villaggio in cui è cresciuta Lan, un ragazzino – spesso il più piccolo o debole del gregge, proprio come ero io – viene identificato e denominato con gli epiteti più spregevoli […]; cagnolino è un appellativo appena più tenero di questi. Se gli spiriti maligni che vagano sulla terra alla ricerca di bambini sani e bellissimi sentivano il nome di qualcosa di brutto e spaventoso che veniva richiamato a cena, sorvolavano la casa in cui abitava, risparmiano il bambino.

Scritto in inglese, Little Dog cela un’usanza propiziatoria vietnamita per proteggere i bambini o le persone fragili dagli spiriti maligni. Il fatto che l’io narrante sia nato per sopravvivere, come gli ricorderà la madre, rende bene l’idea di questo nome, poiché è investito ancora di più del ruolo di messaggero che deve narrare di come sia possibile sopravvivere nonostante la fragilità.

Dietro questa costruzione del nome Little Dog si nasconde anche quella dell’autore, il cui nome vietnamita è Quốc Vinh, chiamato Ocean dalla madre una volta giunti in America, perché l’oceano con la sua vastità unisce il Vietnam e l’America. Il passato vietnamita, fragile e doloroso, deve essere innestato nel presente americano per poter continuare a vivere.

Little Dog fa uso anche di immagini provenienti dal mondo animale per affrontare un presente di vuoto e sofferenza di un’esistenza precaria. La prima immagine è quella del macaco, che nasconde in sé una riflessione interessante a livello del linguaggio:

I macachi sono capaci di dubitare di loro stessi e di introspezione, tratti un tempo considerati una prerogativa degli esseri umani. Alcune specie hanno manifestato dei comportamenti che rivelano la facoltà di giudizio, il possesso della creatività e persino del linguaggio. Alcune specie di macachi sono risoluzione di un problema corrente. In altre parole, i macachi sanno usare la memoria per sopravvivere.

L’immagine del macaco dà l’idea del compito di Little Dog, ovvero quello di usare la forza della poesia e i ricordi del passato della sua famiglia in Vietnam per ricreare il linguaggio e comunicare ciò che sua madre e sua nonna non saprebbero comunicare a causa della scarsa conoscenza dell’inglese.

Questo collegamento tra Little Dog e la sua famiglia si manifesta anche nell’immagine delle farfalle monarca. «Le farfalle monarca», afferma il protagonista, «sopravvissute alla migrazione hanno trasmesso questo messaggio alla prole. Il ricordo dei membri scomparsi della famiglia dopo il primo inverno è intessuto nei loro geni». Sono esseri fragili che lasciano la loro eredità di dolore alla prole, che continuerà in eterno a viaggiare e a tramandare questo messaggio di sopravvivenza nonostante l’incombenza della morte.

La vulnerabilità dell’essere umano e la sua impotenza nei confronti della fugacità della vita è rimarcata dalla metafora del vitello, usata per parlare di Trevor, primo amore giovanile di Little Dog, e dei bufali che si dirigono verso il precipizio senza mai fermarsi, che sottolineano come nonostante cerchiamo di nascondere i nostri limiti e le nostre debolezze siamo chiamati sempre a confrontarci con la morte.

Un’ultima immagine interessante è quella degli uccelli, che Little Dog ricorda durante una passeggiata con la madre. Gli uccelli sono simbolo di libertà e di speranza di un mondo migliore e della bellezza. È proprio quest’ultima visione che fa esprimere al protagonista questa osservazione:

Sì, c’era una guerra. Sì, noi eravamo partiti dal suo epicentro. In quella guerra, una donna si era regalata un nuovo nome, Lan, e in quel nome si era fatta una creatura bellissima, poi avevo trasformato quella bellezza in qualcosa che valeva la pena trattenere. Da quella bellezza era nata una figlia, e da quella figlia, un bambino. Per anni non ho fatto che dire a me stesso che siamo nati dalla guerra, ma mi sono sbagliato, Ma’. Siamo nati dalla bellezza. Non permettere a nessuno di confonderci con i frutti della violenza. Piuttosto quella violenza, essendosi trasmessa ai frutti, non è riuscita mai a rovinarli.

Come gli uccelli in volo, anche Little Dog e la sua famiglia sono scappati in cerca di una vita migliore, e come gli uccelli anche loro sono portatori di bellezza. Il motivo per cui il protagonista dice di non essere nato dalla violenza è perché da quest’ultima e dalla fragilità che ne consegue lui e la sua famiglia sono riusciti a trarre la bellezza dell’attimo, del qui e ora, e quando si riesce a vivere il tempo presente accettando le debolezze dell’animo umano allora sì che si riesce a cogliere la bellezza della vita, a superare il dolore del passato.

Brevemente risplendiamo sulla terra è un romanzo intriso di poesia, che accoglie il nostro dolore, comunica ciò che per noi è incomunicabile e ci permette di instaurare un rapporto universale con gli altri. Ocean Vuong ha scritto un intenso romanzo d’esordio che sa trasformare la violenza e la sofferenza in bellezza, perché come le farfalle monarca anche noi nell’attimo del tempo presente e nella consapevolezza della fugacità della vita risplendiamo di bellezza – la bellezza della fragilità e della sopravvivenza.

di Alberto Paolo Palumbo