Lorenzo Paolini
pubblicato 6 anni fa in Cinema e serie tv

Arrival

di Denis Villeneuve

Arrival

Sulle struggenti note di “Swimmer” del compositore Max Richter si apre Arrival, potente e profondo come pochi film riescono ad essere. Tratto dal racconto “Storie della tua vita” incluso nell’omonima antologia di Ted Chiang, il film vede Louise Banks (Amy Adams) , una linguista affermata, selezionata dal governo americano per far parte di un gruppo di specialisti, assieme al fisico teorico Ian Donnelly (Jeremy Renner), per far luce sul perché dodici misteriose astronavi aliene siano atterrate sul globo terrestre senza un motivo logico che ne spieghi la loro collocazione. Così Louise si troverà in una sconfinata prateria verde del Montana, faccia a faccia con un monolito nero sospeso a pochi metri dal suolo, a dialogare e a comunicare non solo con l’interno dell’astronave, ma con tutte e dodici le nazioni dove i misteriosi veicoli sono atterrati.

La forza di Arrival affonda le sue radici nella ragione d’esistere del cinema: potenziare la realtà e renderla alla portata di tutti. I misteri più reconditi, i desideri e le fantasie più irrealizzabili prendono corpo nel cinema, si possono vedere e si intensifica quindi il desiderio di andare oltre con l’immaginazione, con il pensiero, per coglierli. La città di Atlantide, se rappresentata e raccontata cinematograficamente non farebbe che vestire il mito di un’ulteriore velo di desiderio libidinoso nel sapere cos’è stata e se mai è esistita. Ma senza divagare, Arrival è il mistero di una realtà aliena rappresentata e resa possibile dalla mano di Villeneuve che caratterizza in modo magistrale tutto il contesto filmico, rendendolo incredibilmente possibile attraverso la risposta ad una domanda eterna: Cosa ci rende umani?

I sentimenti, la possibilità di esprimerli, l’empatia verso gli altri, le nostre pulsioni e tutto quello di cui siamo a conoscenza, certo, ma tutto questo non sarebbe possibile senza la Parola, senza il Linguaggio. Il pensiero non potrebbe esistere senza la parola che lo esprima. Ecco cosa ci rende umani. Ecco cosa fonda l’esistenza e quindi, come parrebbe suggerire Louise Banks, anche la civiltà. Villeneuve dirige così un film fortemente imperniato sul linguaggio, sull’espressione e sulla vitale importanza di arrivare a comprenderci attraverso di esso, imponendo una riflessione essenziale: qualsiasi processo di integrazione, qualsiasi espressione di umanità verso di noi ma soprattutto verso l’Altro non sarebbe possibile se non potessimo parlare e conoscere la lingua, senza fraintendimenti. La lingua come veicolo così potente da fondare la vita è un messaggio di una bellezza evidente. Ecco che la potente forza centrifuga della fantascienza viene equilibrata da quella centripeta dell’ ipotesi di Sapir-Whorf, spiegata dalla linguista, e dalla forza centripeta-razionale degli studi e dimostrazioni del fisico teorico interpretato da Renner. Il film è un film di fantascienza ma sembra di vedere una realtà possibile, perché giustificabile ed interpretabile. Lingua e scienza cooperano per raggiungere risultati; discipline che dialogano per capire una realtà extraterrestre nella speranza di ottenere un risultato: un gioco non a somma zero. Messaggi e metafore si sprecano come in tutti i film che presentano concetti complessi dimostrandoli con convinzione.

Villeneuve è un regista che sa il fatto suo: basti ricordare opere precedenti come Prisoners (2013) e Sicario (2015) per convincersene, tiene sul filo della tensione lo spettatore per tutto il film. Riduce al minimo esplosioni di ritmo o picchi vertiginosi di tensione; è tutto impostato come se qualcosa dovesse finire da un momento all’altro e noi potessimo solo aspettare. Eric Heisserer scrive una sceneggiatura compatta e convincente (film candidato agli Oscar non solo per la sceneggiatura non originale ma anche per il miglior film e per la regia, vincendo scandalosamente, a mio avviso, solo l’Oscar per il montaggio sonoro). Ogni dialogo sembra miri a scovare l’interiorità dei personaggi; nel caso della Adams, l’aura che la circonda è di ammorbante silenzio e dolore. Il monologo che apre il film illumina una feritoia sull’intimità della protagonista che provoca una scia di tristezza che serpeggia per tutto il film, e, a sostegno di una sceneggiatura perfetta, Villeneuve rafforza con la regia un’impalcatura cinematografica già incredibile. I montaggi alternati dove realtà e ambigui flashback si trovano faccia a faccia costruiscono tutto il puzzle del film, fino agli ultimi tasselli, quando tutto sarà chiaro. Alla fine le emozioni che prendono corpo nel film hanno a che fare con la lotta strenua della vita nella e contro la morte, della responsabilità umana e di quanto possa essere tenera la tristezza, certe volte. Credo che la componente emotiva del film, permetta ai concetti e alle immagini che lo stesso veicola di rimanere indelebili perché si imbevono di sensazioni che è difficili ridurre a qualcosa di piccolo ed effimero; componente quindi, non usata gratuitamente, ma per irrobustire un concetto. Certo non solo regia e sceneggiatura hanno ruoli fondamentali perché questo riesca. La scenografia e le ambientazioni, il modo in cui Villeneuve ha creato un mondo e un linguaggio dentro un’astronave, rendono possibile pensare in termini concreti alcuni aspetti della fantascienza e il desiderio voyeuristico del cinema, il regista lo soddisfa prendendoti per mano e, attraverso i protagonisti, portandoti dove l’immaginazione di tutti noi ha fantasticato: dentro un’astronave, davanti all’Altro per eccellenza. Quando succede, la sensazione è di una catarsi dell’immaginazione che finalmente è appagata di vedere ciò che spesso ha voluto vedere senza sapere come, e quando i titoli di coda scorrono, pochi minuti prima, quando ancora, per la seconda e ultima volta, a chiudere il film che ha aperto, suona “Swimmer“, rimbomba il concetto nietzschiano dell’ eterno ritorno che il film lascia sospeso, nero e monolitico, con tutte le implicazioni morali e umane che quello che hai appena visto ti ha lasciato.
Essendo uscito da poche settimane anche su Netflix, consiglio a maggior ragione di concedergli una visione.

L’immagine in evidenza proviene da: https://www.nerdevil.it/2017/01/31/arrival-recensione/