Anna Édes
di Dezsó Kosztolányi
A nessuno importano le vere ragioni di Anna, così Kosztolányi non le rivela: del resto, mai a nessuno sono importate le ragioni deli ultimi, donne, bambini o poveri, le ragioni dei diversi. Anche per questo, Anna Édes è un grande incontro sulla strada della letteratura. (Antonella Cilento, Il mistero di Anna, postfazione a Dezsó Kosztolányi , Anna Édes, Anfora Edizioni)
Non so in occasione di quale festività [durante i Saturnali] i patrizi si vestivano da schiavi, facevano sdraiare gli schiavi al loro banchetto e servivano loro personalmente il vino al miele e il cappone arrosto. Dicevano di farlo in memoria dell’età dell’oro quando gli uomini erano tutti uguali. Ma quando mai è stato così? Mitologia. Neppure loro se ne ricordavano. Figuriamoci noi. Non abbiamo neppure mani uguali – e sollevò la mano paffuta e morbida che in effetti non somigliava alla mano di nessuno. – Non esiste uguaglianza tra gli uomini. Esiste solo la disuguaglianza fra gli uomini, dottore. Per la miseria – aizzò se stesso come consuetudine dei polemisti appassionati, – ci sono sempre stati padroni e ci sono sempre stati servi. È sempre stato così e sempre così sarà. Punto. Non possiamo cambiare noi quest’ordine delle cose. Che rimangano pure loro servi. (p.102)
Ho già scritto un breve articolo di presentazione su Anna Édes (1926), romanzo capolavoro dell’ungherese Dezsó Kosztolányi, su Altrianimali, il blog di Racconti Edizioni.
Sul Culturificio vorrei tuttavia scrivere ancora su questo romanzo, per molte ragioni, soprattutto perché penso che Anna Édes (in ungherese dolce) potrebbe rappresentare una felice scoperta per tutti i lettori italiani. Anche per questo faccio un grande in bocca al lupo alla casa editrice grazie a cui possiamo conoscere Kosztolányi, Anfora edizioni, a cui vanno i miei complimenti per quello che finora ha stampato e la mia curiosità per quello che stamperà.
Anna, la protagonista del romanzo, vivrà una vera e propria rivoluzione copernicana. Dimenticata dal mondo, disumanizzata in una solitudine radicale, arriverà a reagire attraverso la sua disperazione. Anna esisterà, incomincerà a esistere, solamente alla fine del libro, in un finale ribelle e angosciante. Il romanzo è corredato da una incisiva postfazione di Antonella Cilento e, appena prima, da un divertente capitolo, Conversazioni davanti a una casa con recinto verde, dove in un siparietto metaletterario Kosztolányi, peraltro grande innovatore anche della lingua ungherese, si palesa ironicamente, come fosse un protagonista chiacchierato del romanzo.
Nell’ambito della seconda edizione della Capsula del tempo, presso l’Accademia d’Ungheria, a Roma, il 4 ottobre scorso è stato presentato questo romanzo.
Ho avuto il piacere di assistervi e vorrei soffermarmi su una chiave di lettura inedita per Anna Édes (quella femminista), emersa durante questo fertile incontro attraverso le parole della giornalista Alessandra di Pietro. Va tuttavia specificato che non era nella mente di Kosztolányi una lettura più sensibile a una prospettiva femminile.
Anna Édes d’altronde è un romanzo molto contemporaneo anche da un punto di vista politico: anche se la protagonista di primo acchito sembra una semplice cameriera, sembra incarnare il potenziale eversivo di un intero popolo, quello femminile. Alessandra di Pietro, a ragione, sostiene infatti che quella raccontata da Kosztolányi è una storia dalle forti valenze politico-sociali oltre che umane.
In una società fortemente patriarcale, rappresentata esemplarmente dalla condiscendenza complice della signora Vizy, padrona della serva Anna, bisogna pensare il corpo femminile anche come un luogo di soprusi. L’identità di Anna fatica a strutturarsi serenamente anche per le vessazioni che subisce il suo corpo, eterodiretto anche nelle sue traiettorie quotidiane all’interno della casa dove lavora malvolentieri. Attraverso una metafora spaziale molto efficace, Alessandra di Pietro coglie nel segno quando afferma che “Anna è un territorio da conquistare”, perché non è più trattata come una donna; è un oggetto senz’anima, non una persona. Il signorino Jancsi, un coetaneo imparentato con i padroni di casa, non si accontenterà di governare Anna; si spingerà a manipolarla per possederla in uno stupro sia fisico che sentimentale e, una volta consumato squallidamente il rapporto, non avrà problemi a ignorarla, dimenticandola. Anna, impotente, non ha ancora la possibilità di esistere.
Anna è, per questa e per altre ragioni, una figura molto moderna, a prescindere dalle intenzioni dell’autore: se la fine della sua storia caratterizza ciò che è specifico di questo romanzo e quindi non assurge a paradigma della condizione femminile, il suo ruolo di cameriera subalterna fa pensare a tutto un mondo di ragazze dimenticate dalla storia. Anna sa riscattarsi a modo proprio – è ciò che rende il romanzo un capolavoro – e questo è un discorso. Ora ci interessa però pensare che, involontariamente, Kosztolányi narra uno tra i tanti modi in cui la soggettività femminile, soggiogata –Anna dapprima, quando sopporta tutto, è remissiva, inappetente, sofferente – senza che la donna dia una spiegazione, riesce finalmente a esprimersi.
Alcune analogie, o piuttosto curiose coincidenze, tra questo e altri romanzi, per chi fosse interessato, potrebbero trovarsi in The Help (2009) di Kathryn Stockett, conosciuto soprattutto grazie alla sua trasposizione cinematografica. Più alla lontana, in una prospettiva distopica e corale e non individuale, è interessante un confronto con The Handmaid’s Tale (1985) di Margaret Atwood, a sua volta reso celebre da una serie televisiva.
Esiste una versione cinematografica del romanzo, presentata al Festival di Cannes del 1958, di Zoltán Fábri (1917-94), uno dei migliori registi ungheresi del Novecento.