Borges e la sua biblioteca di Babele
Si dice che per comprendere davvero le cose, sia necessario guardarle dall’esterno. E così anche per la realtà che ci sta attorno: per afferrare il presente, è necessario osservarlo con la dovuta distanza, osservarlo dal futuro.
Non mancano, tuttavia, le eccezioni. Non mancano i visionari: soggetti che percepiscono le cose un attimo prima che siano chiare, prima che accadano. Senza dubbi, uno dei più grandi visionari del Novecento è lo scrittore argentino Jorge Luis Borges. Come un passo avanti, le sue opere sembrano cogliere e racchiudere il senso di un mondo in piena post-modernità. E – dato che per capire è opportuno osservare dall’esterno – non è un caso che per raccontare la realtà egli scriva nel 1944 una raccolta di racconti intitolata Finzioni.
Delle quattordici profondamente affascinanti finzioni ce n’è una che possiamo considerare particolarmente rappresentativa del pensiero di Borges: La Biblioteca di Babele. È la storia di un universo onirico che prende la forma di una gigantesca – e forse infinita – Biblioteca. Articolata in innumerevoli stanze esagonali, sviluppata in orizzontale e in verticale, la Biblioteca appare quasi come un labirinto, per la ripetitività di tutte le sue stanze. Il narratore ci racconta che ogni sala contiene un preciso numero di libri, tutti delle stesse pagine, tutte contenenti lo stesso numero di segni grafici. Gli scaffali della Biblioteca contengono tutti i libri possibili: tutte le innumerevoli combinazioni di segni grafici possibili. In altre parole, la Biblioteca contiene qualsiasi cosa. Anche se, per la maggior parte, le parole che si leggono nelle pagine sono incomprensibili, delle semplici serie di caratteri privi di alcun significato nelle lingue conosciute.
Questo particolare universo porta gli uomini a vivere a stretto contatto con due sensazioni diametralmente opposte: da un lato, la certezza che la Biblioteca contenga qualunque potenzialità possibile, che nulla manchi nella Biblioteca e che esistano persino dei libri capaci di spiegare il senso della vita di ciascun individuo e descriverne il futuro o un libro capace di riassumere in sé il contenuto di tutti gli altri libri; dall’altro lato, la consapevolezza che una sola vita non basterà mai per trovare ciò che si cerca, tante sono le stanze esagonali da esplorare. E dunque, l’esistenza di quella potenzialità finisce per divenire motivo di dolore, piuttosto che di euforia. È meglio che qualcosa sia impossibile, piuttosto che possibile ma destinata a non realizzarsi.
E in questa Biblioteca, in tutta la sua finzione, c’è tanta realtà da restarne stupiti, c’è l’umanità intera nelle sue più moderne contraddizioni. C’è una generazione padrona di un mondo in cui tutto sembra possibile, nulla è davvero proibitivo, nulla sembra limitato, tranne il tempo e lo spazio, che anche nella Biblioteca apparivano tanto angusti, insufficienti. Un mondo di alternative finite, ma talmente numerose da apparire quasi impossibili da terminare, esattamente come i libri. Come se la scelta della propria vita equivalesse alla scelta di un libro e ci si sentisse obbligati a cercare il proprio libro, il libro che parla di se stessi, del proprio presente e del proprio futuro. Ma così facendo, paradossalmente, si rischia di andare alla ricerca di qualcosa per talmente tanto tempo da spendere tutta la vita in attesa, senza mai giungere ad una destinazione fissa, semplicemente viaggiando. Consci che, anche qualora fossimo in grado di trovare il nostro libro, non potremmo mai sapere se è quello che ci rivelerà il nostro futuro o solo una sua possibilità, una delle tante alternative incompiute.
In fondo, sembra che l’unica soluzione sia rassegnarsi all’impossibilità di una via perfetta, unica, appositamente pensata per noi. Sembra che ogni libro nasconda in sé più significati, come se parlasse continuamente più lingue, più idiomi diversi, ed anche per questo apparisse incomprensibile. Le parole finiscono per essere la più grande delle illusioni, inaspettatamente mutevoli, la più grande finzione. Ed ironicamente costituiscono l’unica possibilità di certezza umana. Quella certezza, quella perfetta comprensione o conoscenza, quella perfetta comunicazione che è teoricamente possibile, ma concretamente irraggiungibile, inattuabile. Dopotutto, siamo a Babele.
Articolo a cura di Francesco Runello