Canzone delle domande consuete
Una recensione di “A misura d’uomo” di R. Camurri
L’ultima volta ti ho visto cambiato
bevevi un amaro al bancone del bar
perché il tempo ci sfugge
ma il segno del tempo rimane
(Le rane – Baustelle)
Pubblicato poco tempo fa per la NN Editore, A misura d’uomo è il romanzo d’esordio di Roberto Camurri. Del romanzo, però, manca un elemento fondamentale: la malta narrativa che è capace di tenere in piedi i mattoni di una storia, di allineare tutti gli elementi lungo un perimetro diegetico e tracciare, quindi, la storia. Camurri, invece, preferisce realizzare un intarsio di racconti, brevi quasi fossero aneddoti raccontati in paese. Il paese, appunto, è Fabbrico: non casuale, poiché è il paese natìo dello scrittore, ma neppure un paese fondamentale. Fabbrico è qualunque realtà italiana di provincia, dove tutto sembra assopito e, nemmeno troppo all’apparenza, immobile.
E altrettanto statica sembra al lettore la non-vita di chi sta in provincia, di questi protagonisti muti (tanto che i dialoghi non sono segnalati da Camurri dalle consuete virgolette) che assomigliano un poco a tutti noi. Non è retorico dire che in ognuno di essi, e in ogni parte di questi, sia rispecchiata una frazione di noi. L’abilità di Camurri è collocare un atomo di verità laddove è meno sospettabile.
Se questo romanzo forse pecca di una scarsa unità, così come è stato criticato da altri recensori, non è il mio compito tentare di smontare questa impressione. A misura d’uomo manca, infatti, di una complessa rete, ma questa non è completamente inesistente: s’infittisce, anzi, nelle relazioni tra i vari personaggi. Non è un caso, d’altronde, che tra i vari racconti, i nomi propri si ripetano, si avvicendino, attraverso analessi che dall’oggi vanno al passato o viceversa, verificando quello che avviene davvero in provincia, dove tutto cambia in maniera gattopardesca. A Fabbrico, come altrove, tutti conoscono tutti e tutti, in qualche misura (quella umana enucleata chiaramente sin dal titolo) partecipano delle vite degli altri. Una ragazzina diventa la futura moglie di qualcuno, un ragazzo – perso tra le luminescenze dei neon di una slot machine o tra i fumi degli spinelli – diventa, più o meno consapevolmente, un uomo perché ha avuto un figlio o ha perso un caro amico. E così, in funzione cioè dei loro ruoli cui la vita li espone, in virtù della loro misura nel piccolo mondo provinciale, ognuno ha una sua dimensione.
La sfida, che Camurri sembra lanciare, è quella di rintracciare appunto quali connotati possa avere una vita così, sfibrata in brandelli di esistenze velocissime, così come rapido è il tempo di lettura di ciascun racconto, ognuno preciso, ognuno ritagliato a misura d’uomo.