Federica Ceccarelli
pubblicato 3 anni fa in Letteratura

Altri luoghi poetici: cenni alla poesia shi di epoca Tang

Altri luoghi poetici: cenni alla poesia shi di epoca Tang

Tra i fiori, a una brocca di vino

Sono io solo, non un amico con me.

Ma levo il bicchiere, e invito la luna,

poi l’ombra di fronte: noi siamo tre,

luna che bere non sai,

ombra che per natura segui il mio corpo.

Ora questa è la compagnia, la luna e l’ombra che ci dà,

e sono lieto fin ch’è primavera

[…]

(Bevendo da solo sotto la luna, Li Bai, trad. di M. Benedikter)

Gaber diceva che qualcuno era comunista perché vedeva la Russia come una promessa e la Cina come una poesia. Sicuramente subiamo il fascino di una Cina antica, popolata di uomini dai lunghi capelli raccolti in una coda, con paesaggi sospesi tra il bucolico e l’onirico costellati di alberi in fiore, dolci melodie orientali e, come sfondo immaginario, le poesie Tang. Ci figuriamo un intellettuale libero e sensibile, un po’ zen, come ci piace dire (piuttosto a sproposito).

Ecco allora che possiamo, anzi dobbiamo, chiederci se la nostra idea di poesia sia applicabile tout court al contesto cinese, o se sia necessario rivedere i parametri estetici e anche emotivi attraverso cui guardiamo la poesia. Se siete arrivati qui, avrete già capito che l’intento di questo articolo è proprio questo.

Partiamo da una doverosa premessa (o momento Super Quark, chiamatelo come volete): il ruolo della letteratura in Cina è stato, e per certi versi è rimasto, significativamente diverso da quello che ha avuto in Occidente, segnato da un forte rapporto con il potere. Almeno fino all’epoca Song (960-1279 d.C.) quasi tutti gli autori di cui è rimasta traccia scritta erano burocrati, e i testi letterari si rivolgevano all’élite di funzionari che erano in grado di comprenderli. Lo studio, compreso quello letterario, aveva la funzione di perfezionare il comportamento dei letterati e formare così la classe dirigente. Semplificando, alla base di questo percorso c’erano i testi classici, tra cui lo Shijing 诗经: il Libro delle odi, matrice della produzione poetica successiva. Si tratta di una raccolta di poemi composti tra il 1000 e il 600 a.C., di vario argomento e origine, con funzione rituale.

A partire dallo Shijing, la poesia in Cina ha fatto parte della letteratura che veniva studiata e prodotta dai mandarini. Questo ha consentito ai testi di essere tramandati nei secoli, ma ne ha anche codificato il carattere istituzionale, ufficiale. In particolare, la poesia fu, usata per descrivere luoghi, azioni, cose o animali, era un vero e proprio sfoggio di erudizione, retorica e abilità compositiva. Per non affollare il campo con ulteriori nozionismi, facciamo un salto e arriviamo al genere shi 诗, quello che ha poi attraversato i secoli e ha finito per determinare la nostra immagine della poesia cinese.

La poesia shi nacque nel periodo degli Han Orientali (25-220 d.C.). È particolarmente celebre quella prodotta in epoca Tang (618-907). Esistevano varie scuole e correnti poetiche, nelle quali non ci addentriamo per evitare di cadere in tecnicismi; in generale lo shi presenta una struttura metrica piuttosto rigida, con versi pentasillabici o settenari, cesura dopo la seconda o quarta sillaba e rima sui versi pari. La lunghezza non è predeterminata, ma si tratta quasi sempre di componimenti brevi. I temi sono infatti quelli della poesia d’occasione; attraverso il riferimento a situazioni o ambientazioni (jing景), l’autore riesce ad esprimere il proprio stato d’animo (qing 情). Gli argomenti affrontati con maggior frequenza sono quelli politici e amicali.

Accadeva che i poeti-funzionari dovessero spostarsi per svolgere i loro incarichi, o lasciare la capitale per villaggi di provincia in seguito a una retrocessione di grado; per questo molti componimenti raccontano le ultime bevute con un amico all’indomani di una partenza, offrendo lo spunto per riflettere su temi come la malinconia, il dolore della separazione e la caducità della vita. Scrisse ad esempio Wang Wei, fortunato burocrate, nella traduzione di Giuliano Bertuccioli:

A Wei-cheng la pioggia del mattino

bagna la polvere leggera.

La locanda ospitale è in mezzo al verde

colore dei salici novello.

Ti invito, signore, a bere

un altro bicchiere di vino.

Nessun amico tu troverai ad Occidente

fuori del passo di Yang!

Come in questo caso, molte poesie rappresentano esortazioni a godere la vita finché si può e a sopportare i sentimenti dolorosi con l’aiuto del vino, ma anche ad accettare il corso degli eventi e a trascenderlo attraverso la riconciliazione con il Dao. La politica e la dimensione pubblica sono anch’esse argomenti ricorrenti, al centro di allegorie di natura satirica.

Non mancano i componimenti di funzionari che, stanchi della vita pubblica, si ritirano in eremitaggio. È questo il caso di Tao Qian (anche chiamato Tao Yuanming), attivo nel periodo degli Han Occidentali, cantore delle gioie semplici del vino e della campagna.

Si evitavano invece le tematiche legate alla vita privata e sentimentale; il motivo risiede proprio nella natura della poesia come questione burocratica, pubblica per definizione. In particolare, la poesia d’amore, di cui abbonda la tradizione occidentale, non trova un vero e proprio corrispettivo in Cina (sebbene ci siano delle eccezioni). Le figure di donne abbandonate o reiette sono frequenti, da interpretare però come allegorie del funzionario ingiustamente retrocesso o allontanato dalla capitale.

Parliamo brevemente dell’autore più celebre tra i poeti Tang: Li Bai (o Li Po, 701-762), che a dire il vero non fu esattamente un funzionario di successo. Per il potere evocativo e le influenze taoiste, è chiamato “l’immortale poeta”.

Si narra che morì annegato in seguito al tentativo di afferrare il riflesso della luna sull’acqua – inutile dirlo, da ubriaco. È sua una delle poesie più famose di sempre (vi garantisco che non c’è cinese che non la conosca a memoria), Pensiero a notte 静夜思. La propongo nella traduzione di Martin Benedikter, che ha curato l’edizione italiana delle Trecento poesie Tang (antologia del 1763), edita da Einaudi:

Dinanzi al mio giaciglio chiaro lume di luna

sta come brina sopra la terra.

Sollevo il capo, vedo il suo chiarore.

Chino la fronte, penso alla terra natale.

Altri poeti importanti furono, tra i tanti, Du Fu, Meng Haoran, il già citato Wang Wei, Li Shangyin e Bai Juyi, che scrisse due opere di carattere narrativo, altra cosa assai rara: il Canto dell’eterno rimpianto e la Ballata del pipa (uno strumento musicale tradizionale).

Il Canto dell’eterno rimpianto è un celebre poema di 120 versi che racconta la drammatica passione dell’imperatore Xuanzong per la Preziosa Concubina Yang; dopo la rivolta di An Lushan (995), la fuga dei due e la morte di lei, l’imperatore ingaggia uno sciamano per rievocare lo spirito di Yang Guifei. Si tratta di un testo estremamente celebre e che ha ispirato numerose drammatizzazioni e rifacimenti.

In epoca Song lo shi amplificò la propria diffusione, anche grazie all’invenzione della stampa. Le tematiche si fecero più libere, con toni più sereni e spontanei. Evito di rendere questo testo un catalogo di poeti e cito solamente il più celebre poeta Song, Su Shi (o Su Dongpo), originario del Sichuan, che fu un intellettuale poliedrico ed ebbe una vita burocratica piuttosto travagliata.

Questa breve e parziale disamina vuole essere solo una traccia essenziale per approcciarsi alla poesia cinese, in particolare lo shi di epoca Tang, con occhi meno vergini. Non ho assolutamente esaurito quello che vorrei dire in merito, né sono riuscita a illustrare altre forme poetiche altrettanto interessanti (penso, ad esempio, allo yuefu e allo ci). Spero solo di aver dato un’idea del contesto di scrittura e di fruizione della poesia, e che questo possa essere utile per comprenderne meglio forme e temi.

Vorrei chiudere con quello che sembra essere un cliché dei discorsi sulla poetica, se non una forma di irritante altezzosità: la poesia cinese è intraducibile in italiano. Non ne faccio solo una questione di sensibilità poetica; la ragione di questa intraducibilità è prima di tutto tecnica e linguistica. Il cinese classico è infatti una lingua monomorfemica e monosillabica, pensata appositamente per la letteratura e di difficile comprensione anche per chi parla cinese mandarino. I caratteri, le unità di questa lingua straordinaria, rivestono un ruolo importantissimo anche a livello grafico (pensiamo al valore estetico e culturale della calligrafia, emblematica dello stretto legame tra letteratura e arti visive). L’armonia perfetta delle poesie cinesi viene inevitabilmente dissipata dalla scrittura alfabetica.

Vorrei lasciarvi dunque con un testo cinese e la sua traduzione, anche questa di Benedikter; si tratta di una poesia di Du Fu (712-770), anche lui originario del Sichuan, che affrontò continui trasferimenti lungo tutta l’aera del Fiume Azzurro. La fama di Du Fu è seconda solo a quella di Li Bai, e la critica poetica ha sempre sottolineato il valore morale e la perfezione stilistica delle sue opere.

远 送 从 此 别 , 青 山 空 复 情 。

几 时 杯 重 把 , 昨 夜 月 同 行 。

列 郡 讴 歌 惜 , 三 朝 出 入 荣 。

将 村 独 归 处 , 寂 寞 养 残 生 。

Lontano t’ho accompagnato, da qui ti dico addio,

e il verde monte invano il nostro affetto rinnova.

Chi sa mai quando il bicchiere ancora leveremo,

come ieri notte nel lume di luna vagando insieme.

In quante terre i versi ti cantano con rimpianto,

gloria di tre sovrani, dentro e fuori le mura.

Verso il Fiume Azzurro, al villaggio, da solo rifarò la via,

in remoto silenzio trascorrerò il resto della vita.