Claudio Musso
pubblicato 1 settimana fa in Recensioni

“Api grigie” di Andrei Kurkov

nel ronzio ostinato delle api la poesia di chi resiste

“Api grigie” di Andrei Kurkov

Ci troviamo in un mondo sospeso dove la quiete della natura si intreccia al frastuono lontano della guerra, quando la parte filorussa del Donbass recide confini e appartenenze. In questo scenario vive Sergej, ex ispettore di miniere: il suo corpo porta le cicatrici delle profondità del sottosuolo, mentre la sua anima si rinnova in superficie, tra le arnie delle sue api, custodi di un ordine naturale che l’uomo sembra aver smarrito. Il contatto con questi insetti, simboli di laboriosità e resilienza, diventa per lui un modo per ricaricarsi di una particolare elettricità che lo rende capace di osservare il mondo e sé stesso al di là dell’ordinario. Le api non sono più solo un mestiere: sono un legame affettivo e spirituale, una comunità sostitutiva che colma il vuoto lasciato dalle belligeranze e dalla solitudine.

Da questa prospettiva prende corpo il ritmo del romanzo, Api grigie, pubblicato nel 2018 ed edito da Keller nell’armonica traduzione di Rosa Mauro. Sergej si muove in un paesaggio rarefatto dove il silenzio domina le case abbandonate e le arnie vibrano come piccoli cuori pulsanti nel gelo. La guerra, più che vissuta, viene percepita: è un’eco lontana che non riesce a cancellare la voce minuta della vita. In tale sospensione, l’apicoltore segue due tempi: quello meccanico e artificiale dell’orologio, perché il mondo, seppur in avaria, continua, e quello naturale delle api, scandito da un ordine incorruttibile. Tra questi due ritmi cerca la fragile misura della propria sopravvivenza.

Eppure la sua vita non è del tutto solitaria. A pochi passi dalla sua casa abita Paška, il vicino filorusso, il “nemico” d’infanzia con cui condivide silenzi e inquietudini. La loro relazione, fatta di piccoli screzi, rituali di antipatia e di una solidarietà inconsapevole, diventa il filo sottile che lega due mondi in contrasto.

Attraverso di loro Kurkov, uno degli autori ucraini più noti che scrive in lingua russa, mette in scena una convivenza forzata che è anche esperimento di umanità: due uomini divisi da una diversa appartenenza politica, ma uniti dal bisogno di sopravvivere e di non soccombere al vuoto. In un villaggio spopolato la guerra diventa mormorio distante, mentre la vita di tutti i giorni, accendere la stufa, controllare le api, cibarsi di miele, farsi luce con qualche candela nelle lunghe notti senza elettricità, scambiare poche parole, si trasforma in un atto di resistenza.

È qui che il romanzo trova la sua metafora più profonda: le api non sono soltanto oggetto di cura ma simbolo di un ordine più grande, di una saggezza che trascende l’uomo. In esse Sergej scorge un modello di armonia collettiva dove ciascuno conosce il proprio ruolo e lo impersona senza vanità né ambizione. In un mondo attraversato dal conflitto, però, perfino la purezza degli alveari sembra mutare. Alcune api diventano inaspettatamente grigie come se la polvere della guerra posandosi sulle loro ali ne avesse velato la luce. È un’immagine forte che racconta meglio di qualsiasi aforisma quanto l’uomo e la natura siano legati nel destino della stessa ferita.

Nasce così una riflessione più ampia sull’identità e sull’appartenenza. Nel Donbass di Kurkov, il confine tra “noi” e “loro” è instabile, mutevole, privo di un senso assoluto. Sergej non si riconosce in alcuna bandiera, la sua fedeltà è verso la terra, le api, il ritmo delle stagioni. La “zona grigia” in cui vive gli insegna a leggere il pericolo nelle pieghe dell’esistenza, ad adattarsi senza perdere sé stesso e a mantenere la propria umanità in una società che sembra volerla spegnere.

È una resistenza silenziosa tra due fuochi che non sempre assume la forma del coraggio eroico, ma che coincide con la cura quotidiana, con la costanza dei gesti minimi, con la scelta di restare e non cedere all’odio. Quando il miele comincia a sapere di guerra, Sergej porta le sue arnie verso altre parti dell’Ucraina, alla scoperta di nuovi orizzonti. Anche i suoi sogni, contaminati dall’aria di divisione e conflitto, diventano terreno di ricerca di piccole isole di ordine e di vita, luoghi in cui i rumori, gli spari e le sirene non riescono a raggiungerlo e a cancellare il ronzio ostinato della vita.

Lo stile di Kurkov accompagna questo viaggio di andata e ritorno dalla zona grigia con leggerezza e precisione. Le frasi hanno il passo lento del contadino, il respiro del narratore che ascolta il mondo prima di raccontarlo. La guerra, mai spettacolarizzata, resta sullo sfondo come un suono lontano e così la vita di Sergej brilla di una luce più intensa. Ogni dettaglio, il ronzio delle api, il ticchettio dell’orologio, il vento che scorre sui campi, si trasforma in musica, in un canto sommesso che parla di continuità e di pace possibile.

Nel ronzio regolare delle api, nei frutti che vengono loro tolti ma che continuano a produrre, l’autore invita a riscoprire l’essenziale: la misura, la cura, la capacità di costruire anziché distruggere. In un tempo in cui i confini si riaccendono e la paura divide, questo romanzo ricorda che la pace comincia dal quotidiano, dai piccoli atti di attenzione, dalla fedeltà silenziosa alla vita. Le api insegnano che la forza non è nel rumore ma nella continuità e che, anche nei luoghi più grigi e feriti, si può accendere un piccolo miracolo quotidiano.