“A Roma con Alberto Sordi”
Il 15 giugno 1920 nasceva a Roma Alberto Sordi. Un simbolo di Roma, della romanità e anche dell’Italia intera. Il favoloso Fernando Rivoli de Lo sceicco bianco (1952, Federico Fellini), il Nando Moriconi di Un americano a Roma (1954, Steno) e la sua inconfondibile parlantina, il tragico Oreste Jacovacci de La grande guerra (1959, Mario Monicelli) o lo scellerato Giovanni Alberti di Il boom (1963, Vittorio De Sica). Ma anche regista di film come Fumo di Londra (1966) o Polvere di stelle (1973). Una carriera ricca di interpretazioni, amicizie, luoghi, aneddoti che Nicola Manuppelli ci racconta minuziosamente nel libro A Roma con Alberto Sordi. Da Trastevere a Kansas City (Giulio Perrone Editore, 2020).
Con le maschere dei suoi personaggi Alberto Sordi è entrato nell’immaginario comune degli italiani. La voce profonda, la risata contagiosa, le battute in dialetto e le movenze eloquenti sono tra le sue caratteristiche inconfondibili, plasmate in base al personaggio e soprattutto al film.
Manuppelli per raccontare la carriera cinematografica, e il percorso di vita dell’attore romano, per amplificare gli aneddoti sfrutta i luoghi della città: una via, una piazza, un bar o una fontana vengono collegati alle riprese di una pellicola, all’incontro con un collega o all’infanzia. Un modo per entrare nelle singole vicende e nelle testimonianze lasciate dall’attore e da chi lo circondava, per palesare il rapporto viscerale tra Roma e uno degli immensi simboli cinematografici della città.
Rientro dal Circo Massimo in una bella giornata di giugno e percorro il Lungotevere fino a incrociare via Arenula; da lì attraverso ponte Garibaldi, entro in Trastevere, dove a pochi metri da piazza S. Maria in Trastevere, trovo sia San Cosimato 13, dove c’è un cartello che dice che qui di fronte, al numero 7, in una palazzina che oggi non c’è più, il 15 giugno 1920 nasceva Alberto Sordi.
L’adolescenza, la partenza per Milano, la gavetta e quell’irrefrenabile voglia di non mollare mai. Sordi è stato questo, un attore che è caduto tante volte e che si è rialzato altrettante. Ha dovuto percorrere un lungo viaggio partito dai piccoli palcoscenici teatrali e dagli studi radiofonici, fino ad arrivare al cinema come generico, doppiatore e poi con alcune parti più rilevanti, che gli hanno dato la possibilità di affermarsi da protagonista con I vitelloni (1953) di Federico Fellini.
Quest’ultimo, menzionato spesso nel volume, è stato una figura di estrema importanza per Sordi, soprattutto come amico. I due avevano in comune quell’indole creativa di distorcere i racconti e narrare le vicende sempre con alcune modifiche inaspettate, per rendere le cose più interessanti:
La prima volta che lo vidi, fu in un cinema teatro a Roma. Doveva essere il ’38. Sordi faceva dell’avanspettacolo nella compagnia Riccioli-Primavera. Mi ricordo che in una certa scena, fra le comparse vestite da soldati pagliacceschi, ce n’era uno che strafaceva, lasciava cadere la spada, ma era molto buffo, aveva delle cadenze da clown vero. Dopo, insieme a un amico, andai dietro le quinte […] Stava lì col suo faccione lunare, con lo sguardo frastornato. Mi fermai e gli dissi: sei bravo, mi sei piaciuto molto. Lui mi ringraziò, ridendo con occhi sgranati, da matto (Federico Fellini).
Le pagine (r)accolgono molteplici testimonianze: Furio Scarpelli, Fellini, Steno, Ettore Scola, Mario Monicelli e tanti altri che presentano la figura del Sordi attore e del Sordi uomo. La sua professionalità e la sua dedizione sul set ma anche l’indole comica, come nella vita privata, con gli scherzi telefonici ai colleghi o agli operatori durante le lavorazioni. Questa ricca collezione di testimonianze, così puntuali e coerenti, fanno emergere anche la genialità di Sordi nelle improvvisazioni, che hanno dato vita a vezzi e battute – con la sfumatura di italiano/romanesco – rimaste legate a personaggi indimenticabili:
Il risultato di Sordi è stato quello di spiritualizzare un dialetto quando questo dialetto di spirituale sembra non avere nulla. Il romano è una lingua fatta da pochi vocaboli, eccessivamente succinti, e non echeggia nulla che appartenga a qualcosa che non sia materiale (Furio Scarpelli).
Trastevere, ponte Garibaldi, piazza Navona, Campo de’ Fiori, il Teatro Valle o il Quadraro si trasformano nei luoghi di Sordi, dei film, del Cinema e dei ricordi. Roma è il vero e unico palcoscenico della vita dell’attore: ogni angolo, via o scorcio nasconde un pezzo della sua rocambolesca carriera. E l’autore del volume fa emergere da abile indagatore tutte le preziose sfaccettature di quei luoghi, alternando i ricordi personali a quelli di Sordi o di coloro che hanno avuto qualcosa da raccontare a riguardo:
Il Quadraro, dove si trova Cinecittà, è un luogo importante di Roma. Ci sono stato qualche tempo fa per presentare il mio romanzo sulla città del cinema e mi ha conquistato. Si avverte un fortissimo amore delle persone del quartiere. Posso immaginare che anni fa questo valesse per molte zone di Roma, forse per tutte, ma qui è davvero ancora un villaggio, nonostante non me ne abbia l’aspetto.
Dopo il successo del film I vitelloni, per Sordi iniziò un lungo e prolifico periodo cinematografico in cui interpretò molti personaggi diversi – spesso accomunati dalle stesse caratteristiche etiche e morali – tra i quali spicca per originalità il Nando Moriconi di Un giorno in pretura (1953, Steno) prima e di Un americano a Roma poi. Se pensiamo a Il seduttore (1954, Franco Rosi), L’arte di arrangiarsi (Luigi Zampa, 1954), Un eroe dei nostri tempi (1955), Bravissimo (1955, Luigi Filippo D’Amico) oppure a Mi permette, babbo! (1956, Mario Bonnard) la figura dell’attore romano prende forma nel belloccio furbastro che vive di escamotage per approfittarsi dei più deboli ma che continua a essere sottomesso dai più forti.
Personaggi divertenti, subdoli e mutevoli, arricchiti dai vezzi più disparati. Pellicole dirette da registi diversi dove Sordi dimostra il suo talento e la sua dinamicità, lasciando sempre il segno della sua capacità attoriale.
Ma Alberto Sordi è stato anche, insieme a Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi, uno degli attori simbolo della commedia all’italiana, ovvero quella del boom economico. Con il successo de La grande guerra e de I soliti ignoti (1958, Mario Monicelli) si apre quel ventennio di risate amare e sardonica ironia di registi come Monicelli, Risi, De Sica, Germi, Comencini e Scola – solo per citarne alcuni. Dove “Albertone” è riuscito a indossare alla perfezione le vesti dell’italiano medio del periodo, personaggi in cui lo spettatore poteva immedesimarsi e riconoscere anzitutto il contesto sociale.
Se nei film del decennio precedente Sordi nuotava nel mare della comicità con personaggi che rispecchiavano l’uomo vile e dalla scorciatoia pronta, nel pieno della commedia all’italiana affronta anche interpretazioni drammatiche, in cui gli espedienti non portano al lieto fine. Diventa la raffigurazione cinematografica del maschio medio italiano circondato dai beni di consumo: dall’automobile ai vestiti, dagli elettrodomestici allo sviluppo edilizio e alla televisione.
Uno spaccato della società raccontato in maniera lucida e spietata in Una vita difficile (1961, Dino Risi), Il boom e I complessi (1965, Luigi Filippo D’Amico, Franco Rossi, Dino Risi), dove il camaleontico Sordi interpreta nel primo Silvio Magnozzi, che ripercorre vent’anni di storia italiana dalla resistenza fino al miracolo economico; nel secondo, Giovanni Alberti che per continuare a possedere un tenore di vita troppo alto valuta di vendere un occhio; nel terzo, in uno degli episodi, diventa Guglielmo Bertone, soprannominato “Dentone”, in una parabola sulla raccomandazione tutta italiana.
Inoltre, non si possono non menzionare le carismatiche interpretazioni nella fase successiva della sua carriera, nei film Un borghese piccolo piccolo (1977) e Il Marchese del Grillo (1981), entrambi diretti da Mario Monicelli, in cui ha continuato a dimostrare tutto il suo talento, drammatico e comico, in opere che grazie alle loro scene e battute indelebili oggi sono considerate di culto.
Dopo il successo de I vitelloni avrei potuto montarmi la testa, pretendere un altro capolavoro. Invece, ho riflettuto. Ahò, un’altra volta non mi fregano, mi sono detto. Ci dovessero mai ripensare… Meglio darci sotto. E poi ho preso taccuino e matita e ho cominciato a suddividere ore e giorni, dalle 8 alle 12 da una parte, dalle 14 alle 17 dall’altra, dalle 18 alle 21 da una terza. Anche undici film in due mesi ho girato, senza mai dormire, senza quasi mangiare, 24 ore su 24, saltando da un teatro di posa all’altro, non per perdere proprio niente, neanche una briciola […] (Alberto Sordi).
A Roma con Alberto Sordi. Da Trastevere a Kansas City di Nicola Manuppelli è una mappa, una cartina geografica, che emoziona e permette di orientarsi nella capitale ma soprattutto nella vita di Sordi. Indica le strade che ha percorso uno dei migliori attori che il cinema italiano abbia mai avuto e offre la possibilità di rivivere quei luoghi che l’hanno fatto diventare per molti l’emblema della città. Pagina dopo pagina, il lettore scopre le scelte e i sacrifici che l’attore romano ha fatto durante il percorso di vita, e può tentare di scrutare nel suo animo.